In Italia sta prendendo sempre più piede il concetto di Smart Working, e l’attenzione verso le modalità di lavoro “smart” sta crescendo. Secondo alcuni dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il 60% delle aziende medio grandi ha già introdotto iniziative concrete. Ma cos’è lo Smart Working? Per definizione è una sorta di nuova filosofia manageriale tramite la quale un’azienda restituisce alle persone flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati finali dei progetti. È un modello organizzativo adottato dalle aziende che interviene direttamente nel rapporto tra datore di lavoro e dipendente. Questa nuova tipologia di rapporto aziendale presuppone il ripensamento “intelligente” delle modalità classiche con cui si svolgono le normali attività lavorative, rimuovendo vincoli, ormai obsoleti, che obbligano i dipendenti alla postazione fissa. Per il Ministero del Lavoro è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’assenza di vincoli orari e spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo. Questa possibile iniziativa virale permetterà così ai lavoratori di conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorirà la crescita della produttività aziendale. Non stiamo parlando però di una semplice iniziativa work-life balance per le persone, ma di un punto di partenza per un possibile e profondo cambiamento culturale che richiede un’evoluzione dei modelli organizzativi delle aziende. In questo tipo di progetto è fondamentale che le parti coinvolte abbiamo una governance integrata. Un’azienda che decide di intraprendere un progetto di Smart Working deve innanzitutto aver la possibilità di agire contemporaneamente su più leve di progettazione e deve fare un’accurata analisi degli obiettivi, delle priorità e delle peculiarità tecnologiche, culturali e manageriali dell’organizzazione. Un nuovo modo di lavorare che bilancia la qualità della vita e la produttività individuale. Il lavoro agile (tradotto in italiano) è il risultato di un sapiente uso dell’innovazione digitale a supporto di approcci strategici che puntano sulla collaborazione tra le persone e in generale tra le organizzazioni. La tecnologia in tutto questo ricopre un ruolo chiave. Quando si parla di Digital Transformation facciamo riferimento soprattutto all’applicazione di tecnologie avanzate per connettere persone, spazi e oggetti ai progetti di business aziendale con l’obbiettivo di innovare e coinvolgere i gruppi di lavoro. Adottare un modello di tipo Smart non significa solamente lavorare da casa, ma anche rivedere il modello di leadership che si propone a favore del concetto di collaborazione. Il concetto di ufficio diventa di conseguenza “aperto”, lo spazio lavorativo non è racchiuso in quattro muri di cemento, ma ha l’obbligo di generare relazioni che vadano oltre i confini aziendali. L’auspicio di questo processo è stimolare nuove idee e quindi nuovo business. Le tecnologie digitali, che sono una delle leve sopra citate, hanno la funzione di ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, abilitando e supportando così nuove metodologie di approccio a situazioni aziendali diversificate. Uno dei benefici di questo modello di lavoro è facilitare la comunicazione tra colleghi in modo da creare una rete di network con figure anche esterne all’azienda. Le istituzioni in Italia oggi sono consapevoli e riconoscono l’importanza di dare la possibilità ai dipendenti di lavorare in modo flessibile e attraverso l’uso dei dispotici tecnologici, difatti nel giugno 2017, è entrata in vigore una legge, il cosiddetto Jobs Act, che disciplina il lavoro agile in Italia. Secondo la Legge 81/2017 il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, a un anno dall’entrata in vigore della legge, nella pubblica amministrazione in particolare, tra gli enti che hanno avviato progetti di Smart Working, il 60% lo ha fatto su stimolo della normativa. Tra le grandi imprese invece, solo il 6% trova positivo l’impatto della legge, il 49% lo ritiene nulle e il 45% addirittura negativo. Perché allora lo Smart Working conviene alle imprese? È una nuova dimensione del lavoro che sfrutta il social computing e favorisce la produttività individuale permettendo una significativa flessibilità rispetto al proprio posto di lavoro. Bisogna cambiare radicalmente i concetti di fruizione del tempo optando così per nuovi modelli di lavoro più efficienti. Lo Smart Working, come detto in precedenza, presuppone un profondo cambiamento culturale che a sua volta dovrà far affidamento sulle aziende affinché introducano approcci di empowerment, di delega e responsabilizzazione delle persone riguardo i risultati, favorendo di conseguenza la crescita dei talenti e l’innovazione delle soluzioni da applicare. Il livello di disponibilità all’integrazione digitale, oggi, ha accelerato le modalità di apprendimento dei lavoratori che hanno la possibilità di lavorare rimanendo connessi in mobilità allo stesso tempo. Proiettando l’impatto di questo possibile modello a livello di Sistema Paese e considerando che i lavoratori che potrebbero fare Smart Working sono quasi 5 milioni, l’effetto immediato porterebbe ad un incremento della produttività media stimato attorno ai 13,7 miliardi di euro (con una proiezione futura che arriverà a comprende il 70% dei lavoratori potenziali). Per i lavoratori invece una sola giornata a settimana di remote working può far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti a beneficio inoltre dell’ambiente, in quanto le emissioni di CO2 calerebbero vistosamente. A far funzionare lo Smart Working fondamentalmente sono le tecnologie digitali che permettono di scegliere il dove e il quando lavorare. Il Bring Your Owned Device è diventato il driver principale per il lavoro agile. Cresce così l’esigenza di affrontare la gestione di questo tipo di dispositivi che lavorano e collaborano con le aziende. La business continuity dipende sia dalla governance dei sistemi e sia dalla garanzia dei servizi che offrono che assicurano la massima produttività. La dotazione tecnologica standard per lavora da remoto si compone di PC portatile, VPN e servizi di social collaboration. Lo Smart Working andrà ad eliminare in questo modo l’assenteismo del lavoro tradizionale portando il dipendente a esser praticamente sempre presente in azienda, garantendo comunque la parità di trattamento economico e normativo rispetto ai colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. La quantità di tempo in cui è possibile lavorare da casa varia a secondo del tipo di accordo stipulato dalle parti. Ad oggi ci sono aziende che consentono il lavoro a distanza, ossia non presso la sede aziendale, per uno/due giorni a settimana. Un aspetto negativo evidenziato dai manager è la condivisione di informazioni mentre una fra le criticità più frequenti è la percezione di un senso di isolamento riguardo le dinamiche dell’ufficio. Altre difficoltà sono legate alla programmazione e alla gestione delle attività esterne, alla necessità di frequenti interazioni di persona e alla limitata efficacia della comunicazione virtuale. Lo Smart Working in Italia però rappresenta ormai una realtà. Gli Smart Worker sono circa 480.000 e si distinguono per maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e per la padronanza delle competenze digitali. Lo sviluppo di competenze digitali è rilevante nelle organizzazioni, non solo perché contribuisce a rendere il lavoro più smart, ma anche perché, alla luce dell’impatto della digitalizzazione sui processi aziendali è un requisito fondamentale per garantire l’employability delle persone nel medio lungo termine. La gran parte di quest’ultimi opera in aziende già affermate e strutturate. Sempre secondo i numeri dell’Osservatorio il 56% ha già lanciato progetti strutturati. I benefici economico-sociali sono potenzialmente enormi.