Il processo identitario all’interno di Instagram: come si costruisce la propria identità attraverso la tecnologia mediale.

I social network sono diventati parte integrante delle nostre vite, della nostra quotidianità. Con piccoli semplici gesti permettono di tenersi in contatto con milioni di persone, curando così i propri rapporti interpersonali o lavorativi.

Hanno cambiato profondamente il modo di comunicare fra gli individui, e di conseguenza, le relazioni fra gli stessi.

Hanno modificato la percezione non solo della realtà in cui viviamo, poiché funzionano come una vetrina in grado di amplificare e spettacolarizzare il presente; ma in particolare, la loro diffusione ha portato un’indebolimento della distinzione tra realtà e le sue forme di rappresentazione. Hanno radicalmente cambiato l’essenza della nostra personalità: l’identità.

Viviamo nell’era della rivoluzione digitale, in cui il singolo non è più semplicemente uno spettatore passivo, ma diventa un produttore di contenuti. Contenuti che vengono pubblicati all’interno dei social network senza problemi, poiché ritenuti delle vetrine digitali in cui tutti sono perennemente in ascolto. Tutto deve essere condiviso: ogni esperienza della vita concreta deve essere necessariamente rappresentata attraverso i social network per essere considerata vera. (Codeluppi V., “Ipermondo. Dieci chiavi per  capire il presente.”, Editori Laterza, Bari-Roma, p.134)

L’importanza del “vedere” risale all’ottocento con l’affermarsi della fotografia e della metropoli come modello urbano. In questo nuovo contesto, l’uomo diventa uno spettatore, che attraverso il vedere conosce il mondo e ricostruisce il senso del proprio quotidiano.

Da sempre l’immagine è il centro della condizione umana, attraverso di essa, l’uomo riesce a immedesimarsi nella vita degli altri e a esaudire il desiderio di evadere dalla propria quotidianità.

Come sosteneva il sociologo M. McLuhan, i mezzi di comunicazione sono dei prolungamenti dei nostri sensi, per l’appunto, viviamo le esperienze sensoriali attraverso i medium: “I mezzi di comunicazione, alterando l’ambiente, evocano in noi sintesi uniche di percezioni sensoriali. L’estensione di un qualsiasi senso altera il modo in cui pensiamo e agiamo, il modo in cui percepiamo il mondo. Quando questi rapporti cambiano, cambiano gli uomini”. (Fiore Q., McLuhan M., “Il medium è il massaggio”, Corraini Edizioni, Mantova 2011, pp.19-20)

  

A differenza della scrittura, l’immagine si adatta in modo migliore al presente, infatti, come osservava McLuhan: “Gli effetti della tecnologia non si verificano infatti, al livello delle opinioni o dei concetti, ma alterano costantemente, e senza incontrare resistenza, le reazioni sensoriali o le forme di percezione. […] In una società alfabeta e omogeneizzata l’uomo cessa, infatti, di essere sensibile alla vita diversa e discontinua delle forme. Acquisisce l’illusone della terza dimensione e il «punto di vista personale» diviene parte integrante della sua fissazione narcisistica”. (Fiore Q., McLuhan M., “Il medium è il massaggio”, Corraini Edizioni, Mantova 2011, pp.19-20)

Instagram è un social network basato sulla condivisione di emozioni visuali, grazie alla possibilità di modificare i contenuti attraverso filtri, rende le fotografie uniche e accattivanti.

Attraverso le proprie fotografie, gli utenti raccontano solo la parte estetica della loro vita, creando un sistema di significati efficace ed efficiente, per mezzo dei quali possono crearsi diverse identità digitali. Riescono a costruire delle relazioni digitali basate sulla fiducia, che riescono a cambiare comportamenti, opinioni, atteggiamenti e decisioni d’acquisto.

Instagram, dunque, può diventare un laboratorio di identità: pubblica e privata, esposta e nascosta, possibile o immaginaria, attraverso cui l’individuo esprime una libertà nella scelta dei modi con cui comunicare e socializzare con gli altri mai incontrata prima.

Il meccanismo di creazione dell’identità digitale all’interno di Instagram è basato sulla possibilità di rappresentare un’immagine di sé stessi in modo indipendente e personalizzato. 

Ciò invece, non avviene nella vita reale in cui la percezione di sé e la costruzione dei propri ruoli all’interno della società sono processi basati su un laborioso meccanismo di identificazione sociale che all’interno di Instagram lasciano spazio all’ “individualismo in rete”: una nuova forma di individuo che secondo Manuel Castells può emergere in un’epoca in cui il concetto di individuo si sta gradualmente sgretolando. Un individuo-network totalmente connesso in rete che non è più in grado di distinguere tra il privato e il sociale. (Codeluppi V., “Ipermondo. Dieci chiavi per capire il presente.”, Editori Laterza, Bari-Roma, p.135)

Gli individui hanno la tendenza a diventare qualcos’altro e Instagram è il mezzo perfetto per farlo. Ogni individuo può sperimentare sé stesso, parti diverse del proprio carattere, diventare una persona completamente diversa, stravolgere completamente la propria identità. Tutto ciò che viene pubblicato all’interno dei propri profili social prende parte del racconto che noi stessi facciamo leggere agli altri; ogni post condiviso e pubblicato rende noto a tutti il proprio essere, il proprio Io.

Si creano così delle identità usa e getta, creata in quello specifico momento e circostanza, non più costruita su di un programma a lungo termine. Il proprio Io viene costruito di volta in volta nel corso della situazione interattiva in cui si trova, risulta fluido, mutevole e pieno di contraddizioni, ecco perché dentro di noi possono convivere anche immagini contrastanti.

Come sostiene Bauman, infatti, la nostra è una società liquida. Per lo studioso, “la nostra modernità nasce dallo scioglimento delle vecchie certezze: le grandi ideologie, istituzioni un tempo granitiche (famiglia, Chiesa e Stato in primis), la nostra stessa identità”.  Secondo il suo parere siamo nell’età dell’identità liquida: “I liquidi non possono preservare la loro forma per troppo tempo, mutano continuamente e in maniera imprevedibile. La condizione di bisogno implica questa necessità di ri-identificazione continua”.

Tutto ciò è una conseguenza del fatto che le persone devono imparare a sopravvivere in una società dove ciascuno ha l’obbligo di essere sempre in rete, di presentarsi sempre al meglio. Ne deriva che l’individuo si percepisce come il frutto di ciò che è in grado di pubblicare nel proprio profilo Instagram. Si sente realmente appagato soltanto se ottiene una certificazione dalla platea che ha davanti rispetto alla sua esistenza, attraverso like e commenti. Così facendo può dimostrare che la sua vita non è futile o inconcludente.

Deve, quindi, riuscire a suscitare curiosità e attirare l’attenzione degli altri cercando di emozionare attraverso le fotografie che rappresentano la sua identità digitale. Per questo motivo si denuda della propria anima perché non si deve solamente esporre, ma deve cercare di raggiungere il maggior livello di visibilità possibile. Una visibilità che può essere raggiunta costruendosi una realtà che sembra vera, ma in realtà e un’identità artificiale che consente di mascherarsi. (Codeluppi V., “Ipermondo. Dieci chiavi per capire il presente.”, Editori Laterza, Bari-Roma, p.132)

Per questo, come già esposto in precedenza Instagram è un laboratorio di identità, ognuno di noi può crearsi una vita parallela e diventare chiunque noi vogliamo. La nostra identità, il nostro Io non è altro che mutevole e precario, debole e fragile perché è il prodotto di un’esibizione di sé e si diffonde in maniera crescente attraverso un atteggiamento di tipo narcisistico. (Codeluppi V., “Ipermondo. Dieci chiavi per capire il presente.”, Editori Laterza, Bari-Roma, p.132)

D’altro canto però, questo aspetto secondo il mio punto di vista non per forza deve essere letto come un aspetto del tutto negativo e distruttivo. Infatti, la creazione di diverse identità digitali possono offrire la possibilità di sperimentare nuove sfaccettature del proprio Io, senza apparentemente troppi rischi elevati.

E’ possibile costruire una propria identità generica e con caratteristiche non troppo delineate, di cui potersi liberare velocemente, ma è anche possibile inventare identità integre e accennate la cui importanza nel mondo virtuale è tanta quanto quella nella vita reale. La rete, dunque può essere vista anche come un’arma in più per scoprire aspetti nascosti o sconosciuti di sé stessi, per farli propri e utilizzarli come punti di forza e ulteriori competenze da giocare poi nel mondo reale.

Come sostiene Bauman la funzione dell’identità, negoziata o creata, è stata quella di rendere visibili e narrabili storie e personalità, per distinguerne l’unicità e al contempo manifestarne la molteplicità. (Ferpi, “Segnavie: Bauman e le identità liquide” URL: https://www.ferpi.it/news/segnavie-bauman-e-le-identita-liquide)