Nati tra il 1995 e il 2012, ovvero tra la quotazione in Borsa di Netscape e l’anno in cui la quota di americani che possedeva uno smartphone ha superato il 50 per cento. “iGen” li ha battezzati Jean Twenge, psicologa alla San Diego State University, prendendo in prestito il prefisso tipico dei più iconici apparecchi Apple.
Tendono a prolungare l’infanzia oltre le soglie dell’adolescenza: prendono più tardi la patente, temono le conseguenze del binge drinking, hanno totale disinteresse verso i riti di passaggio che segnano l’ingresso nell’età adulta e hanno una grande avversione al rischio. Hanno meno relazioni con i pari e usano tantissimo il cellulare: questo porta a fragilità emotiva e potenziale infelicità e depressione.

Sommario
L’iGeneration
Cosa distingue gli adolescenti nati tra il 1995 e il 2012 dalle generazioni che li hanno preceduti? Un fattore in particolare: il modo in cui passano il tempo. L’idea di collocare l’impiego digitale del tempo libero al centro dell’identità più profonda di una generazione proviene dalla psicologa della San Diego State University, Jean M. Twenge, che nel libro “Iperconnessi” separa questi adolescenti dai Millennial, gratificandoli di un’etichetta differenziata .
iGen è la prima generazione a trascorrere l’intera adolescenza con gli smartphone e questo sta avendo effetti a catena in molte aree della loro vita. Come facciamo a sapere come le generazioni differiscono l’una dall’altra? In America vengono svolti grandi sondaggi nazionali. La Twenge, in particolare, ha studiato le differenze generazionali per 25 anni con un campione di 11 milioni di ragazzi. Ha iniziato improvvisamente a notare cambiamenti dopo il 2010. Secondo le sue ricerche i ragazzi iniziavano ad unirsi meno spesso con i loro amici, si sentivano esclusi o soli, sentivano di non poter fare nulla di giusto o utile nella loro vita. Uno studio di screening nazionale ha poi rilevato un aumento del 50% tra il 2011 e il 2015 del disturbo depressivo fra gli adolescenti e un tasso di suicidi tra i 12 e 14 anni raddoppiato dal 2007.
Ma perché? Cosa è successo tra il 2010 e il 2015 che potrebbe aver causato queste tendenze? Secondo le statistiche la percentuale di americani che possedeva uno smartphone ha superato il 50% nel 2012.
Per avvalorare la tesi di una connessione tra l’uso dello smartphone in età giovanile e l’insorgere di stati di depressione, incompiutezza e tristezza, sono state condotte diverse ricerche con gruppi di controllo, si intervistavano quindi teenager sia prima che dopo l’uso dei social.
Da queste ricerche nazionali è emerso un gap tra
- screen activity, collegate a minore felicità e non-screen activity (compiti, sport, leggere), con il 20% di probabilità in più di essere felici
- chi spende meno di due ore al giorno di tempo libero in compagnia di uno schermo e chi invece ne spende molte di più. Sarebbe proprio qui il limite per la propria salute mentale. I giovani che superavano la soglia rischiavano di entrare in un turbine di “ansia da like”, scollamento dalla realtà, cyberbullismo, rinuncia ad attività legate alla socialità e difficoltà a dormire (in particolare, dal 2010 la percentuale di adolescenti che dormono sette o più ore per notte è diminuita; con la luce blu il corpo non produce abbastanza melatonina per calmarti e persiste una sovrastimolazione).
Le 8 caratteristiche dell’iGen
Jean M. Twenge cataloga nel suo libro otto presunti aspetti distintivi di questa generazione; essi sarebbero:
- Immaturi: a differenza delle generazioni precedenti non hanno alcuna fretta di diventare grandi, tanto che per loro l’adolescenza è un’estensione dell’infanzia più che un preludio alla vita adulta. I dati nazionali sembrerebbero indicare un rallentamento della crescita oltre il limite tradizionale: arrivano più tardi delle precedenti generazioni a vivere le proprie esperienze di iniziazione quali prendere la patente, avere rapporti sessuali, andare alle feste con gli amici o svolgere un lavoro part-time per avere una minima autonomia economica. Alla base di questi comportamenti ci sarebbero diverse cause. Se da una parte la tecnologia ha dato un’accelerazione alla tendenza dell’auto-isolamento (e quindi la predilezione di partecipare ad esempio ad un party su Snapchat senza dover uscire e guidare), dall’altra ci sarebbero una serie di fattori culturali: famiglie più piccole, helicopter parents che hanno più attenzione verso i propri figli, aspettative di vita più lunghe ed entrata posticipata nel mondo del lavoro.
- Iperconnessi: lo smartphone è per loro un migliore amico, un filtro ed un involucro delle emozioni attraverso cui vivere la vita. Iperconnessione significa che controllano il proprio cellulare almeno 80 volte al giorno, passano ogni giorno una media di due ore e un quarto a mandare i messaggi col cellulare, due ore su Internet, un’ora e mezza con qualche gioco elettronico e circa mezz’ora in video chat.
- Incorporei ed isolati: preferiscono, secondo l’autrice, partecipare alla vita sociale in rete piuttosto che a feste dal vivo. Non sono interessati alla politica e alla comunità, tendono ad evitare tutte le situazioni che potrebbero mettere a rischio la propria sicurezza emotiva e fisica. Quel che sta risultando ostico è riuscire a sottrarre gli adolescenti dall’ecosistema portatile in cui sono immersi. E’ un attaccamento ansioso in cui risiede l’ossessione per la sicurezza, la difficoltà di accettare un problema personale che contempli un’attesa e la tendenza a cercare di risolverlo con la fuga (è il caso dell’uso frequente di auricolari in sempre più casi di socialità). In Germania hanno chiamato “snombies” (smartphone+zombies), la tendenza a camminare disinteressandosi dell’ambiente circostante, incluse le auto. Marco Paolini diceva che i walkman avrebbero ucciso l’attivismo e l’impegno politico, perchè allontanavano i ragazzi dall’osservazione della realtà sociale, un panorama forse non molto diverso da quello delineato dalla Twenge.
- Instabili: sono in prima linea nella peggior epidemia di disturbi psichici degli ultimi anni: dal 2011 sono saliti alle stelle i casi di depressione e suicidio tra gli adolescenti, di autolesionismo e necessità di uno psicologo (il 64% in più rispetto alla generazione precedente).
- Incerti e precari: non credo nell’autorealizzazione lavorativa, sono disposti a trovare un impiego solo per procurarsi beni materiali. Sono molto preoccupati dalle disuguaglianze di reddito percepite attraverso le innumerevoli allusioni alla dura competizione, fatte dalla scuola, televisione e dalla pubblicità.
- Indefiniti: sono troppo insicuri per impegnarsi in relazioni che chiedono uno sforzo emotivo, spesso abbandonano i rapporti creati in rete senza dare spiegazioni (molto più semplice fare ghosting).
- Inclusivi: questa generazione mostra una certa tolleranza verso le diversità etniche e le identità sociali fluide. Secondo Jason Dorsey, l’iGen è la generazione più diversificata della storia e ciò vuol dire che non vedono la diversità a meno che non sia assente; in una conferenza per giustificare questa tendenza egli a proposito dice “Mia figlia non ricorderà mai un tempo prima che ci fosse un presidente afroamericano, un tempo prima del matrimonio gay, un tempo prima di ricevere la roba da Amazon in un giorno invece di andare a fare la spesa”.
La situazione italiana
Twenge parla della situazione americana ma non esclude, in alcune sue interviste, che i fenomeni possano essere riscontrati in tutti quegli stati con caratteristiche simili al suo paese d’origine, vale a dire con famiglie piccole, aspettative di vita lunghe e diffusione massiva di tecnologie dell’informazione.
Guardando ad un progetto di ricerca finanziato lo scorso novembre dall’Ordine degli Psicologi del Lazio, ci si può rendere conto come sempre più spesso tra le condotte a rischio degli adolescenti ci sia l’utilizzo compulsivo di smartphone e social media anche in Italia, una pratica che nella fase storica di pandemia, è diventa ancora più difficile da gestire, visto l’inevitabile stato di iperconessione a cui siamo stati tutti obbligati.
Lo studio aveva l’obiettivo ultimo di esplorare le percezioni associate all’utilizzo dei dispositivi digitali e le rispettive condotte di consumo. L’output ha mostrato alcuni segnali preoccupanti già dagli ultimi anni delle scuole primarie e secondarie: la paura di rimanere sconnessi dalla rete (fomo), credere di avvertire notifiche inesistenti provenienti dal proprio smartphone, oppure isolarsi dalla compagnia presente per controllare continuamente il cellulare, anche nei momenti dei pasti.
L’influenza a livello neuronale
L’influenza delle nuove tecnologie nel processo di sviluppo di neuroni e compiti evolutivi sembra rendere articolato il percorso di crescita di adolescenti e pre-adolescenti appartenenti a suddetta generazione. Sono molti, in tal senso, gli scienziati a mettere in guardia sugli effetti negativi della multimedialità, che sta portando molti giovani a soffrire di “craving informativo“.
Recenti studi di Dalton e Carr affermano come l’ambiente sconfinato di stimoli a cui i ragazzi sono sottoposti durante l’uso di internet determina un sovraccarico cognitivo a livello di memoria, impedendo la formazione di connessioni neurali profonde e a lungo termine. Chattare, navigare in internet, rispondere ad una mail contemporaneamente, distraggono dal compito principale che si sta svolgendo, andando a provocare disturbi da deficit di attenzione e iperattività (Bauleke e Hermann – 2010).
L’autrice sostiene anche che il distacco dalla lettura da carta stampata ha comportato un grosso calo nelle competenze scolastiche. L’iGeneration sembrerebbe rimanere minimamente concentrata solo con libri di testo che prevedono momenti interattivi – video da condividere, questionari e registro colloquiale.
I riscontri positivi
Questa generazione sta tuttavia anche sviluppando alcune capacità e conoscenze oscure alle generazioni precedenti.
Schmidt & Vandewater hanno scoperto che alcune estensioni del digitale possono, infatti, andare a migliorare le abilità visivo-spaziali e le capacità di problem solving. Nel loro studio sulla rivista “Nature” gli autori riportano come solo dopo dieci giorni di Medal of Honor i giocatori testati mostravano un drastico aumento dell’attenzione visiva unito alla memoria. Rosen assocerebbe invece l’uso di nuove tecnologie a QI più alti, capacità mnestiche e maggiore rapidità di elaborazione delle informazioni.
In fin dei conti questa generazione sta portando allo sviluppo una nuova forma di alfabetizzazione, la digital literacy, che riconduce alla capacità di utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per trovare, valutare, creare e comunicare informazioni, che richiedono abilità sia cognitive che tecniche.
La formazione dell’identità
Per l’iGeneration l’universo digitale ha cambiato in modo evidente il compito evolutivo di costruzione dell’identità. Secondo Riva infatti verrebbe offerta dal mondo della rete l’occasione unica di sperimentare la creazione di tanti sé possibili. Social, forum e videogiochi online consentono di scegliere come presentarsi alle persone che compongono la propria rete facendo scoprire nuovi aspetti della propria persona.
Tuttavia, se da un lato le nuove tecnologie promuovono l’occasione unica di attivare un processo di self empowerment, dall’altra l’assenza di confini concreti rischia di essere d’ostacolo alla creazione di un’identità stabile e quindi di per sé fluida.
Le motivazioni di questa identità frammentata stanno sia, come si è detto, nei meccanismi intrinsechi di costruzione delle piattaforme digitali (ad esempio l’algoritmo di Facebook mostra ai tuoi amici in modo magari anti-cronologico solo una parte della tua vita reale) che nella necessità di questa generazione di avere continui feedback da parte degli altri. Questo porta ad una plasmazione della propria identità a seconda di cosa gli altri vogliono vedere di noi.
Questo trend di ricerca di continui feedback altrui per la costruzione della propria identità da parte di questa generazione, è confermato anche dalla stessa autrice: i ragazzi americani una volta approdati al college, luogo per eccellenza della ribellione e dell’indipendenza, ricercano una figura genitoriale e autoritaria che li possa aiutare anche nelle scelte più semplici.
Lo sviluppo delle emozioni
Un aspetto critico che sembra emergere nell’analisi di questa generazione è l’infiltrarsi di un analfabetismo preciso, quello che Goleman definisce come “emotivo”. Con esso si intende nel dettaglio:
- la mancanza di consapevolezza e controllo delle emozioni e i comportamenti associati
- la mancanza di consapevolezza delle ragioni per le quali si prova un dato sentimento
- l’incapacità di relazionarsi con le emozioni degli altri
Rientriamo qui, in questo caso, in tutti quei momenti in cui la rete digitale, anziché rendere fluidi i canali di relazione, li spezza e li complica andando ad inibire i rapporti interpersonali.
Se gli stessi trend si ritrovano in parte anche ormai negli adulti, per i teenager risulta ancora più preoccupante, essendo l’adolescenza il periodo cruciale per lo sviluppo emozionale e sociale.
La comunicazione mediata dei dispositivi digitali manca, di fatto, degli elementi metalinguistici propri della conversazione face to face, come anche di feedback ed empatia. Turkle, in tal senso, vede nell’elaborazione prolungata e nell’asincronicità di chat e social network, la possibilità di controllo delle proprie emozioni anziché lo sviluppo di esse nella relazioni con l’altro.
Se ci pensiamo infatti, lasciare il proprio ragazzo semplicemente cambiando il proprio stato su Facebook o dirlo di persona ha un impatto diverso a livello emotivo. Se nel secondo caso si è obbligati ad osservare la risposta emotiva dell’altro e a condividere la sua sofferenza con parole e gesti, nella prima opzione le sue emozioni non hanno un impatto diretto sulle nostre.
É evidente come, in una generazione che fa uso massivo dell’asincronicità e della distanza per gestire la maggior parte delle relazioni, venga a mancare un punto di riferimento importante per l’apprendimento, comprensione e gestione delle emozioni proprie e altrui. Secondo Riva, sarebbe proprio questo aspetto a rendere precarie le relazioni sociali che si creano nelle piattaforme. Non deve sfuggirci che la portabilità e ubiquità dello smartphone ci mette in connessione in maniera superficiale con l’altro, anche le videochiamate a volte rischiano di diventare un livechilling surrogato delle relazioni fisiche, che aumenta ancora di più la solitudine.
Riflessioni finali
Off-line e l’on-line non dovrebbero più essere considerati come opposti o reciprocamente escludenti, ma come due universi sociali integrati posti all’interno di uno stesso continuum. Esistono dei meccanismi di controllo per i propri figli secondo la Twenge, come l’installazione di app apposite, ma è chiaro che la consapevolezza e il cambiamento deve innanzitutto essere culturale. Le tecnologie, e gli smartphone a cascata, stanno sicuramente aumentando la nostra intelligenza, la possibilità di relazionarci a distanza, ma dobbiamo esser anche consapevoli che non sempre consentono di connetterci ad un livello migliore ed è rischioso farle diventare un sostituto completo della nostra vita sociale.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
- https://www.pressenza.com/it/2018/12/jean-twenge-lo-smartphone-e-i-ragazzi-iperconnessi-e-fragili/
- https://www.stateofmind.it/2017/04/igeneration-nuove-tecnologie/
- Dalton, K. M. (2013). Their Brains on Google: How Digital Technologies Are Altering the Millennial Generation’s Brain and Impacting Legal Education. SMU Sci. & Tech. L. Rev., 16, 409
- Carr, N. G. (2010). Does the internet make you dumber? Wall Street Journal, 5(10)
- Carr, N. G. (2011). Internet ci rende stupidi?: come la rete sta cambiando il nostro cervello. Milano: Raffaello Cortina
- Goleman, D. (2011). Intelligenza emotiva: Che cos’ è e perché può renderci felici. Milano: Bur
- Bauleke, D. S., Herrmann, K. E. (2010). Reaching the “iBored”. Middle School Journal, 41(3), 33-38
- Schmidt, M. E., & Vandewater, E. A. (2008). Media and attention, cognition, and school achievement. The Future of Children, 18(1), 63-85
- Rosen, L. D. (2012). iDisorder. Understanding our dependency on technology and overcoming our its hold on us. New York: Palgrave-MacMillian
- Riva, G. (2010). I social network. Bologna: Il mulino
BIOGRAFIA
Mi presento! Sono Vittoria Dorio, ho 24 anni e ho una grande passione per le lingue e la comunicazione digitale. Dopo la laurea triennale in Lingue per il commercio, ho deciso di iscrivermi al corso magistrale in Web Marketing & Digital Communication presso lo IUSVE di Verona. Da sempre mi affascina studiare e capire le dinamiche che muovono il mondo della comunicazione legata alle diverse culture. La mia ambizione sarebbe, infatti, quella di poter lavorare in un’agenzia specializzata in campagne di comunicazione per l’estero.




