Un’ontologia che dia forma e ragione dei dispostivi tecnici di potere oggi in atto.

Culturedigitali.org tenta di mostrare come per comprendere il presente sia necessario ri-pensare al modo in cui il pensiero Occidentale ha in passato spiegato la natura di relazioni e legami sociali: idee tradizionalmente prive di qualsiasi peso ontologico in quanto sfuggono alle briglie concettuali che tentano di ridurle a oggetti chiusi e ben definiti.

Sono convinto che il presente digitale, la globalizzazione e gli eventi storici di questi ultimi anni, possano venir studiati solo a patto di rendere centrale il paradigma della rete nelle scienze sociali e politiche.

La complessità del pensiero dopo il 9/11

Spero di aver sottolineato abbastanza nel corso degli articoli precedenti come la filosofia debba, da questo punto di vista, svolgere un’azione fondamentale. È infatti il pensiero filosofico e la qualità dell’analisi che contraddistingue questa disciplina, a dover riqualificare (aggiornando, traducendo ed eliminando lì dove necessario) la complessa natura della rete, quella cioè in grado di legare i diversi elementi in una rete di relazioni non riducibili agli elementi stessi.

Senza questa preliminare valutazione ontologica appare infatti difficile che il pensiero della complessità e la teoria (o meglio, le teorie) della rete sociale possano raggiungere la diffusione che meritano.

Se in Network Politics (Parte I) ho domandato quale sia la natura della tecnica, in Rete (II) e Nodi (III) hanno svolto un ruolo di risposte provvisorie mostrando in II, come la teoria della rete sociale provveda gli strumenti necessari per comprendere il tipo di tecnica e potere tecnologico oggi in gioco, in III, come potere e tecnica debbano, alla luce di questa teoria, venir ri-pensati dal punto di vista ontologico.

Neo-liberismo militare

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Il neo-liberalismo militare in cui siamo costantemente immersi almeno dal 9 / 11 ha pesanti conseguenze sul modo di comprendere l’identità e il comportamento individuale, la democrazia e le relazioni politiche di potere tra Stati, la possibilità e la natura stessa del dissenso.

Retort | Afflicted powers

Secondo il gruppo di attivisti e pensatori neo-debordiani che hanno dato vita al collettivo Retort di San Francisco, il potere, o meglio, i poteri oggi sono afflitti. Come il titolo di un loro recente pamphlet, Afflicted powers: Capital and Spectacle in a New Age of War (che puoi leggere qui per esteso e scaricare da questa pagina in pdf, mentre l’immagine di copertina omonima è un installazione di Gail Wight del 2007) è un termine deliberatamente polemico che esprime la delusione per una sinistra e un movimento democratico internazionale incapace di evadere lo status quo, per l’unilateralismo e interventismo del blocco occidentale che nell’ultimo decennio, si è reso colpevole di stravolgere ogni diritto umano, libertà di scelta e di autorealizzazione così duramente conquistata durante la storia millenaria europea.

Il testo è un affresco della società contemporanea, dei meccanismi di potere che hanno dato origine e seguono il 9 / 11. Una conversazione serrata, complici Debord, Hardt & Negri e Marx.

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Secondo Retort, il popolo di Seattle è la faccia del “rifiuto” pienamente realizzato e completo con il quale i potenti della terra hanno abbandonato i più poveri, le antiche generazioni i più giovani, gli Stati che contano da quelli canaglia. Le nuove tecnologie di comunicazione, del resto, non fanno che amplificare nella potenza delle loro immagini tale sentimento di “rifiuto” che si fa globale, pervasivo e avvolgente. È però oggi parallelamente possibile grazie a Internet, a prescindere da dove la persona viva, manifestare il proprio dissenso nella forma di partecipazione ad una moltitudine senza nome, un gruppo eterogeneo di persone caratterizzato da legami deboli che se necessario può agire come un collettivo compatto. Grazie a Internet e ad altre forme di comunicazione mobile, le persone sono oggi per la priva volta nella storia, massimamente e continuamente in connessione.

Essere costantemente connessi

Essere costantemente connessi però implica la possibilità di venir sorvegliati, come si è già detto Searchability possiede un doppio e speculare significato (indica cioè sia la possibilità di cercare un nodo nella rete che quella di venir cercati e trovati in quanto nodo nella rete!). Da quando condividiamo opinioni su Internet, commentiamo i post di conoscenti e amici, lavoriamo in team o semplicemente camminiamo in un luogo pubblico conversando al cellulare, siamo tutti connessi ad un visibile ma impensato flusso di immagini.

Dopo più di trent’anni, il Capitalismo è letto nuovamente come lo spettacolo dell’accumulazione originaria. La guerra al terrorismo altro non è se non il ritorno alla colonizzazione, la colonizzazione di ogni aspetto della vita. Faremmo un errore però a pensare che in questo spettacolo, il tipo di potere sia in qualche modo più dolce, gassoso e democraticamente inesistente che nel passato.

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L’eterno ritorno

Viviamo in un presente eterno che spettacolarizza tecnicamente e costantemente se stesso in immagini infinitamente moltiplicate dai network mediatici globali.

In questo presente eterno e privo di storia, la democrazia e l’idea di Stato sono parole svuotate di senso, esse indicano nulla di più che l’esistenza di asimmetriche relazioni di potere e sapere. Al centro della rete sociale infatti, in un luogo prestigioso, dinamico, ipertroficamente connesso a ogni periferia, in cui la densità delle informazioni raggiunge il valore massimo, troviamo gli Stati cosiddetti democratici seduti al tavolo delle corporation internazionali.

Alla periferia del sistema – rete, o in altri termini nell’anello esteriore del Panopticon, invece stanno gli emarginati, gli Stati canaglia, i mai nati, la società civile, gli operai, i terroristi, i pacifisti, i non allineati, gli artici e gli eclettici.

There is no ontological distinction between the successfully weakened and permeable states on which the world order now thrives and those whose weakness has become chronic fatigue and disintegration, and whose embrace of foreign capital has widened just enough to include independent arms dealers, warlords, and drug cartels.

A tension exists – let us put it mildly – between the dispersal and vacuity of the public sphere, which is necessary to the maintenance of “consumer society”, and those stronger allegiances and identification which the state must call on, repeatedly, if it is to maintain the dependencies that feed the consumer beast. Weak citizens grow too soon tired of wars and occupations. (…) A state that lives more and more in and through a regime of the image does not know what do to when, for a moment it dies by the same light. It does not matter, as we have said before, that “economically” or “geopolitically” the death may be an illusion. Spectacularly it was real. And image-death – image-defeat – is not a condition this state can endure.

Retort, 2006

Senza storia, non c’è nemmeno speranza né pensiero rivoluzionario e il dissenso può solo negare nichilisticamente lo status quo, il regime del Terrore e la guerra permanente per il controllo e la privatizzazione delle ultime risorse prime del pianeta.

Lo spettacolo mediatico dei cosiddetti mass-media, e quello più intimo e privato di Internet e dei mezzi di comunicazione mobile, sono riusciti in qualche decina d’anni ad eliminare l’opinione pubblica, il bene condiviso e lo spirito democratico moderno. Nelle nostre città non c’è nessun luogo in cui le persone possa incontrarsi e discutere.

Parafrasando Debord, lo spettacolo è capitale accumulato al punto di diventare immagine visibile.

Se questa è la situazione una certa forma di dissenso può ciononostante nascere. Perché nasca però è necessario spingere tradizione e pensiero verso la complessità delle relazioni. Questo è possibile proponendo un’ontologia realista al di là dell’ermeneutica e della fenomenologia tipiche del recente postmodernismo.