La questione sulla tecnica, una lezione che Martin Heidegger tenne a Monaco di Baviera nel 1953, è forse il più importante lavoro filosofico dedicato alla tecnologia del Novecento.
Liberata dal cupo pessimismo postbellico, la diagnosi heideggeriana è forse utile per iniziare a chiarire il senso della tecnica a patto che il lettore di oggi sia in grado di mitigare, non limitare, l’estrema preoccupazione del tempo, quella di una potenza tecnologica ormai fuori controllo e di un ambiente seriamente minacciato dalla società umana, l’era atomica e la società del consumo.
Del resto, la tragedia di Fukushima in questo periodo (e quella di Chernobyl nel 1986) ci ricorda tristemente ciò che nel dopo guerra è ben chiaro a chiunque, la devastante potenza distruttiva del nucleare e i rischi ambientali connessi.
Sommario
Che cosa è la tecnica?
L’importanza di Heidegger sta nel riconoscere il ruolo che la tecnologia gioca nel plasmare il modo di stare al mondo dell’uomo.
Secondo il filosofo, per accedere all’essenza della tecnica non possiamo limitarci a considerare i singoli e diversi strumenti tecnologici, o macchine, ma è necessario accostarci alla questione con rinnovato spirito critico. Si tratta in altre parole di trovar il coraggio di fare un balzo nel vuoto rispetto alla tradizione, d’instaurare con l’oggetto di studio un “relazione libera” da vincoli, proponendo una diversa e nuova cornice ontologica. Heidegger comincia con il chiedersi quale sia l’essenza della tecnica:
La tecnica non si identifica con l’essenza della tecnica. (…). Non possiamo quindi esperire veramente il nostro rapporto con l’essenza della tecnica finché ci limitiamo a rappresentarci la tecnicità e a praticarla, a rassegnarci ad essa o a fuggirla.
Ogni risposta che chiami in gioco la responsabilità dell’uso di una determinata tecnologia, o ogni teoria filosofica che preveda di gestire il potenziale tecnico grazie alla sempre crescente abilità umana di ragionare e prendere giuste decisioni, va abbandonata in quanto ignora la capacità “mitopoietica”, ri-costruttiva, della tecnica di alterare le condizioni di creazione del significato e del valore delle azioni.
L’essenza della tecnica non ha nulla a che vedere con lo strumento o processo tecnologico. Secondo Heidegger, la tecnica è essenzialmente un modello di conoscenza, una particolare modalità di rivelazione di ciò che è.
Nella tecnica, l’uomo prende parte, seduce il mondo ovvero fonda uno schema di referenze che costituiscono la maniera nella quale gli oggetti vengono alla presenza. Il modo in cui le mere cose ci si presentano influenza il modo umano di impegnarsi con il mondo.
Con la tecnica il pensiero si fa aggressivo perché rende ogni presenza, incluso l’uomo, un oggetto da manipolare, ogni ente uno strumento da valorizzare e impiegare, un Bestand.
Ogni cosa è così immediatamente “pronta per l’uso” e ha valore fintantoché è utilizzabile, la cosa in quanto cosa è completamente ignorata e nascosta.
Secondo Heidegger, l’agire tecnico è l’ultimo gradino del progetto occidentale di dominio sulla natura e del suo sfruttamento che reso il bosco una riserva di legname, la montagna una cava di pietra e il fiume una forza idraulica per produrre elettricità:
Nell’ambito di questo successivo concatenarsi dell’impiego dell’energia elettrica anche il Reno appare come qualcosa di “impiegato”. La centrale idroelettrica non è costruita nel Reno come l’antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all’altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella costruzione della centrale.
Dispositif e Apparatus
Il pensiero che conosce il mondo come una riserva è instaurato dal Gestell, o impianto (nella terminologia di Foucault, l’impianto lascia il posto a Dispositif o Apparatus come segnalato recentemente da Agamben).
Secondo Heidegger infatti la tecnica non lascia esser le cose in quanto tali, non le rivela per quel che sono. Invece di lasciar esserle nella loro “vicinanza” le provoca, le costringe alla presenza, attraverso il processo di oggettivazione. Ma quest’oggettivazione non avvicina gli enti tra loro bensì rende ogni cosa oggetto da afferrare, calcolare e controllare.
Così gli strumenti di trasporto e i mezzi di comunicazione permettono alle persone di coprire lunghe distanze in poche ore oppure di veder trasmessi gli avvenimenti del mondo nello schermo della televisione nella propria stanza da letto non fa che rendere ogni cosa indistinta in quanto tutto non è niente se non è utilizzabile.
La tecnica non lascia nemmeno essere l’uomo che, come ogni altro ente nel mondo, è individuato e ordinato dal dispositivo, dal meccanismo, dalla griglia a rete del procedere tecnico. Nella modernità l’agire dell’uomo non ha più scopo proprio perché l’ente non è più in quanto ente ma funziona in quanto eterodiretto, connesso originariamente ad altro.
La tecnica è quindi per Heidegger “un significato e un’attività umana”, un particolare tipo di razionalità che nel corso della modernità ha fagocitato e assimilato ogni altro precedente modo di pensare, e reso mondo e uomo a una dimensione (Marcuse, H. 1964). Questa razionalità che è pensiero e agire, concepisce la realtà come una macchina, un meccanismo ininterrotto dove tutto funziona per realizzare sempre un più complesso ed efficiente funzionamento.
Nell’età della tecnica l’uomo non si chiede più il senso dell’essere e la terra gli si fa estranea (Galimberti, U. 2005).
Il potere della tecnica
Ma la tecnica in Heidegger non è solo una modalità del conoscere ma un vero e proprio modo di stare al mondo.
Quando il filosofo suggerisce che l’uomo è un “essere gettato nel mondo” ci sta dicendo che l’individuo (o soggetto), che la tradizione ha da lungo pensato come autonomo, indipendente e già in sé teologicamente orientato alla soddisfazione dei propri fini e bisogni, non è affatto tale.
Heidegger è tra i primi a riconoscere che la tecnica non è semplicemente umana né completamente inumana ma è lo sfondo che genera entrambi, in questo senso Gestell è originario sia all’uomo sia al materiale, al mondo. Essendo il fiume Reno “incorporato” e quindi impiegato dal dispiegamento della tecnica, quest’ultima è già da sempre potere. In questo saggio di Heidegger vi son già tutti i principi che, come vedremo nella seconda parte del testo, fondano l’analitica della rete.
Tecnica, apparato, dispositivo, meccanismo, protocollo, struttura, rete sono infatti i molti modi di chiamare quel potere che non è umano né non-umano, un potere decentrato, ubiquo e continuo che funziona se e solo se è in grado di far sistema e fagocitare in sé tutti gli altri enti ovvero di individuarli e farli essere.
Dal punto di vista del potere, tecnica e rete risultano inseparabili tanto che ogni tecnologia è in sé stessa una rete quasi-finita di relazioni ordinate e regolate dal potere stesso della rete e poiché, la questione della tecnica è antica quanto il dominio dell’uomo sul fuoco, la rete non può più venir pensata come la moda del nuovo millennio ma come argomento degno di indagine filosofica.
Heidegger sembra già aver chiaro che non è possibile pensare la tecnica – e quindi il potere nella complessità della rete – come l’azione o il pensiero di un solo attore. Allo stesso modo non è possibile cogliere la proprietà della rete a partire dalla somma delle proprietà dei suoi costituenti né, viceversa, questi ultimi come parti di un tutto.
Il potere della tecnica non agisce attraverso azioni violente e determinate ma ciononostante è capace di ordinare, regolare e individuare le connessioni, gli scambi d’informazioni e le azioni delle componenti individuali. È un potere totalitario ma decentrato, continuo ma discreto, individuante e dissociante. Per alcuni versi in modo simile a Heidegger, secondo Foucault la società è da sempre regolata da meccanismi di potere / sapere che garantiscono la produzione e il controllo di relazioni asimmetriche tra gli individui. Nella società moderna questi meccanismi assumono il modello chiamato Panoptico.
Il totalitarismo non è che la manifestazione del pensiero tecnico in politica, dove alla rappresentanza e alla discussione tra pari in vista di un accordo fondato sulla ragione degli argomenti è sostituito un apparato amministrativo il cui unico fine è il perpetuamento e la soddisfazione di sé stesso.
Il meccanismo di individuazione
Si tenga presente questo punto sul quale ritornerò più avanti. Heidegger è convinto che il maggior pericolo del suo tempo sia infatti dovuto alla progressiva uni-dimensionalità della ragione che fa del pensiero e agire tecnico l’unico e il solo modo di stare al mondo dell’uomo.
Del resto, il processo di oggettivazione che rende ogni ente, compreso l’uomo, uno strumento in vista di un fine, non è diverso dal movimento a questo opposto che costituisce l’individuo come soggetto di volontà sul mondo. Tale processo è chiamato soggettivazione.
Questi due processi, che apparentemente procedono per opposte direzioni, sono in realtà diversi punti di vista del medesimo meccanismo di individuazione, che fa apparire e scomparire gli enti dal mondo, i nodi dallo sfondo della rete.
L’argomento di Heidegger sembra esser un buon candidato per la parte destruens di una filosofia della tecnologia che non intenda scadere del determinismo tecnologico o della potenza incontrollata e sublime dell’uomo sul mondo. Ciò nonostante il suo pensiero ci dice poco o nulla circa possibili altre vie praticabili.
Quando è negato il cogliere lo status della tecnica dal punto di vista puramente umano e quando, la tarda soluzione heideggeriana, quella cioè di fuggire verso il mito classico e la poesia sembra non più praticabili, quale altra soluzione per comprendere lo stretto legame che tecnica, potere e rete come Gestell o impianto intrattengono?