Noi viviamo in una rete. Ma cos’è e come si può definire una rete? Una definizione  ci viene fornita dal sociologo Jan Van Dijk (2001) affermando che “network is a collection of links between elements of a unit”. Le reti sono sempre esistite. L’uomo ha cominciato a creare reti da quando ha iniziato a parlare, quindi da sempre.

Gli elementi singoli sono chiamati nodi e sono collegati tra loro da link. Più nodi, partendo da un un minimo di tre, sono chiamati unità o anche sistemi. Si dice che il nodo sia incorporato (embeddedness) nella rete e la sua identità sia prettamente relazionale ed è influenzata dalla posizione del nodo all’interno della rete stessa. Quindi una rete è una collezione di relazioni tra i vari nodi.

Esistono molteplici strutture (frameworks) di reti con vari gradi di complessità. Si parte da una struttura fisica, come può essere quella fluviale, passando a quelle organiche e neuronali, arrivando a quelle sociali, tecnologiche e mediali con un grado di complessità molto elevato.

 

La nostra rete sociale è formata da circa 150 persone, lo dice il numero di Dunbar

I networks sociali sono reti complesse e sono protagonisti di molti studi. Uno dei più famosi è quello dell’antropologo Robin Dunbar, famoso per avere un numero a lui intitolato. Dunbar ha individuato una correlazione tra le dimensioni dell’encefalo dei primati e quelle dei gruppi sociali degli stessi. Applicando poi la sua teoria alle dimensioni dell’encefalo dell’essere umano, si trova che un uomo è in grado di mantenere una media di 150 relazioni sociali stabili. Noi tutti abbiamo: 5 o 6 familiari e amici stretti; 15 o 20 parenti e amici; 45 o 50 conoscenti che appartengono al nostro gruppo di riferimento; 150 conoscenti con cui abbiamo rapporti di lavoro e con i quali manteniamo un contatto. Vengono quindi esclusi i meri conoscenti e coloro con cui abbiamo chiuso i rapporti. Oltre questo numero i rapporti non sono continuativi e stabili, ci dimentichiamo i nomi e non li associamo alle persone.

Questo numero può senz’altro farci riflettere in quest’epoca di piattaforme di social networks in cui noi tutti abbiamo ben oltre i 150 “amici”. Ma quello su cui dobbiamo riflettere è la tipologia di relazione che abbiamo con i nostri 150 nodi.

 

La forza dei legami deboli: quali sono e perché sono importanti

In un articolo del 1973 dal titolo The strength of weak ties, il sociologo Mark Granovetter  distingue due tipologie di legami: quelli forti e quelli deboli. I legami forti sono caratterizzati da incontri costanti, frequenti e che sono sentimentalmente importanti. I legami forti sono quelli che abbiamo con gli amici più intimi e i familiari più stretti. I legami deboli hanno un impatto emotivo minimo e sono meno frequenti e ravvicinati. Sono quelli che instauriamo con i conoscenti e con chi incontriamo occasionalmente.

Granovetter parte a formulare la sua tesi sulla forza dei legami deboli, facendo una ricerca, Getting a job, sulle modalità con cui le persone cercano lavoro e sul modo in cui le reti sociali possono aiutare. Ai partecipanti chiede di indicare la frequenza dei contatti personali con i conoscenti dai quali avevano ottenuto le informazioni determinanti per trovare il nuovo posto di lavoro. I contatti più frequenti erano stati utili nel 16,7% dei casi, quelli rari nel 27,8% e ben il 55,6% era la quota di successo raggiunta attraverso gli occasionali.

Il sociologo sostiene che le persone che fanno parte della nostra cerchia più ristretta e con i quali abbiamo dei legami forti, sono collegati più verosimilmente con le stesse nostre fonti di informazioni e con i nostri stessi contatti. Granovetter afferma che se A e B sono in contatto stretto e B e C lo sono altrettanto, è probabile che A e C siano anch’essi connessi. Mentre invece, se ci affidiamo ai nostri legami deboli abbiamo maggiori occasioni di ottenere informazioni a cui non abbiamo accesso.

Per lo studioso “No strong tie is a bridge. All bridge are weak ties” (1983) perché i legami deboli ci consentono di raggiungere molti più contatti indiretti (e quindi più informazioni) di quelli che saremmo in grado di stabilire facendo riferimento solo alle relazioni forti.

Tipping point e diffusione delle idee

 Nella società di oggi, ci si chiede spesso come faccia un’idea a diventare virale. Ogni marketer desidera avere la ricetta perfetta per riuscire a diffondere il più possibile il messaggio che vuole veicolare. Prima ancora dell’esplosione dei social network come Fcebook, Twitter e Instagram, Malcolm Gladwell nel 2000 aveva dato la sua versione della ricetta nel suo libro Tipping Point. Secondo Gladwell, ogni idea diventa epidemica quando arriva ad un “punto di svolta” ed esso è determinato da tre variabili: il fattore stickiness, il potere del contesto e la legge dei pochi.

Per fattore stickiness intende la “viscosità” di un’idea, ovvero quando è semplice, chiara ed è così appiccicosa da essere facilmente ricordata. La seconda variabile è il contesto che fa riferimento all’ambiente e al contesto storico in cui l’idea viene introdotta e diffusa. Se si sbaglia il contesto, secondo l’autore, non si arriverà mai al tipping point. E poi arriviamo alla terza variabile, la più interessante per il nostro discorso, la legge dei pochi. La diffusione di un’idea ha successo se si riesce a coinvolgere tre tipologie di persone con un particolare capitale sociale: gli esperti, i connettori e i venditori. Vediamoli nel dettaglio uno per uno.  Gli esperti sono accumulatori di conoscenze, spinti dalla volontà di diffonderle e lo fanno per educare e per aiutare gli altri. I connettori, come dice la parola stessa, hanno moltissimi contatti e la loro identità popolare fa si che la loro influenza accresca e la loro posizione sia connessa con vari networks. I venditori sono persuasori carismatici che, con una capacità innata, ti convincono che quello che stanno vendendo debba essere acquistato.

Gli esperti sono banche dati che forniscono il messaggio. I connettori sono la colla sociale e diffondono il messaggio. I venditori persuasori ti fanno “comprare” l’idea. Di queste tre tipologie di persone, forse quelle più interessanti sono i connettori. Essi, infatti, sono importanti per due motivi: per il numero di persone che conoscono e per il tipo di persone che conoscono. Le loro reti sono costituite principalmente da “legami deboli” di cui parlavamo all’inizio dell’articolo. I connettori hanno una vasta cerchia di conoscenti, i quali, come sosteneva Granovetter, hanno più probabilità di saper qualcosa che tu non sai. Rappresentano il potere sociale – e più conoscenti hai, più potente sei.

 

Un esempio di Tipping Point: Hush Puppies

Gladwell nel suo libro cita moltissimi esempi per spiegare come avviene “il punto di svolta” e uno dei più importanti e famosi è quello delle scarpe Hush Puppies. Questa marca di scarpe statunitensi era stata di moda negli anni ’50, ma ormai negli anni ’90 era pressoché sconosciuta e quasi definitivamente morta. Questo fino a quando alcuni hipster di Manhattan hanno cominciato a indossarle di nuovo. Poi alcuni fotografi di moda hanno cominciato a parlarne e alcune celebrità le hanno indossate addirittura ai premiers. In meno di un anno, Hush Puppies ha quadruplicato le vendite e le scarpe si potevano trovare in ogni centro commerciale degli Stati Uniti.

Ecco come un piccolo cambiamento ha innescato un’importante tendenza che sembrava ormai defunta.