Il fatto che la società sia formata da complesse reti di relazioni tra i singoli individui, tra questi e gruppi portatori di distinti interessi, tra questi ultimi e regioni, nazioni e organismi internazionali è antico quanto l’umanità.
A differenza del passato però la conoscenza dell’organizzazione a rete di un determinato spazio sociale è divenuta una forma indipendente di produzione e profitto.
Mentre cioè nel passato la comprensione della società come rete rappresentava uno dei modelli di analisi possibile (accanto alle più tradizionali dicotomie individuo – Stato, singolo – massa, classe sociale, …), oggi la rete rappresenta la forma dominante di organizzazione sociale tanto che la propria struttura di legami sociali, mediatici ed economici è presente e caratterizza ogni livello di indagine (individuale, di gruppo / organizzazione, sociale). Sempre più marcatamente, tali legami sociali collegano, definiscono e organizzano ogni parte di queste formazioni (singolo individuo, gruppo e organizzazione).
Molti tra i fenomeni di cui oggi si discute in televisione così come nelle aule dei centri di ricerca e delle università sono di per sé incomprensibili a chi voglia affrontare la discussione privando il proprio lessico della nozione di “rete sociale”.
Il capitalismo e la finanza globale, i flussi migratori che muovo masse sempre più numerose dai luoghi poveri e affamati del pianeta verso quelli più ricchi e fortunati, la comunicazione istantanea di Twitter e Blackberry, le recenti rivoluzioni dei paesi nordafricani, il popolo di Seattle e la rabbia dei manifestanti inglesi nel calore dell’estate 2011 sono – per quanto distinti – fenomeni essenzialmente di rete, nel senso che presuppongono al proprio essere una rete di legami sociali.
Sommario
Il Villaggio globale
Constatare questa ovvietà non risponde però a due questioni essenziali. La prima comincia con il chiedersi quanto il paradigma della rete incida nel mondo contemporaneo diversamente dal passato. La seconda, più tecnica, si domanda se lo scienziato sociale debba trattare reti biologiche, informatiche e sociali come diversi fenomeni che però hanno origine, regole e un modello in comune oppure come oggetti di studio eterogenei.
Per trattare la prima è forse utile ricorrere a una metafora, quella del villaggio, della città e della metropoli contemporanea. Fino a qualche decina d’anni fa, le relazioni sociali di un individuo erano limitate a legami materiali tra persone fisiche.
Nella sua quotidianità tale individuo aveva in altre parole l’opportunità d’interagire socialmente con i famigliari, in casa, e con le persone con cui entrava in contatto per lavoro, piacere o necessità, fuori. Ovviamente, vivere in un piccolo paese montano o in una grande città anche allora (e per ragioni che esamineremo, soprattutto allora) faceva differenza. Vivere in una città permetteva, se non altro statisticamente, d’incontrare ed entrare in rapporto con più persone ergo più gusti, culture e accenti.
La città garantiva quindi una certa varietà. Per esempio, “andare al cinema” è un’azione che sotto un profilo sociale impiega maggiormente l’individuo in città o in una zona ad alta densità che in un piccolo paese perché è logico pensare che la densità di incontri con altri individui e quindi di relazioni sia più alta: invece di uscire di casa e prendere la propria auto, utilizzare diversi mezzi pubblici e camminare per le vie del centro urbano, invece di una sala da 50 posti il multi-sala con in totale 300 posti a sedere, ecc.
Un universo di relazioni
A differenza del passato, oggi in Occidente noi viviamo costantemente immersi in un universo di relazioni sociali che spesso presentano molteplici livelli di astrazione contemporaneamente. Così in città come nei piccoli centri siamo costantemente online, connessi, interconnessi alla rete sociale.
Fenomeni come Twitter, Facebook e la messaggistica istantanea di Black Berry, iPhone e Skype sono interessanti socialmente ed e psicologicamente perché prelevano l’uomo dal suo ecosistema naturale, un animale sempre stato potenzialmente sociale immettendolo in un secondo e diverso ambiente in cui – per magia! – questo diventa costantemente, forzatamente sociale.
La centralità che in questi anni ha assunto il paradigma della rete non può semplicemente venir spiegata come il risultato dell’amplificazione, ovvero dell’aumento quantitativo dei legami e delle relazioni sociali ma deve invece esser compreso come un fenomeno derivante da un salto, una svolta qualitativa nelle interazioni dell’animale ‘uomo’.
We are not machines
Le recenti rivoluzioni tecnologiche, l’ingresso nel mercato di computer, cellulari e altri mezzi di comunicazione sempre più piccoli, affidabili e veloci non solo ci permette di comunicare di più e meglio, ma essenzialmente trasforma l’intero spazio per la prima volta, in spazio di relazione, spazio sociale, spazio di informazione e di macchine. In città come in campagna, esser connessi da luogo a relazioni multiple, immateriali, istantanee, che avvengono in simultanea: io, passeggiando per la strada, converso con un passante, mentre parlo al telefono con mia madre ed esprimo un giudizio su Twitter.
A parte la maleducazione di cui mi renderei colpevole, questa situazione sociale è del tutto comune oggi e impossibile nel 1986:
Machines, the reality constructed by capitalism, are not phantasms of modernity after which life can run unscathed – they are, on the contrary, the concrete forms according to which the reality organizes itself, and the material connections within which subjectivity is produced.
Terranova, T. 2004
Tiziana Terranova (2004) si occupa da anni di studiare il rapporto tra individui e mezzi di comunicazione. Le dinamiche tipiche di una rete sociale sviluppata e tecnologicamente avanzata modificano profondamente la nozione stessa di individuo e determinandone comportamento e modo di affrontare la vita.
Noi viviamo in un hypernetwork il cui paesaggio è caratterizzato da enormi flussi d’informazioni ubique e correnti di relazioni tra persone e tra persone e macchine, dominato dall’idea di un tempo globale.
Un giorno ha 24 ore perché in passato sembrò utile dividere il pianeta in 24 zone temporali distinte. A differenza del passato però oggi la tecnologia ci permette d’intrattenere legami a distanza e questa massa di legami provoca nell’individuo un comportamento dematerializzato e disincorporato, un individuo senza corpo oppure molte identità in un solo corpo.