Sommario
Introduzione
I social media sono luoghi democratici? Le informazioni circolano liberamente?
Le nostre opinioni nascono da un pensiero critico o sono condizionate da fattori esterni? E soprattutto, come possiamo uscire dalle echo cambers?
Le echo chambers, o camere di eco, sono luoghi digitali in cui gli utenti si trovano “intrappolati” a causa degli algoritmi dei social network. L’articolo tratterà della formazione delle eco chambers nella società odierna e dell’importanza di una digital literacy per poter uscire da questo sistema vincolante di disinformazione.
Contesto storico: la società odierna e i nuovi media
L’informazione e la possibilità di accedere a qualsiasi tipo di contenuto, in qualsiasi luogo, senza alcun tipo di mediazione, sono le caratteristiche della società odierna.
Siamo sempre connessi e informati su cosa sta accadendo nel resto del mondo, e non perdiamo mai l’occasione di far sapere agli altri la nostra opinione. Allo stesso tempo, ci esponiamo in prima persona, condividiamo le nostre vite private, sempre alla rincorsa di un’immagine ideale che ci rappresenti.
Siamo diventati tutti un po’ Narciso: postiamo una foto e subito andiamo a vedere come risulta nel feed, controlliamo costantemente il numero di like, cerchiamo il nostro nome su Google e tentiamo costantemente di placare quel bisogno che vive dentro di noi di apparire, emergere e risultare migliori degli altri. Per farlo condividiamo a 360° gradi ogni dettaglio della nostra vita, anche parte della nostra intimità: il concetto di vita privata, in un mondo in cui i selfie in bagno o le foto “after sex” sono all’ordine del giorno, non esiste quasi più.
Verrebbe quindi da pensare che, in questo quadro di rappresentazioni quasi totali del sé, ognuno di noi possa davvero conoscere l’altro, farsi un’idea reale di chi sia e sentirlo vicino.
Non è così: l’immagine che abbiamo degli altri è distorta, non veritiera. Condividiamo sui social solo il bello, solo ciò che è potenzialmente invidiabile dagli altri: le nostre vite appaiono così tutte perfette e le nostre giornate patinate da filtri che saturano i colori della realtà. Ci sentiamo inoltre nella posizione di commentare qualsiasi cosa, di dire la nostra opinione su ogni informazione in circolazione e di biasimare i comportamenti altrui senza alcuna distinzione.
In tutto questo postare, condividere e commentare, lasciamo le nostre tracce su Internet. Interroghiamo i motori di ricerca, a volte avendo già deciso la risposta che vorremmo trovare, palesando chi siamo veramente o chi vorremmo essere, le nostre abitudini, credenze e attitudini.
Con l’arrivo dei social network pensavamo di avere ottenuto finalmente il controllo dell’informazione: ho accesso a tutto e posso esprimermi liberamente, oltre a decidere dove orientare il mio consenso. Ma è davvero così?
Tutto ciò che accade online viene registrato: abbiamo l’impressione che non sia così, che un commento possa essere cancellato e dunque sparire, ma in realtà rimane impresso per sempre all’interno dell’algoritmo.
Gli algoritmi sono un insieme di informazioni in grado di eseguire calcoli matematici e di filtrare le nostre preferenze, andando ad influenzare così anche il flusso dei nostri pensieri.
Essi rendono possibile il funzionamento dei social media e quindi la circolazione delle informazioni su scala mondiale.
Questa dinamica di selezione esisteva già quando i giornali erano l’unico media di informazione: la scelta ricadeva su quello che rispecchiava di più le proprie ideologie, funzionando così da filtro facilitatore. Al suo interno si era sicuri di trovare già le informazioni selezionate, delegando la scrematura delle notizie alla testata giornalistica.
Oggi il mezzo attraverso cui avviene questo processo è appunto l’algoritmo, uno strumento ben diverso dal passato, ma che contiene lo stesso scopo della testata giornalistica: guidare l’utente nella ricerca di informazioni e rendere quest’ultima immediata.
Nonostante la presenza degli algoritmi, permane sui social la sensazione di libertà di espressione e di pensiero: i social media vengono visti come più veritieri rispetto ai mass media tradizionali, che negli ultimi anni hanno perso la fiducia dei cittadini e vengono considerati come “lontani” dal pensiero comune.
Nasce quindi la necessità di sentirsi attivo, l’esigenza di essere protagonista e di poter scegliere, e la percezione, sbagliata, di poter trovare tutto ciò all’interno dei social media. Online possiamo quindi notare le stesse tipologie di azioni e di relazioni che hanno vita offline, tra cui anche l’ “omofilia delle reti”, tendenza per cui, in tutte le nostre interazioni sociali, selezioniamo gli individui che sono simili a noi in termini di pensieri e ideologie. Si tratta della logica del confirmation bias.
Il confirmation bias o pregiudizio di conferma
Tutti noi cerchiamo di ottenere l’approvazione dell’altro e delle prove concrete che confermino le nostre idee, evitando quelle che sono contrarie ad esse. Il confirmation bias, o pregiudizio di conferma, consiste proprio in questo ed è un atteggiamento insito nella natura umana, tra i più studiati a livello psicologico proprio perché va al di là di differenze culturali, sociali o di intelligenza.
L’uomo, per sua natura, attiva il pregiudizio di conferma quando cerca e accetta solamente informazioni che sente vicine al suo essere, che confermano una convinzione o un’idea già acquisita in precedenza. In altre parole, cerchiamo continuamente prove che siano in linea con le nostre idee, tralasciando quelle contrarie.
Il confirmation bias comporta degli svantaggi all’interno dell’ambiente sociale. In primo luogo legittima il conformismo sociale, facilitando la polarizzazione delle idee, la manipolazione delle opinioni e la poca credibilità per l’opinione di esperti e per i mass media.
In secondo luogo ostacola la ricerca scientifica, come confermano gli esperimenti dello psicologo Peter Wason, grazie a cui si rese conto che di fronte ad un’ipotesi le persone tendono a confermarla piuttosto che a falsificarla.
Ma come mai abbiamo necessità di confermare le nostre credenze? Gli psicologi Hugo Mercier e Dan Sperber sostengono che questa tendenza è alla base del sistema del ragionamento umano, all’interno del Sistema 2, e nasce dalla necessità di avere un’argomentazione durante una conversazione e di affermare se stessi in un confronto con l’altro.
In questo scenario, gli algoritmi dei social media confermano un naturale atteggiamento umano, portando ad un migliormento dell’esperienza dell’utente grazie alla selezione delle informazioni. Dall’altro lato ci attirano in echo chambers che modificano il nostro libero flusso di pensiero e la circolazione dei contenuti: ciò può essere pericoloso se consideriamo che sempre più utilizziamo i social media come fonte di informazione.
Dal pregiudizio di conferma alle echo chambers
All’interno dei social network il confermation bias porta alla creazione delle echo chambers o camere dell’eco. L’utente di ritrova in questi ambienti virtuali in cui visualizza prevalentemente contenuti coerenti con le sue visioni, linee di pensiero ed opinioni, e le interazioni sono limitate con coloro che hanno le sue stesse convinzioni.
Come visto in precedenza, adottiamo sempre più spesso comportamenti di esposizione selettiva e di bias di conferma, evitando di trovarci di fronte a contenuti che creino dissonanza cognitiva con il nostro pensiero. Questi comportamenti vengono agevolati dagli algoritimi di personalizzazione, che selezionando le informazioni, fanno nascere fenomeni di polarizzazione e, di conseguenza, le echo chambers.
Esse creano un vero e proprio stato di isolamento ideologico degli individui: se dovessimo immaginarle fisicamente sarebbero delle stanze chiuse in cui le stesse notizie rimbalzano continuamente da una parete all’altra. In un contesto simile è difficile convincersi che le proprie opinioni siano sbagliate o provare almeno a rivalutarle sotto altri punti di vista: ci sembra così che le nostre esse siano le uniche ad avere valore, se non le uniche esistenti.
Inoltre, quando siamo all’interno della nostra echo chamber risulta difficile distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, dal momento che non abbiamo abbastanza strumenti per verificare l’attendibilità di un informazione e quindi la sua veridicità. La nostra fiducia e la nostra sicurezza verso i contenuti che ci vengono proposti sono talmente forti da non farci dubitare che possano essere non affidabili. Questa sicurezza comporta una resistenza al cambio di opinione o alla valutazione di altre possibilità.
Secondo un rapporto pubblicato da Claire Wardle e Hossein Derakhshan la società odierna è affetta da un information disorder, ovvero un problema ad approciarsi alle informazioni, causato dalla modalità di lettura di esse. Nella maggior parte dei casi, infatti, mentre leggiamo una notizia abbiamo un calo di attenzione, la condividiamo senza fare approfondimenti e senza prima aver chiesto pareri autorevoli.
In conclusione, possiamo definire una echo chamber come un sistema chiuso e impenetrabile a idee diverse da quelle di chi ne fa parte. Questo sistema è creato da una bolla di filtraggio (filter bubble), che a sua volta nasce dall’ algoritmo. La dinamica dell’echo chamber si attiva quando le nostre opinioni vengono rinforzate poichè ci sono continuamente riproposte. Questo meccanismo può rendere difficile aprirsi a nuove ideologie o portare avanti una riflessione critica e coerente, dal momento che siamo meno flessibili a considerare nuove idee a causa di una esposizione continua verso le nostre idee.
Le conseguenze legate alla diffusione delle echo chambers nella formazione dell’opinione pubblica
All’interno delle echo chambers entriamo quindi in contatto solamente con la nostra ideologia e gli utenti che provano a proporre un pensiero con un’inclinazione diversa vengono esclusi. In questo modo il concetto di verità si indebolisce, non si riesce più a distinguere ciò che è reale da ciò che è fittizio, e la costruzione del consenso e dell’opinione pubblica si rivelano una sfida per difendersi dalle fake news.
Bentibegna e Artieri (2019) hanno individuato alcune conseguenze sulla costruzione dell’opinione pubblica relative alla diffusione delle echo chambers.
La prima rigurarda il rischio di estremismo violento, ovvero la possibilità di creazione di campagne d’odio comunicative (cybercascades) portate avanti da persone con le stesse ideologie di pensiero, incitandosi a vicenda e idee possono esaltarsi a vicenda e promuovere la violenza nei confronti di gruppi avversi.
Il secondo riguarda i problemi per la governance: l’appartenenza a gruppi politici diversi e la la polarizzazione di essi può portare ad un autosegregazione dei votanti, che diventano così irragiungibili da soluzioni politiche ragionevoli.
La terza è rappresentata dallo sviluppo di modalità di relazione con questi gruppi attraverso modalità specifiche di relazione che possono portare alla mutazione nelle forme del consenso (ad esempio sottoforma di dirette video e/o tweet sarcastici nei confronti delle controparti).
La quarta conseguenza riguarda la diffusione di contenuti relativi alle proprie convinzioni (ad esempio a livello politico o religioso) che può portare alla contrapposizione tra individui ed esaltare i meccanismi di partisanship, ovvero di partigianato politico.
Infine la difficoltà nel distinguere le fake news dalle notizie vere.
Alcune soluzioni a questo fenomeno possono essere attuate dagli amministartori dei social, ma è la società in primis a doversi attivare nei confronti di questo problema. La soluzione di limitare ed eliminare le fake news è una soluzione necessaria ma comunque parziale: il dibattito è più ampio e riguarda l’urgenza educativa degli utenti di internet.
Uscire dalle echo chambers
In una società in cui ci troviamo chiamati a decidere, o almeno ad avere un’opinione, su temi che richiedono competenze specifiche e di settore (come per la recente campagna vaccinale anti Covid-19), la presenza di fake news e di informazioni fuorvianti intaccano il sistema democratico. Una persona senza competenze si ritrova a dover scegliere senza saper distinguere tra più informazioni: tenderà quindi a scegliere la notizia più vicina alla sua echo chamber piuttosto che raccogliere informazioni a riguardo, perchè risulta la soluzione più rapida e meno dispendiosa in termini di energie.
In aggiunta a ciò, c’è anche un meccanismo di aggregazione creato dai confirmation bias, per cui l’individuo tende a privilegiare le infomazioni che confermano le sue opinioni, creando comunità coese e non accessibili dall’esterno.
La democrazia dell’informazione in rete entra quindi in crisi dal momento che non sappiamo più attivare la nostra conoscenza di fronte ad una “bufala”, favorendo così lo sviluppo della disinformazione.
Si può quindi uscire dalle echo chambers o siamo destinati a rimanerci intrappolati per sempre?
Per prima cosa bisogna comprendere come non rimanere legati ad una convinzione ed essere vincolati ad un unica visione, un unico filone di pensiero: questo è possibile solamente attraverso l’educazione digitale o digital literacy.
Molti di noi giovani sono nati e cresciuti in un ambiente digitale, sappiamo benissimo come muoverci al suo interno, ma non abbiamo la più pallida idea delle dinamiche che si nascondo al di là dello schermo. E come noi, tantomeno gli adulti, che hanno intrapreso il percorso di alfabetizzazione digitale più tardi. Dunque, diventa necessario per chiunque comprendere il funzionamento dei social media e dei meccanismi della comunicazione: solo così avremo la capacità di ricercare e valutare le informazioni ed accertarci che esse siano corrette e veritiere.
La rete è la nostra principale risorsa di informazione, di ricerca e da cui partono diversi studi: diventa necessario saper selezionare le notizie in modo consapevole. Non si tratta più di dover saper utilizzare uno smartphone a livello pratico, si tratta di dover avere delle competenze per utilizzarlo in modo cosciente e consapevole, per gestire la rete in modo responsabile e non ritrovarsi vincolati al suo interno.
Dobbiamo dunque essere in grado di attivare un pensiero critico, che vada oltre l’attenzione superficiale che abbiamo prima di cliccare o condividere una notizia: dobbiamo essere attivi utenti del web, che si interrogano e che siano in grado di comunicare efficacemente con gli altri. Un pensiero passimo porterà ad essere vittime delle echo chambers e di conseguenza ad avere una visione limitata del mondo, puramente incentrata sul proprio ego.
Riflessione, confronto e dialogo, oltre che ad un’adeguata digital literacy, sono gli strumenti più utili per uscire dalle echo chambers e per utilizzare i social media nel modo corretto. La rete consiste in un enorme quantità di fonti e in una modalità di apertura verso l’altro, e solo quando avremo il controllo e la capacità di filtrare ciò che ci viene proposto potremmo definirci in grado di utilizzarla consapevolemente e liberamente, e poter uscire finalmente dalla camera dell’eco.
Autrice
Mi chiamo Anna Volponi, ho 24 anni e dopo la laurea triennale in Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’Impresa presso l’università IULM di Milano ho deciso di iscrivermi al corso magistrale di IUSVE in Web Marketing & Digital Communication per approfondire il lato digitale della comunicazione.
BIBLIOGRAFIA
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Flaxman S., Goel S., Rao J.M., Filter Bubbles, Echo Chambers, and Online News Consumption, in Public Opinion Quarterly, n. 80, Issue S1, pp. 298–320, 2016.
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MISINFORMATION – Guida alla società dell’informazione e della credulità. Walter Quattrociocchi Antonella Vicini. 2016 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy
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