Cos’è la sharing economy

La sharing economy, conosciuta anche come “economia della condivisione”, è un fenomeno piuttosto controverso e difficile da inquadrare in una definizione univoca. L’Oxford Dictionary la definisce come un sistema economico che permette agli individui di condividere beni o servizi, solitamente attraverso Internet.
Alla base dell’economia della condivisione vi è uno scambio, a titolo gratuito o dietro corrispettivo, alla pari (peer-to-peer) tra prestatori d’opera e clienti che interagiscono attraverso una piattaforma. Si tratta di una forma alternativa di consumo rispetto alla proprietà esclusiva e permette di sfruttare beni o risorse inutilizzate o sottoutilizzate mettendole a disposizione degli altri: da qui deriva il concetto di condivisione.
I tipici esempi di economia della condivisione sono Uber, Airbnb, eBay e Blablacar.

Il fenomeno Airbnb

Airbnb è la più grande piattaforma di home-sharing che possiamo inquadrare nell’ambito della sharing economy.
L’avventura di Airbnb inizia nel 2007 quando due coinquilini, Joe Gebbia e Brian Chesky, decidono di subaffittare dei materassi ad aria nel proprio appartamento per raccogliere denaro utile a pagare l’affitto. L’idea nasce per un’esigenza: offrire un alloggio alternativo agli hotel, tutti al completo, alle persone interessate a partecipare al congresso di design industriale che si sarebbe tenuto quell’anno a San Francisco. Nasce quindi AirBed&Breakfast, l’antenato di Airbnb. A lavorare a questo nuovo progetto si aggiunge poi una terza persona, Nathan Blecharczyk, che, con Gebbia, cerca di convincere l’altro coinquilino a monetizzare l’idea.
Il progetto decolla solo qualche anno dopo, quando i tre giovani capiscono di dover cambiare la propria visione: reclutano personalmente nuovi host e decidono di eliminare non solo i materassi ad aria, ma anche la presenza dell’host nell’alloggio. Nonostante i primi investimenti del 2009, Airbnb è stata lanciata 8 volte prima di diventare la realtà che oggi conosciamo. 

Perchè Airbnb è spopolato

Airbnb si basa sul concetto del “belong anywhere”, ovvero del sentirsi a casa in qualunque luogo e parte integrante di una grande comunità. L’idea è racchiusa anche nel logo del brand: una lettera A, che è anche un pin di posizione e un cuore. 

In qualità di piattaforma di home-sharing, Airbnb offre una grande opportunità per tutti coloro che vogliono guadagnare denaro per arrotondare le entrate, mettendo a disposizione di altri la propria abitazione. Questo è uno dei motivi principali che spinge molte persone a diventare host, in quanto possono far fruttare il proprio immobile tutto l’anno, evitando che resti inutilizzato. Dal lato degli ospiti, i cosiddetti guest, il vantaggio principale è quello di poter affittare una camera, un intero appartamento o addirittura una casa a un prezzo inferiore rispetto a quello proposto dalle strutture ricettive. Affittare una camera su Airbnb consente di entrare in contatto diretto con la comunità locale, di conoscere le tradizioni del paese e di sentirsi a casa in qualunque parte del mondo.

Airbnb è veramente quello che dice di essere?

Eckhardt & Bardhi (2015) sostengono che il colosso di home-sharing non sia altro che una piattaforma attraverso cui gli host mettono a disposizione alloggi a prezzi convenienti, con lo scopo ultimo di facilitare la transazione economica tra gli utenti. Gli alloggi hanno sicuramente il vantaggio del prezzo competitivo, scelta conveniente per chi deve soggiornare in una città costosa. Tuttavia, è raro trovare ancora host e guest che condividono lo stesso appartamento o la stessa casa. 

Airbnb può essere propriamente definita come una piattaforma lean. Secondo Srnicek (2017), le piattaforme lean sono società prive di patrimonio ma proprietarie della piattaforma di software e analisi dei dati. Il fenomeno delle piattaforme lean nasce dopo la crisi finanziaria del 2008, che ha visto un aumento esponenziale del tasso di disoccupazione. Negli anni successivi, l’economia è tornata a crescere, ma non l’occupazione: le persone si sono viste costrette ad approcciare al lavoro autonomo ed è per questo che si è diffuso il fenomeno della sharing economy.
Anche Airbnb nasce negli anni della recessione economica, quando negli Stati Uniti si scatena una crisi immobiliare senza precedenti. Le famiglie con redditi medio-bassi faticano ad acquistare immobili e non tutti possono permettersi un appartamento in affitto, visti i prezzi esorbitanti. È in questa situazione precaria che si inserisce il colosso dell’home-sharing.

Prezzi degli alloggi e turistificazione

Uno studio condotto da Wachsmuth e Weisler (2018), dimostra come Airbnb incida sull’andamento dei prezzi degli immobili. I due ricercatori sostengono che Airbnb sfrutti il cambio di destinazione d’uso degli immobili (da lungo termine a breve termine) per generare il cosiddetto rent gap, o differenziale di rendita: i rendimenti potenziali aumentano a discapito di quelli effettivi, incentivando l’investimento nel capitale immobiliare. Questo ha come conseguenza un aumento dei prezzi degli alloggiQuesto meccanismo incide fortemente sulla turistificazione dei centri urbani: i residenti abbandonano progressivamente i centri storici, in quanto tutti i servizi vengono ripensati esclusivamente in funzione dei bisogni dei turisti e diventano, di conseguenza, accessibili solo a persone benestanti. 

Regolamentazioni e multi-host

Airbnb è stato al centro di numerose polemiche anche per il tema legato alle regolamentazioni del fenomeno degli affitti a breve. La crescita esponenziale dei prezzi degli affitti e il dilagare della turistificazione hanno spinto molte persone a costituire delle associazioni attiviste. Spesso il colosso dell’home-sharing ha cercato di aggirare le norme, sfuggendo alle numerose cause avviate dalle città. Negli ultimi anni la normativa si è fatta più stringente in diversi paesi del mondo e Airbnb ha dovuto collaborare con le amministrazioni locali. Anche in Italia la situazione sembra essere migliorata, grazie all’introduzione di norme specifiche che regolamentano il fenomeno delle locazioni turistiche.
Airbnb, dal canto suo, ha creato nel 2020 una piattaforma chiamata City Portal, che consente alle amministrazioni locali e alle diverse organizzazioni turistiche di avere accesso a tutti i dati del colosso di home-sharing, per analizzarne l’impatto sulle comunità locali. Inoltre, Airbnb si impegna ad aiutare le autorità a far applicare le normative previste in materia di affitti a breve termine. 

Da ultimo, non è da sottovalutare il fenomeno dei multi-host, ovvero host che hanno più di un annuncio, perché privano il mercato immobiliare di molte abitazioni a scapito dei residenti. Inoltre, la maggior parte delle entrate di Airbnb è garantita proprio dai multi-host che permettono al colosso di trattenere una quota importante di profitti, grazie alla collaborazione con agenzie immobiliari e imprese turistiche.

Una soluzione c’è: il platform cooperativism

Per ovviare al problema del capitalismo delle piattaforme digitali, molte realtà stanno sfruttando un modello di business denominato platform cooperativism. Si tratta di un riadattamento del modello cooperativo che unisce la tecnologia delle piattaforme e dell’economia della condivisione alle caratteristiche tipiche delle cooperative. Nel caso dell’home-sharing, il platform cooperativism potrebbe portare numerosi vantaggi alle comunità locali, agli ospiti e agli host, nell’ottica di un turismo sempre più responsabile.

Fairbnb: un’alternativa etica

Un esempio pratico di come il platform cooperativism possa essere una risorsa per il turismo e per fronteggiare la turistificazione è Fairbnb.coop. Fairbnb è una cooperativa che sfrutta il potere della cooperazione e condivisione per favorire la sostenibilità dell’home-sharing.
Il business si fonda sulle persone, che contano più del profitto: attivisti, organizzazioni, host e chiunque abbia a cuore questo progetto. La trasparenza per Fairbnb è un requisito fondamentale, aspetto che si riflette nel costante dialogo con le amministrazioni locali e nei controlli rivolti agli host.
Un punto di forza della piattaforma è il suo stesso funzionamento: le commissioni non vengono trattenute nella totalità, ma condivise per metà con le comunità locali. Il 50% delle commissioni viene infatti reinvestito in progetti sociali e sono gli stessi guest a decidere cosa finanziare nella destinazione in cui effettueranno il soggiorno, senza costi aggiuntivi. Questo meccanismo porta a quello che Fairbnb.coop chiama “Community Powered Tourism”, un turismo ben lontano da quello di massa perché alimentato dalle comunità locali.

Una caratteristica che differenzia Fairbnb dai concorrenti è la regola del 1 Host – 1 House, introdotta per ridurre il sovraffollamento di locazioni turistiche. Secondo questa regola, gli host non possono possedere più di una seconda casa nel mercato turistico e devono essere necessariamente residenti nel luogo in cui affittano. Questo allenta la pressione nei centri storici e favorisce una maggiore integrazione degli ospiti nelle comunità locali, nell’ottica di offrire esperienze uniche e profonde. Fairbnb.coop racchiude il vero concetto della condivisione e del sentirsi parte della comunità.

Conclusioni

Le piattaforme tipiche della sharing economy hanno aperto al cosiddetto capitalismo digitale ed Airbnb ne è l’esempio lampante. Il colosso dell’home-sharing ha contribuito alla turistificazione di molti centri urbani, a causa della mole immensa di annunci pubblicati, mettendo in crisi l’intero settore immobiliare. I residenti sono costretti a spostarsi, perché vivere in città costruite su misura dei turisti è diventato ormai impossibile. I prezzi degli immobili salgono alle stelle e trovare casa è impossibile. Non solo, la poca trasparenza, le modalità in cui vengono gestiti i dati e il non rispetto delle regolamentazioni hanno scatenato polemiche e rivolte di attivisti, che si sono fatti forza per smuovere i governi e arrivare a delle strette sul mercato degli affitti a breve. Oggi la situazione sembra migliorata e anche il colosso dell’home-sharing è stato costretto a mettersi in regola per rispettare le normative, anche se il numero di annunci attivi nelle diverse città rimane esorbitante.
Cambiare la situazione si può, attraverso modelli che abbracciano l’economia della condivisione, come il platform cooperativism, alla base di realtà come Fairbnb.coop. Fairbnb ha a cuore non solo i turisti, ma anche i residenti e le comunità: mette i profitti in secondo piano, destinando parte delle commissioni a progetti locali. É un valore aggiunto per le città e per i turisti, che possono sperimentare il vero significato della condivisione e della cooperazione attraverso un turismo responsabile e sostenibile. 

Bibliografia

Gainsforth S., «Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale», DeriveApprodi, Roma, 2019.
Guidolin U. & Michielon E., «Platform Cooperativism. Come uscire dal capitalismo digitale verso un’economia della condivisione più etica e inclusiva», Libreria Universitaria, Padova, 2019.
Srnicek N., «Capitalismo digitale. Google, Facebook, Amazon e la nuova economia del web», LUISS University Press, Roma, 2017.
Wachsmuth D. & Weisler A., «Airbnb and the rent gap: Gentrification through the sharing economy», Environment and Planning A: Economy and Space, 50(6), pp. 1147-1170, 2018.

Sitografia

Airbnb City Portal, URL: https://www.airbnb.it/cityportal
Botsman R., «Defining The Sharing Economy: What Is Collaborative Consumption–And What Isn’t?», URL: https://www.fastcompany.com/3046119/defining-the-sharing-economy-what-is-collaborative-consumption-and-what-isnt
Fairbnb.coop, sito ufficiale, URL: https://fairbnb.coop/it/
Oxford Dictionary, «Sharing economy» URL: https://www.oxfordlearnersdictionaries.com/definition/english/sharing-economy?q=sharing+economy

Autore

Sono Giada Caminotto, studentessa di Web Marketing & Digital Communication presso IUSVE. Ho conseguito una laurea triennale in Commercio estero e Turismo e ho deciso di iscrivermi a IUSVE per seguire il mio sogno di unire la comunicazione alla mia passione per la cucina e i viaggi.