Sommario
Introduzione: Il passaggio dall’economia tradizionale all’economia della condivisione
L’economia tradizionale, o economia di sussistenza, definisce un tipo antico di sistema economico che si caratterizza per la pratica di basare la scelta delle attività economiche in una società, sul tipo di risorse proposte. Queste possono essere, sia facilmente reperibili in quella determinata regione in cui la società vive, sia abbondanti dovute alla condizione favorevole e fiorente del territorio.
L’enorme vantaggio di questo tipo di economia è legato alla chiarezza dei ruoli che si generano tra i componenti di una società: le persone definiscono il loro impiego economico secondo funzioni precise che sono state tramandate di generazione in generazione.
Questa chiara definizione dei ruoli dei membri della comunità significa che tutti sono consapevoli delle aspettative che la società ha nei loro confronti. Inoltre, l’economia tradizionale è strettamente legata ai cambiamenti climatici del nostro pianeta e questo può essere considerato un vero e proprio svantaggio, in quanto questi cambiamenti hanno una forte influenza sulla produttività dei terreni. I disastri naturali come inondazioni e siccità riducono la loro possibilità di sviluppo, andando così ad intaccare direttamente la vita delle persone.
Con lo sviluppo industriale, il nascere e l’affermarsi del consumismo, i grandi paesi industrializzati hanno sempre più spostato la loro filiera produttiva nei paesi caratterizzati da economia tradizionale (per la riduzione dei costi di produzione) e quindi meno abbienti. Grazie al proliferare dell’inquinamento, si è venuto a creare e poi ad instaurare un impatto negativo sull’ambiente di quei territori, che si sono trovati ad affrontare un danno sia naturale che economico.
Una domanda sorge spontanea: nel 2020 ci sono ancora società costituite da economie tradizionali? Certamente, i popoli inuit dell’Artico (Groenlandia, Canada e Alaska) continuano a praticare le economie tradizionali soprattutto attraverso la pesca intese come attività importanti e non meno importanti come caccia e allevamento di renne.
In questi paesi nordici, l’industrializzazione per come la conosciamo noi non si è manifestata per due motivi: in primo luogo per una totale assenza di condizioni favorevoli a livello ambientale e climatico, in secondo luogo i popoli sono legati da tradizioni ben radicate a livello culturale e dunque difficili da modificare.
Oggi, dal concetto di economia di mercato inteso come economia che si fonda sul valore dello scambio, si passa al concetto di economia del dono (per approfondire il passaggio da economia tradizionale a economia della condivisione) ovvero a quel tipo di economia basata sul valore d’uso degli oggetti e dei beni.
L’economia della condivisione nasce e si sviluppa nelle comunità primitive le quali, essendo autosufficienti dal punto di vista produttivo, si affidano all’economia di mercato solo in ottica di importazione di quella rara gamma di prodotti che non riescono ad originare in modo autonomo; di conseguenza l’economia di mercato diventa secondaria in quella determinata società.
Contestualizzando questo specifico concetto alla contemporaneità, il 9 novembre del 1989 segna una svolta epocale a livello mondiale: la caduta del muro di Berlino viene ricordato come momento storico in cui l’ideale liberista si è affermato a discapito dell’ideale comunista.
Un anno dopo venne realizzato il World Wide Web (WWW), il servizio su cui si poggia la rete internet e successivamente tutti i servizi ad essa collegati.
Ed è da qui che oggi possiamo parlare di economia della condivisione applicata alla rete: una rete democratica, accessibile a tutti mediante connessione e dove tutti possono creare, scambiare e condividere idee e opinioni.
Il concetto di sharing economy: definizione e sviluppi
La sharing economy o economia della condivisione, è un principio che continua ad essere in evoluzione e così anche la realtà a cui si riferisce.
Economisti e uomini d’affari iniziarono a discutere del concetto di sharing economy verso la fine del Novecento, ma la nascita delle community e la diffusione di internet hanno aiutato a renderlo concreto.
Nel 2011 Bryan Walsh, senior editor del Time Magazine, afferma che : “la sharing economy è una delle dieci idee destinate a cambiare il mondo di domani. Ma perchè solo ora?”
La premessa è la seguente: la seconda decade del ventunesimo secolo è testimone di uno slancio economico dettato da una vera e propria rivoluzione virtuale.
Questo nuovo modello ha avuto il suo sviluppo soprattutto grazie al progresso tecnologico caratterizzato da una grandissima diffusione di internet, delle community online, della tecnologia e di nuove piattaforme tecnologiche.
Riguardo a questo, gli imprenditori che operano nel campo della sharing economy hanno trovato un’opportunità per i consumatori offrendo loro la possibilità di condividere sia beni tangibili (come la casa o l’auto) che intangibili (come il proprio tempo libero).
Cerchiamo di analizzare questo esempio: la maggior parte delle persone sa che la propria automobile viene utilizzata soltanto per breve tempo durante la giornata. Le automobili rimangono parcheggiate in media il 96% del tempo, trascorrono lo 0,5% del loro tempo ferme nel traffico e lo 0,8% nella ricerca di un parcheggio. Vengono così utilizzate solo il 2,6% durante il loro tempo di vita e, nel 75% di questi casi, a bordo c’è solo il conducente.
Ci poniamo una domanda: quante di queste persone condividerebbero i costi da sostenere (manutenzione, carburante…) con qualcuno che non ha mai visto o conosciuto? Direi non molti.
Oggigiorno però, grazie alla sempre maggiore popolarità di piattaforme di condivisione e al progresso della rivoluzione virtuale, si è più portati a condividere con qualcuno che non conosciamo qualcosa che è in nostro possesso.
Possiamo sostenere chiaramente che fiducia e sharing economy sono ormai un binomio consolidato.
I dati riguardanti la sharing economy sono in continua crescita ed esiste un numero notevole di persone che riconoscono i benefici, soprattutto quando si è in un periodo attraversato da una crisi economica e la gente sente il bisogno di risparmiare o di ricavare qualcosa da beni che non usa. Il punto principale per continuare a crescere è lavorare a stretto contatto con le persone facenti parte della community con lo scopo di creare un servizio sempre più accessibile e a misura di utente.
La sharing economy ingloba al suo interno molte realtà e diversi elementi che la caratterizzano. Questo nuovo modello economico ha come primo elemento fondamentale e caratterizzante la condivisione di beni e servizi, quindi non ci si basa più sull’acquisto e sulla proprietà di beni, ma sul riuso e sulla condivisione di questi e quindi l’elemento relazionale viene messo in risalto.
La sharing economy o economia della condivisione è un concetto che ha preso piede negli ultimi decenni con una declinazione in vari modi e applicazione in diversi settori economici e sociali. Specialmente all’inizio il termine sharing economy è stato molto dibattuto a livello internazionale, proprio perché il fenomeno è molto recente e l’idea concettuale è ampia e variegata. A tal proposito, si sono formate una serie di definizioni contigue, simili o parallele: da peer-to-peer economy a economia collaborativa, da gig economy a economia on-demand fino a consumo collaborativo. Queste definizioni qualche volta vengono usate in modo intercambiabile, ma che invece indicano attività leggermente diverse.
Una caratteristica della sharing economy è il contatto diretto tra domanda ed offerta tramite siti web o mobile app. Alcuni esempi possono essere: la richiesta di un passaggio in macchina, la prenotazione di un posto per dormire, l’acquisto di uno strumento da lavoro. Iscrivendosi ad una community, si può trovare un autista con cui condividere l’automobile, prenotare una camera per le tue vacanze. Pertanto, sono state create delle piattaforme online per rispondere al bisogno di incontro tra gli utenti e la sharing economy.
Di seguito alcune piattaforme legate al concetto dell’economia della condivisione:
- Wikipedia: i membri di una comunità partecipano gratuitamente alla costruzione di un bene comune
- AirBnB: gli utenti possono affittare una camera dando in cambio del denaro
- BlaBlacar: simile ad AirBnB, riguarda i passaggi in automobile
- Uber: lo scambio è su richiesta (on demand) in cui l’utente richiede un servizio immediato.
La fiducia e la collaborazione con gli altri caratterizzano lo scambio di mercato sia sotto forma di modalità tra pari “Peer to Peer” (P2P) sia nell’area del “Business to Consumer” (B2C).
Tre principi fondamentali della sharing economy
- Ogni bene non utilizzato è sprecato: Fredric Mazzella ha una grande intuizione che nasce dall’idea di mettere a disposizione delle persone che viaggiano nella stessa direzione una piattaforma web (BlaBlaCar) per organizzare il viaggio, dunque per poter viaggiare insieme e condividere le spese evitando gli sprechi.
- Accesso vs proprietà: la generazione dei consumatori odierna individua più vantaggi nel prestito di un bene e sempre meno nella proprietà del bene stesso. Per esempio, in questa maniera anche quelle persone che non hanno una patente di guida e che non possono permettersi servizi di trasporto costosi, riescono comunque a spostarsi con la condivisione dei posti in automobile.
- Fiducia: la globalizzazione ha permesso lo sviluppo di un mondo interconnesso composto da imprese e persone. La nascita di queste community on line ha poi dato la possibilità a persone che non si conoscono, ma che hanno in comune una stessa necessità (ad esempio quella di spostarsi da un città ad un’altra), di entrare in contatto in modo semplice, veloce e sicuro.
Il primo esempio di sharing economy nel periodo di Internet è eBay, il sito di vendita e aste online fondato il 3 settembre 1995 da Pierre Omidyar a San Jose, California. Questo luogo di mercato di compravendita di oggetti e prodotti è stato individuato come uno dei primi “facilitatori” dell’economia della condivisione in un’era di trasformazione tecnologica.
Essendo questa economia un modello in costante evoluzione, il periodo attuale risulta essere uno di quelli in cui la sharing economy, incentrata sulla collaborazione, la condivisione di beni, servizi ed informazioni ha vissuto e continua a vivere un momento di affermazione importante.
Questa tipologia di economia che sempre più si sta sviluppando, ha modificato il mercato globale portando molteplici vantaggi come altrettanti svantaggi. Ora ci concentreremo sugli effetti negativi per poi analizzare invece i vantaggi ed effetti positivi di questo modello economico.
Gli aspetti negativi della sharing economy
La sharing economy pone le sue basi sul principio di capacità di generare, estrapolare del valore da ciò di cui siamo in possesso. Lo scopo di questa forma di economia è quello di fare leva sul potenziale delle community, opera per attivare il potere della condivisione e del senso di appartenenza ad un gruppo. Nonostante questi nuovi processi economici partecipativi e solidali questa forma di economia non è esente da criticità.
La sharing economy è caratterizzata, come visto precedentemente, da tre fattori fondamentali che determinano a loro volta dei punti di debolezza. Facendo riferimento alle caratteristiche di questo tipo di economia, si inizia a parlare di criticità nel momento in cui il servizio inizia a crescere in modo esponenziale, è su questa tematica che infatti si concentrano i più grandi dubbi in merito alla sharing economy.
Innanzitutto, la piattaforma non ha alcun costo di infrastruttura poiché non possiede beni e ha un potere di accumulo del capitale velocissimo. Nel momento in cui la community raggiunge una sostanziale massa di adesioni, la piattaforma diventa l’ambiente di scambio e si viene a creare così una concentrazione tale che porta i possibili competitor a scoraggiarsi nei confronti di una entrata sul mercato. Diventa quindi impossibile, o poco probabile spodestare il monopolio di alcune attività, questo perché è difficile ricreare uno spazio altrettanto soddisfacente in grado di delocalizzare la massa di persone e generare nuove masse di individui che generino delle community.
In tal caso è esplicativo citare il caso di Google che non è stato in grado di creare un social che fosse un reale concorrente di Facebook. Come abbiamo specificato prima la piattaforma promuove la convenienza, ma questo tipo di attività, generata dalla transazione crea degli scompensi. Questi scompensi hanno origine dal fatto che molte persone aderenti alla community, trasformano il servizio che viene offerto alla base in un vero e proprio lavoro. Nel frattempo le piattaforme continuano a trattare il servizio come lavoro subordinato.
È da questo concetto che prende forma anche l’accusa, che in molti sostengono, secondo la quale il modello economico di sharing generi anche una nuova forma di precariato e che non assicuri le sufficienti garanzie ai suoi dipendenti. Un’ulteriore accusa fondata sugli aspetti caratterizzanti della sharing economy concerne l’utilizzo della tecnologia. Questa permette infatti alle piattaforme di collezionare ingenti quantità di dati che riguardano la popolazione e essere quindi in possesso di un’importante moneta di scambio e di avere la possibilità di destreggiarsi il destino e la reputazione delle persone.
A cornice di tutto questo scenario inoltre è fondamentale sottolineare un altro aspetto critico che caratterizza tutto ciò che rientra nel mondo della sharing economy. È una situazione economica nuova, facilmente ampliabile che si basa sulla relazione e sull’esperienza di condivisione degli individui. Sempre più persone scelgono applicazioni che si basano su questo modello collaborazionale, poiché è facile risparmiare per usufruire di alcuni servizi e guadagnare dovendo rendere disponibili piccoli beni.
Questo comporta due aspetti molto critici, una concorrenza sleale, come abbiamo menzionato prima e la mancanza di regole lavorative. Sempre più la sharing economy viene affiancata al concetto di Gig Economy, ovvero quella che viene definita l’economia dei lavoretti. I lavoratori non vengono considerati come dei veri e propri dipendenti, ma semplicemente come membri della community che condividono i loro beni. Questo comporta che chi ricopre il ruolo di gestione del flusso di domanda e offerta benefici di ingenti guadagni, ma d’altra parte, che tutti gli investimenti gravino sui lavoratori, sono loro inoltre che subiscono il rischio di eventuali illegalità. Possiamo quindi affermare che non ci sia una vera e propria tutela del lavoratore che anche se contribuente in minima parte, rimane tale. Inoltre, molto spesso, risulta esserci poca trasparenza. Come prima detto, questo tipo di economia comporta la crescita esponenziale in poco tempo poiché molte attività godono di alcune facilitazioni che permettono di offrire servizi a prezzi molto vantaggiosi rispetto ad altre realtà che utilizzano modelli di business differenti. Molto spesso è possibile per alcune attività non pagare le tasse o i contributi ai propri dipendenti e quindi generare importanti guadagni.
La Commissione Europea però è a conoscenza della situazione e proprio per questo si sta lavorando per regolamentare questa forma di economia nuova e che sta prendendo sempre più piede. Per questo si sta lavorando per la messa in opera di una regolamentazione più chiara che permetta di omogeneizzare i diversi paesi dell’UE riducendo i rischi per i lavoratori e ponendo alcune limitazioni ai servizi.
In conclusione possiamo definire che la sharing economy sta riscontrando un grande successo, specialmente nel mondo dei giovani, i più avvezzi alla tecnologia, che come è stato sottolineato prima è una delle caratteristiche fondamentali di questo modello. È importante quindi che per uno sviluppo corretto si faccia luce su quelle che sono le due più importanti criticità di cui soffre questo modello economico. Da una parte tutto l’aspetto dei competitor, basti pensare a due grandi contrapposizioni, quelle dei taxi e gli Uber o gli alberghi e Airbnb, e dall’altra la regolamentazione della tassazione dei profitti.
Risulta fondamentale l’operato che sta svolgendo l’Unione Europea per realizzare un assetto normativo in grado di regolamentare la situazione. Nella situazione attuale molte attività di sharing economy prevalgono su realtà di business consolidate negli anni, comportando così la decrescita di situazioni commerciali tradizionali. Questo comporta la perdita di quei valori di democrazia e meritocrazia che hanno sempre connotato la sharing economy facendola risultare sempre più come un business che si basa su una concorrenza poco leale.
Gli effetti positivi della sharing economy
La sharing economy è da sempre un fenomeno molto studiato e analizzato a fondo da vari Paesi, specialmente da quelli all’interno dell’Europa come il Regno Unito, Olanda e anche recentemente l’Italia. Questo per far si di poter incrementare sempre di più gli effetti positivi condivisi dalle varie parti in gioco e limitare quelli negativi.
L’ambiente e la tutela ambientale
Questo nuovo modello economico ha incentivato sempre più l’uso di auto condivise (car pooling) e di auto a noleggio in città (car sharing) che si dimostrano essere aspetti vantaggiosi nel rispetto dell’ambiente.
Per esempio, se molte persone per andare al lavoro decidono di muoversi con lo stesso mezzo in condivisione ossia fare car pooling, sicuramente questo porta al verificarsi di una diminuzione di costi per i singoli individui, una diminuzione del traffico, dell’inquinamento e dell’emissione di CO2 rispetto ad una situazione “tipo” dove ogni persona utilizza il proprio mezzo personale per singoli spostamenti.
Stesso discorso vale per un ulteriore fenomeno in evoluzione grazie alla sharing economy che è quello del noleggio auto definito car sharing: l’utilizzo di auto e mezzi che vengono messi a disposizione dei cittadini in varie città. È una possibilità nata recentemente che mette a disposizione a coloro che decidono di abbonarsi, molte auto reperibili su strada, offrendo il vantaggio di avere un’automobile privata e dunque si vanno ad eliminare i costi e le preoccupazioni che comporta il possedere un mezzo proprio. Questo porta ad una diminuzione dei costi per i singoli come detto in riferimento al car pooling e il mantenimento di un comportamento maggiormente rispettoso nei confronti anche dell’ambiente. Questi due aspetti possono essere collegati ad un beneficio emotivo. Grazie alla sharing economy, le persone sono più spinte alla condivisione valoriale, innovatività e altruismo.
La mobilità ecologica e sostenibile incentrata alla salvaguardia ambientale rimane infatti nell’ambito della sharing economy un punto molto centrale e uno forse ad oggi dei più sviluppati.
Legato a questi due importanti servizi troviamo la reputazione online dei partecipanti da intendere come vero e proprio parere espresso da coloro che hanno potuto usufruire e beneficiare di un determinato servizio se non dei due precedentemente citati. È da considerarsi un vantaggio sviluppato maggiormente con la sharing economy perché avere un feedback, prevalentemente online tramite app o siti web, dagli stessi consumatori finali che hanno usufruito di servizio, consente da un lato all’azienda di capire cosa è andato per il verso giusto e cosa invece bisogna migliorare per rendere migliore la customer experience, dall’altro ad altri potenziali clienti di conoscere il servizio e decidere di iniziare ad usufruirne. Questo è un fattore di successo in un’ottica di estrema trasparenza aziendale e di collaborazione diretta con i clienti e potenziali clienti.
Un ulteriore effetto positivo è l’accessibilità. Dato che nella sua accezione più comune la sharing economy non può esistere e sussistere senza Internet ed il mondo del web, grazie ad una sempre maggior facilità d’uso delle varie piattaforme è diventato immediato e semplice prendere in considerazione e utilizzare i vari servizi della sharing economy. Soprattutto il fatto che si fondi tutto sull’impiego di applicazioni e siti web anche per smartphone che permettono di utilizzare questi servizi anche in altre città in giro per il mondo.
Prezzi: con lo sviluppo della sharing economy si è visto un importante calo dei prezzi. Nello specifico beni e servizi che vengono offerti nell’ambito dell’economia collaborativa solitamente hanno un prezzo inferiore rispetto ai beni e servizi dei vari competitors che sono già ben consolidati nel mercato.
Per esempio Uber da la possibilità di spostarsi in città con costi inferiori rispetto al prendere un taxi normale. Un ulteriore esempio potrebbe essere il fatto di subaffittare una casa di una persona privata (Airbnb per esempio) costa solitamente meno del prenotare una camera d’hotel.
Opportunità di guadagno: questo aspetto è decisamente considerato tra quelli più innovativi della sharing economy, in quanto coloro che promuovono servizi legati all’economia della collaborazione hanno opportunità “flessibili” di guadagno cioè riescono ad avere maggiori introiti guadagnati in diversi modi. L’aspetto legato al guadagno si riferisce inoltre alla possibilità grazie a questo modello economico di incrementare l’efficienza facilitando l’incontro tra domanda e offerta, ma soprattutto diminuendo i numeri dei possibili intermediari.
C’è da dire però che anche le aziende hanno vantaggi relativi ai servizi della sharing economy. Analizziamo gli aspetti che interessano al mondo aziendale:
- con la sharing economy si sono sviluppati nuovi modelli di business: questi nuovi modelli di business sono legati alla condivisione, esempi tra i più famosi sono Depop, Airbnb, Uber e Netflix. La sharing economy va sempre più modificando aziende di servizi già ben consolidate con proposte nuove, non per forza diverse da quelle presenti precedentemente nel mercato. Se tutto ciò riesce in maniera ottimale, ci sono opportunità che comportano un ingente guadagno economico. La sharing economy ha in ogni caso il vantaggio di aprire a sempre nuove possibilità e di raggiungere clienti finali che prima non erano magari completamente entusiasti dell’offerta aziendale.
- Tecnologie efficienti: attraverso la mediazione di prodotti, servizi o anche informazioni tramite applicazioni, siti web e nuove tecnologie è possibile risparmiare molti soldi sui costi del personale o per esempio dell’utilizzo dei locali dedicati alle vendite; anche se software, siti web e applicazioni richiedono spese per la manutenzione.
Accesso ai dati utente: tramite l’interazione online le aziende sono in grado di raccogliere molti dati interessanti sui clienti e potenziali clienti presenti nella piattaforma. Questi dati possono essere usati sia per personalizzare l’offerta ai desideri dei clienti ma soprattutto per migliorarla.
Sharing economy: 10 anni dopo
Come abbiamo quindi già accennato, la sharing economy attualmente si trova in una fase di trasformazione, spesso generando contraddizioni e privilegiando la dimensione di mercato rispetto a quella sociale.
Fin da subito l’economia della condivisione, complice l’imminente rivoluzione tecnologica e la sempre maggiore voglia di creare grandi comunità, ha dato la possibilità di trasformare la propria realtà: dalle applicazioni di car sharing fino al servizio dei ristoranti a domicilio.
Negli ultimi anni, tuttavia, quello che inizialmente veniva descritto come un sogno si è trasformato ben presto in pura utopia, e gli esempi che dimostrano tali tendenze non mancano: dai rider di Glovo e quelli Deliveroo che lavorano a tempo pieno con guadagni minimi, per passare alla semplice condivisione delle auto che ben presto si è trasformata nel colosso mondiale Uber, in cui di condiviso c’è ben poco – gli autisti, infatti, sono a tutti gli effetti driver professionisti che svolgono un lavoro indipendente.
Ancora più significativo è il caso studio di Airbnb che nel 2017 aveva annunciato di voler costruire le proprie case in collaborazione con Brookfield Property Partners, una delle più grandi agenzie immobiliari al mondo.
Avrebbe dovuto essere un’economia condivisa, e invece molti la descrivono come una delle più centralizzate che si siano mai viste. Ma allora cos’è andato storto?
Prima di tutto, il fatto che queste piattaforme – invece di essere distribuite, numerose e rivolte a comunità ben precise (come si era immaginato all’inizio) – sono diventate dei monopoli verticali in cui c’è spazio per una sola per settore.
“Era una visione affascinante, con le sue radici nella ribellione contro l’autorità e la gerarchia”, scrive il sociologo Evgeny Morozov sul Guardian. “Questa visione, però, mancava di una cosa: il supporto dei partiti politici e dei movimenti sociali. Queste forze avrebbero potuto assicurarsi che le piattaforme locali ricevessero un adeguato supporto pubblico per evitare di essere soggette alle brutali leggi della competizione”.
Qualche riferimento del progetto iniziale però, ancora rimane: esempio sono le diverse compagnie di sharing come Enjoy e Car2Go per le auto, e Mobike per le biciclette, che si presentano come mezzi effettivamente condivisi.
Se da un lato aziende e studiosi visionari ci suggeriscono di investire in questo fruttuoso ambito, dall’altro sono numerose le testimonianze e riflessioni di chi intravede i rischi che la sharing economy sta portando con sé.
Che il possesso non sia più una priorità lo avevamo capito da tempo. Le nuove generazioni, infatti, sembrano sempre più attratte dalla condivisione e dallo scambio di beni che, una volta dismessi, potrebbero diventare l’oggetto del desiderio di qualcun altro.
I nuovi giovani preferiscono l’accesso al possesso, l’esperienza alla priorità chiarendo fin da subito che per i millennials acquistare oggetti non ha lo stesso valore che aveva per i loro genitori e i loro nonni. Si tratta di un fenomeno talmente diffuso negli ultimi anni, che la rivista Forbes lo ha rinominato “NOwnership”, ovvero non-proprietà, alludendo proprio alla fine del concetto di proprietà.
La nuova generazione non solo valorizza le esperienze, ma vi spende sempre più tempo e denaro: dai concerti e gli eventi sociali alle attività sportive, alle esperienze culturali e agli eventi di ogni tipo. Per questo gruppo, la felicità non è così concentrata sui possedimenti o sullo status professionale. Vivere una vita significativa e felice significa creare, condividere e catturare i ricordi guadagnati attraverso esperienze che abbracciano lo spettro delle opportunità della vita.
Sembra quasi, insomma, che l’economia della condivisione, l’economia dell’esperienza e la scelta di non comprare affatto si riferiscano ad alcune tendenze che non andranno da nessuna parte a breve.
Carmen Maio è una millennial di successo: è fondatrice e CEO di Nestio, un’azienda che si occupa di leasing immobiliare e racconta di come, in appena un decennio, il sogno americano di una casa di proprietà ha perso tutto il suo fascino per lasciare il posto all’affitto, soluzione economicamente e personalmente più vantaggiosa.
“Le nuove generazioni sembrano preferire le spese per i concerti, sport, ristoranti e viaggi”, andando a delineare una tendenza già ribattezzata come la “Experience economy”: non più beni e servizi, ora si vendono le esperienze.
Perché cambierà la sharing economy dopo il 2020
Spesso il 2020 viene definito come l’anno di svolta, riferendoci, principalmente, alla crisi globale che l’epidemia di Covid-19 ha portato con sé, investendo anche i grandi colossi mondiali.
Anche Airbnb, uno dei principali fautori della sharing economy, è dovuto sottostare alle nuove restrizioni legate all’emergenza, limitando enormemente i viaggi e gli spostamenti, e più in generale la voglia delle persone di usare e condividere qualcosa usato da altri. L’impresa ha quindi deciso di trasformare in qualche modo la propria economia, optando per le sempre più note “esperienze online”.
Ritornando agli esempi citati in precedenza, anche Uber, allo stesso modo, parla di una drastica diminuzione del lavoro: si parla di un calo del fatturato che gira attorno all’83%, tanto da suggerire ai propri dipendenti di provare a reinventarsi facendo consegne a domicilio.
La situazione in cui si trovano Airbnb e Uber è per molti versi simile a quella in cui si trovano anche moltissime altre aziende italiane, e sebbene ci siano notevoli differenze (le biciclette in condivisione non lasciano gli autisti senza lavoro) si tratta comunque, in quasi tutti i casi, di servizi per i quali la domanda è improvvisamente e drasticamente diminuita.
E se per il momento le imposizioni del governo ci impediscono di condividere, è possibile che nei prossimi mesi o anni, la situazione migliori: chi potrà, sceglierà più volentieri di usare uno scooter in condivisione o di noleggiare una bicicletta pur di non prendere un mezzo pubblico con altre persone; o di starsene da solo in una casa presa su Airbnb anziché dover frequentare un albergo.
La lunga e complessa trasformazione decennale della sharing economy non sembra dare segnali di arresa, e se da un iniziale impennata del fenomeno in cui la condivisione sembrava la soluzione ai nostri più grandi interrogativi, oggi, dopo più di dieci anni, potremmo assistere ad una nuova ed eccezionale rinascita di questa complessa ma straordinaria economia.
Il caso di “Jojob”
Jojob è una piattaforma di carpooling aziendale nata nel febbraio del 2014 a Torino e fondata da Gerald Albertengo. L’idea che sta alla base di questa piattaforma era inizialmente differente da quella che poi è diventata in pratica la base del servizio offerto da Jojob, essa doveva inizialmente essere una piattaforma on-line che permettesse la condivisione dell’automobile privata per lunghe tratte di viaggio.
Nel 2014 la creazione della piattaforma viene ultimata e Jojob diventa disponibile. Jojob propone un servizio di car sharing aziendale. L’idea è quella di sfruttare la vicinanza geografica di aziende al fine di consentire la nascita di sinergie tra realtà aziendali presenti sul territorio italiano. Attraverso la piattaforma web i dipendenti possono mettere in comune, condividendo la propria automobile adottando in questo modo un modello di mobilità sostenibile.
Nello specifico il prodotto offerto dalla piattaforma Jojob è un servizio di condivisione dell’automobile privata nel tragitto che va da casa a lavoro. Il prodotto può sembrare simile ai famosissimi Uber e Blablacar, ma in realtà Jojob è una novità in quanto è un servizio declinato in maniera completamente differente poichè si rivolge ad un target diverso e ben specifico, cercando di soddisfare un bisogno preciso di questo target ovvero spostarsi tramite brevi tragitti dalla propria casa all’ufficio e viceversa.
Con brevi tragitti si indica un raggio di percorrenza che va dai 10 ai 60 kilometri mediamente. Jojob mira quindi al soddisfacimento di tutti gli spostamenti che avvengono per motivi lavorativi e che usualmente collegano zone periferiche della città, dove è complesso trovare dei compagni di viaggio o avere a disposizione mezzi pubblici con sufficiente frequenza.
Questa piattaforma opera specialmente nella dimensione Business to Business, concentrandosi principalmente verso grandi aziende, ossia con più di 500 dipendenti, ma più nello specifico rivolgendosi direttamente ai suoi dipendenti. Tramite questa piattaforma inoltre si punta a ridurre di molto l’inquinamento atmosferico riducendo gli impatti ambientali dovuti dalla CO2. Inoltre il decreto interministeriale “Mobilità sostenibile nelle aree urbane” del 27/03/1998 ha permesso l’aumento della clientela di Jojob, in quanto il decreto è finalizzato alla riduzione dell’uso di mezzi di trasporto privati e richiede da parte delle aziende la nomina di un responsabile aziendale per la mobilità e la redazione di un piano degli spostamenti dalle abitazioni dei dipendenti al luogo del lavoro.
Le aziende dopo il decreto quindi cercano di ridurre i consumi ambientali di CO2 per mezzo del trasporto privato dei propri dipendenti. Jojob entra in aiuto, tramite il suo prodotto le aziende possono adempiere agli obblighi che il decreto richiede.
La piattaforma Jojob si basa sul principio della condivisione di un’auto privata di un dipendente che decide di condividere con altri dipendenti il tragitto verso il luogo di lavoro e viceversa. L’idea della piattaforma è quella di incoraggiare i dipendenti che lavorano in aziende limitrofe a condividere la propria automobile, in questo modo si hanno benefici per quanto riguarda il risparmio energetico, ambientale, personale ed economico.
Il servizio funziona tramite una logica di cluster, la creazione di questi cluster avviene indipendentemente dal mezzo di trasporto utilizzato dal singolo utente ma avviene tramite i dati inseriti dagli utenti nel momento della registrazione al portale. I dati richiesti che servono alla creazione del cluster sono: l’indicazione del punto di partenza e del punto di arrivo con l’indicazione degli orari e dei turni lavorativi. Le aziende che si registrano al portale vengono identificate con un codice unitario che poi verrà comunicato al singolo dipendente, così che sia possibile effettuare un meccanismo di matching tra aziende e dipendenti.
Oltre alla piattaforma web che permette la creazione del cluster e il mettersi in contatto tra i vari dipendenti, Jojob ha una sua applicazione per smartphone con scopi diversi da quelli del portale web che invece viene utilizzato per la registrazione e la creazione del cluster.
L’applicazione consente di registrare gli spostamenti in termini di chilometri percorsi e il numero di persone presenti all’interno dell’automobile. L’applicazione consente anche di misurare e “certificare” i benefici ambientali generati in termini di riduzione delle emissioni di CO2 e di risparmio energetico considerati il numero di passeggeri e i chilometri percorsi. Concretamente ad ogni inizio del viaggio sullo smartphone del conducente viene generato QR code che dovrà essere scannerizzato dagli altri passeggeri, si genera un collegamento tra tutti i dipendenti che condividono il percorso. In questo modo sarà possibile calcolare i chilometri percorsi e le quantità di anidride carbonica risparmiata considerato il numero delle persone presenti sull’automobile. Al termine del viaggio ad ogni utente viene assegnato un punteggio proporzionale al proprio contributo in termini di risparmio energetico e ambientale. Il punteggio è rappresentato sotto forma di foglie verdi e, al raggiungimento di determinate soglie, darà diritto all’utente a particolari sconti o promozioni presso le aziende partner.
La piattaforma è centrata sul processo della Gamification per far in modo di incentivare gli utenti alla condivisione. Il procedimento di gamification consente di offrire servizi sottoforma di gioco e lo scopo principale è di arricchire l’esperienza del consumatore. I servizi e prodotti utilizzano la gamification per la creazione di un sistema che attribuisce ricompense e/o incrementa la reputazione mediante l’attribuzione di punteggi, badge, livelli e gradi di importanza nella comunità di gioco virtuale. Una particolarità del sistema è il ruolo attivo dell’utente che diventa protagonista del meccanismo e dell’esperienza di gioco che si instaura.
Andiamo ora ad elencare i principali vantaggi della piattaforma Jojob sia dal punto di vista delle aziende che le utilizzano sia per quanto concerne i vantaggi da parte dei dipendenti.
I vantaggi per le aziende:
- Strategia di Corporate Social Responsibility
A livello aziendale l’offerta di un servizio di mobilità sostenibile come quello offerto da Jojob può rappresentare una strategia della responsabilità sociale d’impresa. Il carpooling aziendale inserito in logica di Corporate Social Responsibility rappresenta una fonte di vantaggio competitivo sia livello strategico sia a livello comunicativo nei confronti dei clienti attenti a tematiche legate alla sostenibilità e aumenta anche l’immagine dell’azienda agli occhi dei possibili clienti.
- Soluzione di Mobilità più efficiente
Secondo vantaggio rintracciabile a livello aziendale è la creazione di una nuova soluzione alla mobilità aziendale che sia maggiormente efficace ed efficiente e che sia accessibile a tutti i dipendenti. Le aziende normalmente rispondono alle necessità di mobilità dei dipendenti con tradizionali servizi di navetta, con accordi o convenzioni speciali con i mezzi di trasporto pubblico. Molto spesso i dipendenti in prima persona percepiscono queste soluzioni come scomode e poco flessibili. Conseguentemente il tasso di utilizzo di tali proposte di mobilità è scarso, poiché l’offerta molto spesso non è adeguata alle necessità e alle aspettative dei dipendenti. Queste soluzioni alla mobilità, oltre che non raggiungere gli obiettivi per le quali sono pensate, rappresentano servizi onerosi per l’azienda.
- Riduzione assenze dovute a scioperi o imprevisti
Grazie all’utilizzo del servizio offerta da Jojob, le aziende hanno la possibilità di entrare in possesso di uno strumento per controllare e cercare di ridurre le assenze lavorative dovute a scioperi del servizio di trasporto pubblico e imprevisti. Infatti Jojob, in caso di scioperi e imprevisti, è in grado di offrire ai dipendenti una veloce alternativa per raggiungere il posto di lavoro.
- Certificazioni ambientali
L’applicazione per smartphone creata da Jojob consente all’azienda di “certificare” le riduzioni di anidride carbonica e il risparmio energetico. Tali dati vengono forniti all’azienda possono essere utilizzati per lo sviluppo di strategie volte all’ottenimento di certificazioni ambientali ed energetiche come ISO 14.000 e EMAS. L’azienda attraverso il portale web può accedere all’area contenente statistiche e dati sia a livello generale sia a livello più specifico. Le statistiche comprese nella sezione dedicata permettono al referente aziendale di monitorare il numero di dipendenti che hanno aderito al servizio, i viaggi effettuati da ogni dipendente, i chilometri percorsi e le quantità di CO2 risparmiate.
- Aumento della Brand Awareness e reputazione aziendale
L’utilizzo del servizio di carpooling inoltre aumenta la brand awareness aziendale a livello sociale e ambientale, grazie alla possibilità di avere accesso a dati concreti che ne misurano l’efficacia. Inoltre a livello strettamente pratico il carpooling ha vantaggio di modificare la viabilità e riduce la necessità di creazione di parcheggi o di possibili collaborazioni con parcheggi privati.
Andremo ora ad elencare quelli che sono emersi i vantaggi per quanto riguarda i dipendenti che usufruiscono per prodotto di Jojob.
- Risparmio economico, di tempo e sostenibilità
La localizzazione dell’azienda è un fattore molto importante che ha un peso significativo nel momento in cui il dipendente sceglie il luogo di lavoro. Il raggiungimento del posto di lavoro è oneroso in termini di carburante, pedaggi, costi di manutenzione del veicolo, abbonamenti a mezzi pubblici sia in termini di stress e di dispendio di tempo che potrebbe essere utilizzato diversamente. Si calcola che di media un tragitto di 15 chilometri per raggiungere il posto di lavoro si traduca in una spesa annua di 2300 euro di carburante, considerato il costo di un litro di benzina pari a 1,8 euro per 220 giorni all’anno. Il risparmio avviene anche in termini di CO2: si calcola che per ogni chilometro percorso si emettano 130 grammi di anidride carbonica. In un anno potenzialmente ogni veicolo emette 10 tonnellate per chi percorre all’incirca 60 chilometri al giorno. Attraverso la condivisione dell’automobile si può arrivare ad un risparmio dell’80% e si ha un risparmio di media superiore anche all’utilizzo di mezzi alternativi come treno o mezzi pubblici.
- Mobilità flessibile e occasione di relazioni interpersonali
La condivisione permette di risparmiare tempo: i mezzi pubblici possono rappresentare un’alternativa alla mobilità poco flessibile, comportando orari e percorsi fissi, ritardi e scioperi che avvengono sempre con più frequenza. Particolarità dell’applicazione è la possibilità di mandare a tutti i contatti della rubrica una notifica “Sono a piedi” in caso di emergenza. La mobilità tradizionale, ossia quella legata all’utilizzo dei mezzi di trasporto, comporta un’alta componente di stress quotidiano che nasce ad esempio dal sovraffollamento dei mezzi di trasporto, poca comodità del viaggio e ansia riguardo a possibili ritardi e conseguentemente all’arrivo puntuale sul luogo di lavoro. La condivisione permette inoltre di approfittare del viaggio obbligato casa-lavoro trasformandolo in un momento di socialità e di convivialità producendo un accrescimento delle relazioni interpersonali con colleghi e dipendenti di aziende limitrofe, con la quale non è detto non possano nascere amicizie o collaborazioni dal punto di vista lavorativo.
- Ricompense, benefit e premi
Aderendo al carpooling e utilizzando l’applicazione si possono accumulare punti ed ottenere benefits aziendali, premi o buoni sconto messi in palio dal servizio stesso. Una volta che il viaggio è concluso, l’applicazione calcola per ogni passeggero i chilometri percorsi, e la quantità di CO2 risparmiata sia a livello di singolo passeggero sia a livello complessivo. In base a questi due valori ad ogni passeggero è assegnato un punteggio, sotto forma di foglie verdi. Una volta accumulati un certo numero di foglie l’utente può avere accesso a sconti o agevolazioni presso le altre aziende partner.
Caso studio: Peer to Peer
È sempre più ricorrente trovare il termine Peer-to-Peer sul web e accanto alle definizioni di Sharing Economy, poiché quest’ultima si riferisce a un modello di relazione basato sul sistema delle reti.
L’acronimo Peer-to-Peer in italiano significa “punto-a-punto”. Molte volte possiamo trovare la dicitura P2P ma indicano la medesima cosa. Le due “P” all’interno definiscono i “peer” i nodi, mentre il “2” al centro dell’espressione si riferisce al “to” che li mette in relazione.
Con P2P quindi s’intende una tecnologia informatica di rete nella quale i vari nodi che la compongono, o client della rete, si scambiano informazioni in modo paritario. Quindi i nodi detti anche peer possono svolgere indifferentemente sia la funzione di client che di server. Una rete P2P infatti è un’infrastruttura in cui l’accesso ai dati può avvenire anche in assenza di server dedicati. Una rete P2P si riferisce ad una rete di computer che utilizzano un’architettura distribuita e decentralizzata, in cui tutti i pc e dispositivi che ne fanno parte vengono definiti peer, condividono e scambiano carichi di lavoro tra loro.
Ogni peer e quindi nodo all’interno di una rete di questo tipo è uguale agli altri. Non vi sono dei peer con maggiore importanza. Inoltre non vi è nemmeno un dispositivo centrale che amministra la rete. Infatti all’interno del mondo informatico è considerata il modello di rete più “egualitario” poiché ogni peer è uguale agli altri e ha gli stessi diritti. Ogni risorsa disponibile all’interno di questo modello di rete è condivisa tra i vari nodi, evitando il coinvolgimento di un server centrale.
Le risorse che si possono condividere in una rete P2P sono di vario tipo come la condivisione della potenza del proprio processore, della capacità di archiviazione su disco, o della larghezza di banda della rete. L’uso più comune per questo modello di rete però è la condivisione di file su Internet. Il modello P2P è l’ideale per condividere file poiché consente ai pc collegati di ricevere e inviare file contemporaneamente.
In genere un utente scarica un file aprendo un browser, visitando il sito web appropriato e che preferisce e scaricando il file. In questo caso, il sito web ha la funzione di server, mentre il computer dell’utente funge da client con cui riceve i dati. Tutto questo può essere paragonato a una strada a senso unico in cui il file è trasferito dal punto A, il sito Web, al punto B, il computer che viene utilizzato dall’utente. Se l’utente invece scarica lo stesso file attraverso una rete P2P, il download è gestito diversamente. L’utente infatti deve installare sul proprio pc un software P2P, la cui funzione è quella di creare una rete virtuale di utenti di applicazioni P2P. In sostanza quando l’utente scarica il file, questo è ricevuto in piccole parti di file provenienti da vari computer che fanno parte della rete e che dispongono già di quel “documento”. Inoltre i dati vengono inviati anche dal computer dell’utente ai computer che li richiedono. Non si parla più di una strada unica ma di una strada a doppio senso poiché il file è scomposto in frammenti in rete che andranno a comporre il file completo finale nel computer dell’utente. Quindi il carico di trasferimento del file completo è distribuito tra la rete dei computer peer.
Il modello Peer to Peer è per esempio usato da alcune piattaforme di gioco online che utilizzano questa architettura di rete per far scaricare i giochi tra utenti. L’azienda videoludica Blizzard Entertainment ne è ambasciatrice e distribuisce attraverso P2P titoli come Starcraft e World Of Warcraft. Vi sono anche altre applicazioni del peer to peer tra queste possiamo trovare le criptovalute come il bitcoin[4] che si basano sul trasferimento decentralizzato e non su un server principale, o programmi per la condivisione della connessione internet come Open Garden.
I vantaggi delle reti P2P sono molteplici. È difficile eliminare una rete di questo tipo in quanto anche se uno dei peer viene chiuso, tutti gli altri continuano a comunicare. Per eliminare totalmente una rete P2P bisogna chiudere tutti i suoi peer. Sono molto più economiche poiché non vi è la necessità di acquistare un server i cui prezzi sono molto alti. Le reti di questo tipo inoltre sono molto scalabili e l’aggiunta di nuovi peer è molto semplice in quanto non bisogna agire sul server principale. La trasmissione dei file è molto più veloce poiché il file si trova archiviato su molti nodi della rete e quando un utente deve scaricarlo, il file viene reperito da più posizioni contemporaneamente.
Uno dei protocolli P2P più diffusi per comunicare all’interno della rete è sicuramente BitTorrent. Consente la distribuzione e la condivisione di diverse tipologie di file come immagini, applicazioni, file multimediali di qualsiasi tipo per esempio musica, film ecc…
Il funzionamento è già stato spiegato in maniera sintetica in precedenza, in altre parole i file che si vogliono condividere vengono suddivisi in tante piccole parti e vengono inviate rispettivamente a chi li richiede. Una volta che tutti i frammenti sono scaricati nel pc del destinatario, il file completo prende forma. I frammenti possono provenire da più fonti e a nostra volta noi utente li invieremo ad altri.
Il protocollo Bitorrent utilizza una rete costituita da 5 elementi fondamentali:
– Peers: utenti che stanno scaricando il file ma che non lo hanno ancora completato, al tempo stesso condividono i frammenti del file che possiedono.
– Seed: sono i proprietari e i primi che hanno diffuso il file in rete, oppure coloro che hanno scaricato il file completamente. Sono gli unici che possono fornire informazioni importanti e complete sul contenuto del file.
– File.torrent: sono dei file con estensione .torrent e che pesano pochi kilobyte che si possono trovare sul web che contengono le info del file che si vuole scaricare ma non il file completo. Di solito contiene una “mappa” dei frammenti nel quale il file è stato suddiviso. Senza un file .torrent non si può scaricare nessun documento in BitTorrent.
– Tracker: svolge la funzione di server centrale ovvero coordina e riceve le varie richieste da parte degli utenti che vogliono scaricare il file fornendone le informazioni per iniziare la loro operazione. È molto importante sottolineare che il tracker non contiene nessun file.
– Client BitTorrent: è un software che l’utente deve installare nel proprio pc e che permette di effettuare tutte le operazioni sopracitate. Basterà incollare o aprire il file .torrent per cominciare il download di un documento. Tra i molti client disponibili in rete uno dei più diffusi e utilizzati in tutto il mondo è uTorrent.
Grazie all’elevata efficienza e la velocità con cui è possibile scaricare file di dimensioni molto grandi spesso l’utilizzo di questo protocollo è associato alla pirateria. È un modo molto veloce ed efficace che le persone utilizzano per condividere contenuti protetti da copyright come film, musica, libri ecc… Bisogna sottolineare che l’utilizzo del client BitTorrent non è illegale se si scaricano contenuti liberi al pubblico. È uno strumento con potenzialità infinite che se usato in maniera corretta può aiutare a ridurre i crash della struttura di Internet. È necessario comunque avere molta attenzione poiché una struttura aperta come il P2P può essere usufruita anche da utenti con intenzioni non buone come i cybercriminali. Bisogna porre l’attenzione dovuta ed evitare i problemi di privacy, malware e l’esposizione ad attacchi informatici.
Il senso di comunità nella sharing economy: focus sul marketing tribale e mediterraneo
Con l’overload comunicativo e informativo degli ultimi decenni, anche il marketing sta cercando nuovi modelli che rispecchiano i nuovi bisogni e le nuove tendenze della società e degli individui. La sharing economy ha aperto la strada a nuove forme di marketing, orientato alla creazione di una comunità, alla collaborazione ed alla partecipazione dei consumatori.
Considerando la tendenza alla partecipazione dei consumatori, i nuovi approcci al marketing si basano sull’idea che l’azienda non è un solo un attore economico, ma diventa un attore sociale che, di conseguenza, è inserito in un sistema di relazioni interpersonali di cui deve necessariamente tenere conto per la costruzione delle proprie strategie. Viceversa, il consumatore diventa un portatore di competenze e un attore con cui dialogare direttamente. Il marketer in quanto tale si assume anche il ruolo di sociologo, ovvero studioso dei fatti sociali e dei comportamenti sociali del consumatore: l’incrocio tra il termine “marketing” e “sociologia” prende il nome di “societing”, inteso come la capacità di un’impresa di agire in società. Il contesto in cui il marketing è cambiato e i nuovi confini non sono più definiti dal mercato, ma dalla società. Il societing sottolinea che il mercato è una parte della società, un suo sottosistema: in quanto tale inevitabilmente subirà le conseguenze dei cambiamenti nella società.
La nostra epoca è spesso connotata come l’era dell’individualismo, ma la sharing economy ha fatto riemergere le logiche del collettivismo, concetto alla base di una società. Gli individui ricorrono sempre più spesso a pratiche di consumo collettive per colmare il desiderio di comunità senza sacrificare le loro volontà individuali: partecipano a diverse reti che li permettono di costruire, sviluppare e mantenere delle relazioni con altri soggetti. L’individuo si risveglia da quella che è stata una situazione di isolamento per un’apertura verso gli altri: ed è così che diventa possibile condividere una stessa auto. una bici, la casa o il lavoro con gli altri. All’isolamento si contrappone condivisione e solidarietà tra lavoratori, famiglie, vicini, amici.
Alla luce di questa nuova prospettiva generata dallo sviluppo della sharing economy il marketing si ritrova ad affrontare una nuova sfida. La comunicazione rimane one-to-one, secondo le logiche del societing: il consumatore partecipa attivamente in un dialogo con l’impresa che è focalizzata alla realizzazione dei bisogni e dei desideri del proprio cliente. Tuttavia, si aggiunge una nuova considerazione: il consumatore in quanto attore sociale è inserito all’interno di una società o di una comunità. Come abbiamo visto, l’epoca postmoderna, infatti, vede l’avvio di un movimento di ricomposizione comunitaria e non un trionfo dell’individualismo. In questo nuovo contesto si inserisce il concetto di marketing tribale.
Il marketing tribale, in inglese tribal marketing, è un approccio non-convenzionale che si sviluppa in Europa e punta alla creazione di una comunità o di una tribù collegata al prodotto o al servizio che viene offerto dall’impresa. La peculiarità di una tribù, a differenza di una società, è l’omogeneità culturale o linguistica, al di là della geolocalizzazione dei singoli appartenenti: i singoli membri di una tribù condividono stessi valori e bisogni. Il marketing tribale nasce dall’attenzione che viene rivolta alle nuove aggregazioni che si creano con la società post-moderna passando da uno sradicamento moderno (individuo, libertà, globalizzazione) ad un ri-radicamento post-moderno (comunità, legame, autenticità, localizzazione). Questo approccio si focalizza sulla creazione di un sentimento comunitario che fortifica il legame tra i consumatori, guidandoli verso la condivisione di passione e interesse verso un prodotto o un brand specifico. Grazie al web 2.0, oggi proliferano community online e tribù di consumatori composte da consumatori eterogenei per caratteristiche socio-demografiche, ma uniti dalla stessa passione di consumo. Un esempio di tribù di questo tipo è rappresentato dagli Hoggers (H.O.G., Harley Owners Group): così si chiamano i componenti della community di Harley Davidson. Il noto brand da sempre ha posto le fondamenta per la creazione di una moto non come un semplice mezzo di trasporto, ma come uno strumento che unisce ed accoglie tutti i biker e gli appassionati di moto.
In base a quanto visto finora, marketing tribale ed economia condivisa presentano chiaramente alcuni punti di incontro, specificamente:
- la presenza di una piattaforma tecnologica, dove si innestano relazioni digitali: la sharing economy si basa non solo su dei beni fisici (mezzi di trasporto, biciclette, vestiti), ma anche su prodotti digitali (app), spazi, competenze ed idee. Analogamente il marketing tribale ruota a persone fisiche che hanno come luogo di incontro lo spazio digitale;
- collaborazione, connotata come dinamica relazionale tra soggetti che condividono beni, servizi o valori: la condivisione è di nuovo valorizzata assumendo un ruolo centrale, tanto da diventare la raison d’être, la ragione di esistere sia del marketing tribale che della sharing economy e può presentarsi sia sotto forma di beni e/o servizi fisici o di emozioni comuni;
- preferenza per le relazione peer to peer, cioè relazioni paritarie: la sharing economy punta alla creazione di solidarietà collettive che non alimentano una gerarchia individuale, ma un consumo collaborativo, così come le tribù dei consumatori instaurano legami paritari tra i singoli membri.
Una declinazione del marketing tribale è rappresentata dal marketing mediterraneo, un approccio non nuovo, ma attualmente applicabile. Il marketing mediterraneo “promuove un’identità mediterranea e cerca di generare un sentimento di comunità, di appartenenza, di autenticità”, secondo la definizione di Bernard Cova (2003), uno dei maggiori esponenti di questo pensiero. L’approccio mediterraneo si contrappone alla logica americana che risponde essenzialmente alla tendenza all’individualizzazione e personalizzazione da parte dei consumatori; con il pensiero mediterraneo gli individui sempre più isolati cercano di ristabilire un legame sociale comunitario in una prospettiva many to many. Gli obiettivi delle strategie del marketing mediterraneo sono mantenere il legame che si crea fra i consumatori aiutandoli a condividere le loro passioni e fare leva sul loro bisogno di autenticità (Giordano, 2005). Come dice il termine è fondato sui valori tipici della mediterraneità: propone la rivalutazione della lentezza in contrapposizione alla vita frenetica, un ritorno alla tradizione e al localismo a discapito dell’universalità, al consumo come agire sociale e alla ricerca di un bene comune.
Il marketing mediterraneo si applica facilmente nel mondo alimentare, specialmente nel mondo del slow food, come ci ha riportato Eataly. Il colosso made in Italy ha trovato il proprio successo grazie ad un ritorno alla località e alla lentezza. Eataly rende i consumatori consapevoli del loro consumo offrendo prodotti artigianali all’insegna della sostenibilità dei processi produttivi, con una forte connotazione locale e ispirazione ai valori del consumo a km 0.
Biografia
Caterina Bozza 4 settembre 1997
Laurea Triennale in Scienze e Tecniche del Turismo Culturale presso l’Università degli Studi di Udine. Studentessa del Corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication dello IUSVE di Mestre. L’arte e lo sport sono le passioni che coltivo da quando ero bambina.
Giacomo Barbiero 17 ottobre 1995
Laureato in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l’Università di Ferrara.
Sono attualmente uno studente dello IUSVE di Mestre del Corso di Laurea in Web Marketing & Digital Communication. Mi piace fare foto e viaggiare.
Paola Bazzo 19 maggio 1996
Laureata in Relazioni Pubbliche Università degli studi di Udine – sede Gorizia,
attualmente studentessa del Corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication dello IUSVE di Mestre. Amo viaggiare, il flowers design e cucinare, decisamente appassionata del mondo della psicologia.
Maddalena Breda 9 maggio 1996.
Laureata in Scienze e Tecnologie della Comunicazione all’Università di Ferrara.
Studentessa del Corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication dello IUSVE di Mestre. Da sempre la mia passione è viaggiare e scattare fotografie in giro per il mondo.
Giulia Bellio 3 giugno 1997.
Laureata in Relazioni Pubbliche all’Università di Studi di Udine – Gorizia. Attualmente sono studentessa del Corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication allo IUSVE di Mestre. Mi piace viaggiare e soprattutto dipingere.
Daniele Balsamo 20 febbraio 1996. Laureato in Scienze e Tecnologie della Comunicazione di Ferrara. Sono attualmente iscritto al Corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication dello IUSVE di Mestre. Sono un appassionato di videogiochi e video, specialmente su Youtube.
Nicolas Baldoin 11 novembre 1997
Laureato in Scienze e Tecnologie della Comunicazione di Ferrara. Sono attualmente iscritto al Corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication dello IUSVE di Mestre. Sono un appassionato di moda, sport, videogiochi e musica.
Hasnae Benzaroual 15 luglio 1995
Laureata in Comunicazione all’Università degli Studi di Padova, frequento ora il corso di Web marketing allo IUSVE. Maniaca dell’ordine, appassionata di qualsiasi cosa che sia arte e Netflix addicted.
Sitografia
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http://collaboriamo.org/ecco-come-cambia-la-sharing-economy-a-5-anni-dalla-sua-comparsa-in-italia/
https://www.italiachecambia.org/2017/02/sharing-economy-rivoluzione-economia-collaborativa/
Sharing economy, cosa è (e perché è difficile dire cosa è https://www.economyup.it/innovazione/sharing-economy-cosa-e-e-perche-e-difficile-dire-cosa-e/
Cadoni M. Sharing economy: è davvero un bene per la nostra economia? Ultima modifica 8 Giugno 2016. Articolo consultato in data 16 Maggio 2020 dal sito https://www.insidemarketing.it/sharing-economy-per-economia-italiana/.
Cova, Marketing tribale, Ediz. Il Sole 24 Ore Libri 2005
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Articolo “Tips to Build An Awesome ‘Harley Davidson Style’ Online Community”
https://www.entrepreneur.com/article/290404
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Adams M. Cos’è Un’Economia Tradizionale? https://it.ripleybelieves.com/what-is-traditional-economy-168
D’Urso G. Sharing economy: forte crescita entro il 2025. L’Italia è pronta?
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Bonini E, La sharing economy vola, ne fanno uso oltre 100 milioni di europei. Italiani quarti per alloggi via app
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Sharing economy, la rivoluzione dell’economia collaborativa https://www.italiachecambia.org/2017/02/sharing-economy-rivoluzione-economia-collaborativa/
Team di collaboratori, Quali sono i vantaggi di un’economia tradizionale?
Articolo consultato in data 13 Maggio 2020 dal sito https://dizionariodieconomia.blogspot.com/2016/02/quali-sono-i-vantaggi-di-un-tradizionale.html
La crisi della sharing economy
Articolo consultato in data 12 Maggio 2020 dal sito https://www.ilpost.it/2020/05/03/sharing-economy-crisi-coronavirus/
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https://www.youtube.com/watch?v=1MgBrrMIkhc&t=1104s
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