Negli ultimi anni sono proliferati i profili di persone che usano i social media per promuovere la sostenibilità ambientale. Questo fenomeno è esploso dopo l’estate del 2018 con il movimento Friday For Future di Greta Thumberg arrivando a coniare il termine: green influencer. Già negli anni precedenti al 2018 erano presenti dei profili social che si occupavano di sostenibilità ma è solo negli ultimi anni che stiamo assistendo a un vero e proprio fenomeno che sta influenzando masse di persone e non solo quelle da sempre attente all’ecologia.
Greta Thumberg è riuscita infatti a spostare il dibattito delle questioni climatiche e ambientali tra i giovani e ragazzi che usano molto i social media e di conseguenza molti ragazzi hanno deciso di usarli come piattaforma per interagire con più persone possibili.
I green influencer si occupano di molti settori diversi e generalmente ognuno si specializza in un ambito ben preciso, portando avanti comunque il concetto di ridurre gli sprechi in tutti gli ambiti della propria vita. Le tematiche che vengono trattate sono molteplici, per esempio, moda sostenibile, lotta contro la fast fashion e contro lo sfruttamento dei lavoratori nei Paesi in via di sviluppo, l’alimentazione e consumo consapevole, indirizzato sempre di più a una dieta a base vegetale.

Origini di questo fenomeno: il consumo

Il fenomeno dei green influencer è la risposta recente a un problema che inizia a emergere già negli anni 90 per il proliferare di modelli di consumo non sostenibili dal nostro pianeta. Per capire questa tendenza a un ritorno alla natura e tornare a uno stile di vita più semplice con meno sprechi bisogna partire dal concetto di consumo e come è evoluto negli anni.
Secondo Fabris (Fabris, G., 2010) attraverso il consumo l’uomo modifica il mondo, riesce a comunicare la propria identità ed esprimere il proprio stile di vita. Quindi per Fabris il consumo ha tre funzioni: relazionale, semiotica e sociale. Le origini del consumo sono tre: bisogno, desiderio e scelta. Si parla di consumo in risposta a un bisogno quando ho bisogno di qualcosa e mi attivo verso la scelta di consumo adeguato a soddisfare quel bisogno, in questo caso si parla di impulso verso un oggetto di soddisfazione determinato. Per quanto riguarda il consumo in risposta a un desiderio l’impulso è autogenerato e perpetuo senza fine né causa in quanto nel desiderio non c’è una fine. Poi abbiamo il consumo determinato da una scelta razionale e consapevole (Fabris, G., 2010).

Dall’iperconsumo alla società post crescita

Negli anni 90 il contesto sociale ed economico è caratterizzato dall’iperconsumo: un consumo fine a sé stesso in cui gli individui sono diventati da soggetti produttori a dei semplici consumatori guidati dal desiderio di eccesso e abbuffata. La felicità è determinata dallo stato di comfort che si raggiunge facendo propri beni in maniera istantanea, quindi il piacere è immediato e sussiste l’incapacità di aspettare. Si vuole tutto e subito (Z. Bauman, 2008).
Questa felicità non è però duratura, si consuma in breve tempo non migliorando quindi la condizione degli individui.
A sottolineare il problema della felicità effimera è stato Richard Easterlin. Già nel 1974 ha introdotto il paradosso della felicità o paradosso di Easterlin che consiste nel fatto che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino a un certo punto, ma poi comincia a diminuire, seguendo una curva a forma di parabola con concavità verso il basso. Quindi al di sopra di certi liveli di reddito e di consumo, le risorse economiche non generano felicità né benefici addizionali. Questo paradosso ha contribuito ad ampliare il dibattito sul collegamento tra ricchezza e felicità, il reddito può creare la felicità ma solo fino a un certo punto.

Oltre a non rendere gli individui felici, ci si rende conto che questo modello di iperconsumo non è un modello di vita sostenibile per il pianeta e nei primi anni 2000 si inizia a ragionare a dei modelli di consumo alternativi. Nel 2007 l’economista e filosofo francese Latouche scrive il Breve Trattato sulla Decrescita che è il primo testo che affronta veramente questo problema e nel quale si critica fortemente questo modello economico sottolineando come ci sia bisogno di invertire la rotta e come unica soluzione Latouche propone la decrescita. La decrescita però è una soluzione non attuabile dalla società in cui viviamo oggigiorno. L’unica soluzione possibile sostenuta invece da Fabris è la post-crescita, che spiega nel suo trattato del 2011, Post crescita.

Secondo Fabris, infatti, a determinare la realtà delle cose sono le scelte di consumo. Come consumatori noi abbiamo molto potere: se tutti noi scegliamo di comprare prodotti in modo pensato possiamo mandare fuori dal mercato le aziende che non hanno la stessa vision e valori che si allineano con i nostri. Non serve quindi fare decrescita ma possiamo continuare a crescere in modo alternativo andando a premiare tutte quelle aziende che seguono i nostri valori e migliorare così il modello economico.

Nuovi valori

Ecco quindi che il consumo determinato da una scelta pensata di cui parla Fabris nel 2011 inizia ad essere visibile ai giorni nostri con il fenomeno dei green influencer. Le scelte che compiamo ogni giorno hanno iniziato a far cambiare rotta al mercato: non è ancora avvenuto un cambiamento definitivo ma è ormai evidente che stiamo assistendo a un aumento nell’offerta di prodotti ecosostenibili in tutti gli aspetti della nostra quotidianità che vengono proposti anche dai grandi marchi. Un esempio è legato al consumo di oggetti in plastica. Grazie al fatto che negli ultimi anni i green influencer hanno posto l’attenzione sui danni ambientali derivati da un consumo eccessivo di plastica e hanno iniziato a proporre e pubblicizzare con insistenza varie alternative ai prodotti industriali in plastica, si è assistito a una sensibilizzazione graduale ma importante di una parte della popolazione su questo tema. Progressivamente infatti, grazie all’aumento della richiesta di prodotti plastic free, abbiamo assistito a un aumento della produzione della proposta di oggetti d’uso quotidiano prodotti utilizzando altri materiali (come gli spazzolini da denti in legno di bamboo, la borraccia in alluminio, le bee’s wraps e tanti altri). In questo modo si è riusciti a cambiare le richieste delle persone e di conseguenza alcune aziende hanno iniziato ad adeguarsi alla nuova domanda.

I nuovi valori che vengono esaltati sono la sostenibilità ambientale, la biodiversità, il consumo di prodotti a Km0, la scelta di acquistare nei farmer’s market piuttosto che nelle grandi catene di supermercati, il rallentamento del tempo con il conseguente ritorno alla stagionalità dei prodotti e al rapporto diretto con la natura e la terra, la valorizzazione del territorio e il ritorno all’artigianalità. E poi sicuramente si presta molta attenzione all’etica di produzione e quindi economia del dono e della relazione.

Green Marketing

I green influencer sono riusciti a rendere accessibile la sostenibilità ai consumatori finali che determinano un’importanza notevole per quanto riguarda il consumo e la produzione di beni più sostenibili che vanno a impattare in maniera più lieve i delicati equilibri del nostro ecosistema. Ma per quanto riguarda l’impatto ambientale più grosso dobbiamo parlare di green marketing e di come le aziende si impegnino a rispettare gli obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Che cos’è il Green Marketing?

Green Marketing: insieme delle attività che concorrono allo sviluppo, commercializzazione e   promozione di prodotti e servizi in grado di generare un minore impatto ambientale in confronto alle alternative offerte sul mercato.

Il green marketing viene utilizzato dalle imprese per rafforzare e costruire la propria immagine di soggetti sensibili alle tematiche ecologiche, ma anche per rendere normali e diffondere nuovi stili di vita e di consumo che fanno dell’ambiente e della socialità dei driver di scelta primari, condivisi e accettati (Grant, 2007).

L’obiettivo a lungo termine è quello di indurre il cambiamento degli stili di vita e la riqualificazione dei consumi, facendo percepire come accettabile e normale l’alternativa ecologica; come attraente e preferibile l’offerta di servizi e prodotti green. Il concetto di tutela ambientale è così diventato una leva competitiva e strategica sempre più oggetto di considerazione da parte delle imprese: la vocazione green di un’impresa è un’opportunità per migliorare il proprio impatto sull’ambiente e rappresenta anche un’occasione di rilancio economico per l’azienda stessa. Di fronte a questa evoluzione, molte imprese hanno capito l’importanza e la necessità di avvicinarsi al tema della comunicazione ambientale attraverso un approccio non generalista e superficiale. Questo tema non può più essere affrontato in maniera passiva ma pro-attiva.

Green Washing

Un problema che si riscontra sempre di più a causa del trend dei prodotti ecosostenibili, è il green washing. Proprio la conseguenza della richiesta di consumo da parte del pubblico di questo tipo di prodotti ha fatto sì che da una parte abbiamo assistito, come detto in precedenza, alla possibilità di cambio di rotta per molte aziende, un vero miglioramento a livello di impatto ambientale e la nascita di altre aziende che rispettano questi criteri già dalla nascita. Dall’altra però, abbiamo assistito al fenomeno che viene definito per l’appunto green washing da parte di molte aziende notoriamente non sostenibili ma che vedendo il nuovo trend green hanno voluto spacciarsi come tali.

Viene definito come green washing la strategia di comunicazione volta a sostenere e valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa mediante un uso disinvolto di richiami all’ambiente nella comunicazione istituzionale e di prodotto, non supportato da risultati credibili e reali sul fronte del miglioramento dei processi produttivi adottati o dei prodotti realizzati. L’impresa mira a conseguire un posizionamento incentrato sulla sostenibilità ambientale e, dunque, ad ottenere i benefici da esso derivanti in termini di immagine e quindi anche di fatturato, senza che vi corrisponda un modo di operare sostanzialmente diverso da quello dei concorrenti.

Il fenomeno del green washing lo si può vedere in moltissimi ambiti, il primo esempio lampante è quello delle aziende di moda fast fashion che creano delle collezioni green solo per apparire sostenibili quando in realtà il loro stesso motivo di esistere, essere cioè delle aziende di moda fast fashion e produrre moltissime collezioni ogni anno a bassissimo costo, non lo è. Questo fenomeno si riscontra anche in molti altri settori del mercato, non solo nella moda.

Profili Social Green Influencer

Il ruolo dei green influencer è stato ed è molto importante per diffondere la conoscenza di tematiche verdi a un grandissimo numero di persone. Ogni green influencer si occupa di un settore diverso anche se poi tutti sostengono il concetto di cercare di vivere una vita più sostenibile possibile. Un profilo che si occupa di moda sostenibile e fast fashion è quello di Camilla Mendini, Carotilla, che nel 2017 ha creato il suo fashion brand ecosostenibile Amorilla e che fa anche molte collaborazioni con aziende sostenibili italiane. Una tra queste è Rifò, un’azienda di Prato che ha fatto dell’economia circolare il suo credo. Producono capi e accessori realizzati con fibre tessili rigenerate e rigenerabili lavorando con artigiani locali realizzando nuovi prodotti a km 0.

Molti green influencer si occupano di alimentazione sostenibile: alimentazione vegetale che prediliga l’utilizzo di materie prime a Km0 e biologiche. Di questo tipo sono i profili di Cucina Botanica, Roberto Cruciani, Elefanteveg, esempi di profili che oltre a promuovere una cucina che non utilizza derivati animali, riutilizzano creativamente gli avanzi per cercare di sprecare il meno possibile. Questi profili generalmente creano delle ricette semplici che sono replicabili da tutti senza doversi impegnare troppo, proprio per mostrare come in realtà anche un modo di mangiare diverso può essere implementato nella nostra quotidianità.
Alcuni profili invece aiutano gli utenti a fare un cambio delle proprie abitudini in generale, un esempio è il profilo Spazio Grigio che aiuta gli utenti a liberarsi degli oggetti superflui portando avanti un modello di vita più semplice.

Il ruolo principale degli influencer è quindi quello di accompagnare gli utenti a scelte alternative, che vanno dall’uso di oggetti plastic free ai consigli sui brand per capire se sono veramente sostenibili o stanno facendo green washing. Molti di questi influencer fanno collaborazioni con associazioni animaliste e creano engagment con il pubblico partecipando a sfide e invitando gli utenti a fare lo stesso, come ad esempio il Veganuary (nel mese di gennaio si invitano i followers a mangiare vegetale) o il plastic free July (nel mese di luglio si cerca di non comprare plastica).

Conclusioni

Abbiamo quindi visto come il fenomeno dei green influencer che ha avuto la sua espansione maggiore negli ultimi anni, altro non è che profondamente intrecciato alla post-crescita di Fabris e a come le scelte consapevoli del pubblico possono cambiare il mercato. I nuovi valori vanno a sottolineare come l’uomo abbia sempre più bisogno di un contatto diretto con la natura e il nostro pianeta abbia bisogno di scelte più sostenibili da parte nostra. I green influencer sono riusciti negli anni a far diventare un trend quello che prima veniva supportato solo da una minoranza della popolazione e la speranza è che si continui a mantenere questo andamento e che si possa migliorare sempre di più. Sicuramente è molto positivo che anche le grosse aziende stiano cambiando rotta però come si diceva prima è importante che avvenga un vero cambiamento positivo e che non si tratti solo di green washing per cavalcare quest’onda green rimanendo però aziende non sostenibili.

Bibliografia

Bauman, Z., 2008, Consumo, dunque sono, Laterza.

Fabris, G., 2010, La società post-crescita. Consumi e stili di vita, Egea.

Sitografia

https://www.digital4.biz/marketing/green-marketing-che-cose-come-si-fa-e-quali-sono-i-vantaggi-per-i-brand/

https://blog.hootsuite.com/influencer-marketing/

https://influencermarketinghub.com/what-is-an-influencer/

https://www.wondernetmag.com/2021/01/25/green-influencer-il-nuovo-trend-allinsegna-della-sostenibilita-nato-sui-social/

https://www.wired.it/internet/social-network/2020/02/28/instagram-influencer-ambiente/

Autrice

Sono Marta Rubinato mi sono laureata in Arti Visive al DAMS di Bologna, specializzata con un MA in Curating all’Università di Sunderland, UK e adesso frequento la Magistrale Web Marketing and Digital Communication allo IUSVE.

Mi occupo di arte contemporanea e sostenibilità ambientale.