Se ti dicessi che sei a soli sei passi dalla persona che hai sempre desiderato incontrare? 

La teoria dei sei gradi di separazione – prima teoria del piccolo mondo – è un’ipotesi secondo la quale ognuno di noi può essere collegato a qualunque altra persona o cosa attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di sei intermediari. Il numero di intermediari, come vedremo, è diventato sempre più basso con la progressiva evoluzione dei mezzi ai quali la teoria è applicata. La nascita di Internet, dei devices tecnologici e – soprattutto – dei social network ha infatti accelerato enormemente la discesa del valore di questo numero. 

La Teoria dei sei gradi di separazione, oggi molto popolare, è stata studiata da diverse personalità, cambiando nome e spaziando gli ambiti di utilizzo.

 

L’intera storia della teoria dei sei gradi di separazione

Il primo a parlare della teoria del piccolo mondo, già alla fine degli anni Venti, è Frigyes Karinthy (1887-1938), una delle menti più brillanti di quel periodo. Nel 1929 Karinthy pubblica Catene, la sua pubblicazione più famosa, contenente la sua teoria più importante. In quest’opera si racconta di come:

La rapidità con cui si diffondono le notizie e l’utilizzo di mezzi di trasporto sempre più veloci abbia reso il mondo più piccolo rispetto al passato.

Nel suo racconto, che consiste in una conversazione tra interlocutori anonimi, l’autore presenta un esempio calzante: parte dalla scrittrice svedese Selma Lagerlöf, vincitrice del premio Nobel consegnatole dal re Gustavo di Svezia in persona, il quale ha gareggiato una volta contro il tennista ungherese Béla Kehrling, amico intimo di uno dei personaggi del racconto. In questo caso ci sono solo due connessioni tra l’interlocutore e la vincitrice del Nobel: il re e il tennista. Successivamente, i protagonisti del racconto sperimentano quante conoscenze occorrerebbero loro per entrare in contatto con un un lavoratore della Ford Motor Company e con altri individui.

Nessuno del gruppo aveva bisogno di più di cinque collegamenti nella catena per raggiungere, semplicemente usando il metodo della conoscenza, qualsiasi abitante del nostro pianeta.

Negli anni Cinquanta sono stati condotti numerosi esperimenti per verificare la veridicità della teoria, fra i quali quello di due ricercatori del MIT e dell’IBM che hanno provato a darne una soluzione matematica usando il calcolo della probabilità. Soluzione che, però, non ha risolto il “problema” dei gradi di separazione tra gli sconosciuti.

La teoria è diventata popolare verso la fine degli anni Sessanta (precisamente nel 1967) grazie agli esperimenti di Stanley Milgram, brillante psicologo americano. Gli esperimenti di Milgram hanno lo scopo di confermare scientificamente la teoria del mondo piccolo, come da lui battezzata, che si occupa di studiare le reti complesse presenti in natura e la relazione esistente tra elementi della stessa rete. Milgram sostiene che, presa una qualsiasi rete complessa ( gli abitanti della terra, i neuroni del cervello, la rete elettrica, ecc.) e presi casualmente due elementi all’interno di essa, questi sono connessi fra loro da un piccolo numero di passaggi. Lo psicologo statunitense mette dunque in atto un esperimento sociale volto a dimostrare empiricamente la sua teoria. 

Milgram seleziona in modo del tutto casuale un gruppo di persone del Midwest e poi chiede ad ognuno di loro di spedire – a diverse migliaia di chilometri di distanza – un pacco ad un abitante del Massachusetts (un estraneo). Ognuno di essi conosce soltanto il nome del destinatario, il suo impiego e la zona in cui risiede, ma non l’indirizzo preciso. Con queste informazioni ogni partecipante deve individuare il proprio conoscente che ha più probabilità di conoscere il destinatario. Ogni conoscente dei partecipanti iniziali è poi tenuto a procedere allo stesso modo, finché il pacco non arriva a destinazione. 

Considerando il periodo storico e l’inesistenza dei social network, i risultati hanno di gran lunga superato le aspettative dello psicologo: sono infatti riusciti ad arrivare a destinazione moltissimi pacchi, i quali hanno richiesto in media solamente tra i cinque e i sette passaggi. L’ipotesi originaria era che ne servissero un centinaio. Questo esperimento conferma quindi la tesi che il mondo in cui viviamo è un mondo piccolo, costituito da una rete di collegamenti tra persone relativamente breve. L’esperimento viene pubblicato nella rivista Psychology Today, suscitando un eco che ha portato al cambiamento del nome in teoria dei sei gradi di separazione e ne ha accelerato la diffusione.

Nonostante la comunità scientifica sia stata scettica riguardo l’effettiva portata dell’esperimento, principalmente a causa del fatto che il numero di pacchi spediti è stato considerato piuttosto ridotto e quindi statisticamente insufficiente a dimostrare quanto sostenuto, la teoria dei sei gradi di separazione in pochi anni è diventata molto nota nella cultura popolare. L’eco mediatico è spontaneo e maggiore a quello toccato da qualsiasi altro postulato sociologico, linguistico, antropologico. 

Nel 1990 una commedia teatrale di John Guare intitolata Six Degrees of Separation fa più volte il tutto esaurito a Broadway e nel 1993 un film omonimo di Fred Schepisi con Donald Sutherland, Stockard Channing e Will Smith, sancisce il successo della teoria nella cultura di massa. Tanto da far dimenticare presto le “falle” che hanno reso non universalizzabile l’esperimento di Milgram e tutti quelli seguenti.

È del 1994 una popolare alternativa ai sei gradi di separazione: si tratta del gioco di società online I sei gradi di Kevin Bacon, in cui ai giocatori viene dato il nome di un attore e il compito di collegarlo alla star di FootlooseIl gioco ha avuto molto successo e, di conseguenza, numerose imitazioni, fra le quali le più popolari sono Band To Band, un sito che mostra le connessioni tra gruppi musicali, e Knover, un sito che trova i legami tra i personaggi famosi.

La teoria è dunque diventata popolare grazie a film, videogiochi e spettacoli teatrali.

Successivamente sono stati eseguiti altri esperimenti sulla teoria dei sei gradi di separazione con l’aiuto di internet e del Web 2.0

Nel 2001 Ducan Watts, professore della Columbia University, prova a ricreare l’esperimento degli anni Sessanta utilizzando la posta elettronica al posto della posta classica, adottando un messaggio e-mail come “pacchetto”: oltre 48 mila mittenti di quasi 160 stati diversi devono inviare un messaggio di posta elettronica ad uno sconosciuto, anche in questo caso senza utilizzare direttamente l’indirizzo – che non hanno a disposizione – ma affidandosi nuovamente al passaparola fra conoscenti. La ricerca di Watts ha nuovamente riscontrato che il numero medio d’intermediari è effettivamente di un massimo di sei.

Nel giugno 2006 la teoria dei sei gradi di separazione potrebbe aver trovato una conferma scientifica grazie allo studio di due ricercatori della Microsoft, Eric Horvitz e Jore Leskovec. Lo studio è partito analizzando i gradi di separazione che intercorrono fra tutti gli utenti di Messenger, il sistema di messaggi istantanei della Microsoft: 30 miliardi di conversazioni fra 180 milioni di persone sparse in cinque continenti. I ricercatori sono partiti dal principio secondo cui due persone sono conoscenti se si scambiano messaggi di testo. La ricerca ha monitorato la lunghezza dei legami necessari per connettere le diverse coppie presenti nel database del sistema. Il risultato è una media di poco superiore ai sei gradi (6,6). Questo vale per il 78% delle coppie di utenti, anche se ci sono casi in cui si arriva sino a 29 passaggi.

Per me è stato abbastanza sconvolgente, abbiamo visto che ci potrebbe essere una connessione sociale costante tra i membri dell’umanità. L’idea che siamo molto vicini l’uno all’altro è sempre stata molto diffusa, ma abbiamo dimostrato che questa idea va oltre il folklore.

Per quanto ne sappiamo, questa è la prima volta che una social network può convalidare la teoria dei sei gradi di separazione.

Nel 2009 Nicholas Christakis, coautore di Connected: The Surprising Power dei nostri social network e come modellano le nostre vite, collega il nostro piacere nel riconoscere gli estranei ad un impulso biologico di distinguere l’amico dal nemico. A tal proposito, Christakis cita le leggende dei cavalieri medievali che, incontrandosi sulla strada, si fermano per recitare i loro lignaggi:

Se scoprissero di condividere un prozio o uno di loro fosse stato un vassallo per un re simile, sarebbero scesi da cavallo, si sarebbero abbracciati e avrebbero giurato lealtà. Ma se scoprissero che non avevano sovrapposizioni, avrebbero combattuto fino alla morte.

Nel 2011 un gruppo di informatici dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con due informatici di Facebook, ha ripetuto l’esperimento dei sei gradi di separazione sugli iscritti a Facebook, scoprendo che, su un campione di 65 miliardi di relazioni, le coppie di utenti sono sempre separate da meno di quattro gradi di separazione, nello specifico 3,74, molto meno dell’esito dell’esperimento di Milgram. A gennaio del 2016 un report ufficiale di Facebook sui gradi di separazione conferma infine:

Ogni persona al mondo è separata da chiunque altro da, in media, tre persone e mezzo.

Certo, in questo caso il calcolo dei gradi di separazione è valido solo per gli utenti iscritti a Facebook e non può essere generalizzato a livello universale. Si tratta di una stima derivata da algoritmi statistici. Mentre la postulazione di Milgram e gli esperimenti successivi non sono perfettamente generalizzabili, il campione considerato per questa versione “social” della teoria dei six degrees è certamente più ampio e differenziato dei precedenti e la validità generale della teoria non può certo essere messa in dubbio.

I gradi di separazione fra opere d’arte, letteratura e musica

I gradi di separazione fra le opere d’arte: la ragnatela della pittura

Grazie alla partnership instaurata con centinaia di musei, gallerie e collezioni di tutto il mondo, Google offre agli utenti un vasto archivio online di opere d’arte di ogni tipo ed epoca, chiamato Google Arts & Culture. In particolare, il sistema permette di condurre una serie di esperimenti che uniscono l’arte alla tecnologia sfruttando le potenzialità dell’intelligenza artificiale e dei big data.

Tra gli esperimenti risalta l’X Degrees of Separation che permette di applicare alle opere d’arte la famosa teoria dei sei gradi di separazione secondo la quale gli esseri umani sono tra loro collegati da un massimo di sei intermediari. Nel caso delle opere d’arte, il sistema permette di trovare somiglianze visive tra dipinti appartenenti ad epoche e movimenti artistici diversi, purtroppo però senza spiegare la connessione tra loro. L’esperimento risulta tuttavia stimolante, perché permette all’utente di ampliare le proprie conoscenze scoprendo quadri e connessioni artistiche di cui non era a conoscenza. Gli appassionati possono inoltre cliccare sulle singole opere per ricevere maggiori informazioni e dettagli riguardo alla loro storia.

Come mostrano gli esempi sottostanti esistono straordinarie somiglianze anche tra oggetti ed opere molto diversi tra loro, e il punto di forza del sistema consiste proprio nel creare nessi, rela­zioni e punti di contatto tra questi. Chi potrebbe mai pensare che un antico vaso cerimoniale e una bottiglia di Coca-Cola sono tra loro connessi? Oppure, riuscite a immaginare il collegamento tra una porcellana del ‘700 e un’opera di Damien Hirst? E tra una scarpa degli anni ’60 e un capolavoro di Lucian Freud? E ancora, cos’hanno in comune Shepard Fairey ed una maschera maya dedicata al potentissimo dio giaguaro? 

Nell’ottobre del 2006 a palazzo Douglas Scotti di Fombio (Lodi) si è tenuta la mostra collettiva d’arte Sei gradi di separazione curata da Enzo Latronico, che presenta opere di 12 artisti piacentini, diversi nello stile ma uguali nel concepire il pensiero artistico. I 12 artisti hanno condiviso il loro pensiero concretizzando i sei gradi di separazione.

I gradi di separazione nelle storie: la ragnatela della letteratura occidentale

La teoria dei sei gradi di separazione è applicabile anche al mondo della letteratura occidentale: il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges afferma che ci sono solo tre modelli di storie che danno forma a tutta la nostra letteratura. Nella seconda metà degli anni Sessanta Borges tenne alcune conferenze sull’arte di raccontare storie all’università di Harvard, negli Stati Uniti, durante le quali sostenne che le opere letterarie fondamentali per l’umanità sono, appunto, solo tre: l’Iliade, l’Odissea e i quattro Vangeli. Da questi tre archetipi discenderebbe quindi tutta la letteratura occidentale. Ma come è possibile?

Nell’Iliade si racconta di una guerra, di una città assediata e difesa da uomini valorosi ma, sostiene Borges, la trama del poema non è in fondo così avvincente: è la storia di un eroe, che si sente oggetto di un’ingiustizia commessa dal suo re e che continua la guerra come un conflitto privato perché il suo amico è stato ucciso. Ma l’Iliade racconta qualcos’altro, qualcosa in più: 

La vicenda di un eroe che attacca una città pur essendo consapevole che non la conquisterà mai, pur essendo convinto che morirà prima della sua caduta; e, al contempo, la storia ancora più commovente di uomini che difendono una città il cui destino già conoscono, una città che è già in fiamme.

Come afferma Borges, gli uomini hanno sempre sentito un’affinità con gli sconfitti troiani, piuttosto che con i vittoriosi greci. Questo, forse, perché c’è una dignità nella sconfitta che difficilmente appartiene alla vittoria. L’Iliade presenta quindi una serie di archetipi narrativi quali il sacrificio, la lotta, l’onore e la dignità della sconfitta.

Nell’Odissea la tematica è un’altra: si racconta di un viaggio di ritorno a casa, viaggio in cui entrano in scena anche le meraviglie e i pericoli del mare.

Nei Vangeli, infine, si raccontano la vita e il sacrificio di un Dio. Si racconta della sua sofferenza e del fatto che, attraverso il dolore e la morte, gli uomini tutti sono stati redenti. Per i non credenti, continua Borges, si tratta di un uomo di genio convinto di essere Dio, che scopre invece di essere solo un uomo abbandonato. 

Ricapitolando: nell’Iliade si parla di guerra, di sconfitta, di affrontare la morte e di eroi che si sacrificano o che lottano disperatamente. Nell’Odissea si parla invece di viaggio, di amore (per la propria terra e come sentimento umano reciproco), di desiderio, di vendetta, ma anche di sensualità, di terre sconosciute e mondi fantastici, di incanti, tradimenti e avventure. Nei Vangeli si parla di Dio, di redenzione, di pena, di dolore, di sacrificio, di un altro tipo d’amore rispetto a quello omerico. In queste tre storie sono presenti tutti gli elementi su cui si fonda la letteratura occidentale: Borges sostiene che da secoli noi non facciamo altro che continuare a raccontare queste tre storie con infinite varianti e trasformazioni. Pensiamo ad esempio ai Promessi Sposi: la storia di un amore contrastato che mette in scena vite sottomesse alla Provvidenza divina e schiacciate dal potere che gli uomini esercitano sugli uomini. È un romanzo fondato sul desiderio: quello che hanno Renzo e Lucia di ritrovarsi, ma anche quello provato da Don Rodrigo e dalla monaca di Monza. È un romanzo pieno di sacrifici: dal voto di Lucia alla vita santa di Fra Cristoforo. Il romanzo si ispira quindi in parte all’Odissea ed in parte ai Vangeli.

Per quanto riguarda la Teoria dei sei gradi di separazione, esiste un portale letterario chiamato Literature Map che crea collegamenti nel tempo e nello spazio tra i vari autori occidentali. Il sito, che si autodefinisce una “mappa turistica della letteratura”, è stato creato alcuni anni fa in Germania e funziona in modo molto semplice: digitando nella barra di ricerca il nome di uno scrittore il sito crea in automatico una costellazione di autori a lui connessi, che si possono definire suoi parenti – coloro che, per temi e per stile, gli somigliano, anche per contrasto. Omero, ad esempio, risulta imparentato con i filosofi greci Platone, Aristotele e Virgilio, il cui poema, l’Eneide, comincia laddove l’Iliade finisce. 

Nel caso di Borges, invece, l’autore a lui più vicino è l’italiano Italo Calvino. 

Si può dunque affermare che tutta la letteratura occidentale è collegata e che gli scrittori, i poeti e i pensatori si incontrano, si “parlano” ed entrano in relazione tra loro attraverso i secoli, i paesi e le lingue. Le storie che ci raccontiamo da migliaia di anni non sono quindi altro che delle variazioni di temi e motivi che si ripetono: la guerra, l’amore, il viaggio e il desiderio.

I gradi di separazione nella musica: la ragnatela musicale

La teoria dei sei gradi di separazione non riguarda solo l’arte e la letteratura ma si può applicare anche al mondo della musica. Esiste, infatti, una gigantesca rete di legami tra artisti apparentemente lontanissimi tra loro ed esiste un sito che permette di scoprire questi legami: si tratta di WhoSampled.com, un portale che raccoglie informazioni su brani basati su campionamenti musicali. Nel sito troviamo anche Six Degrees of Separation, un esperimento che, partendo dalla teoria dei sei gradi di separazione e sfruttando il ricchissimo database del sito, rintraccia il legame segreto tra artisti lontanissimi tra loro. Portiamo ad esempio le connessioni tra Battisti e Kanye e tra Freddie Mercury e Antonio Vivaldi:

 

Oppure, ancora: cosa avranno in comune AC/DC e Bon Iver? Apparentemente niente. In realtà l’elemento connettore delle loro vite si chiama RZA, produttore di diverse cover degli uni e dell’altro.

Questa funzione mostra che in un modo o nell’altro tutti gli artisti del mondo sono collegati tra loro tramite produttori, tematiche e basi musicali.

È lecito concludere che la teoria dei sei gradi di separazione influenza vari settori artistici, dall’arte figurativa, alla musica. Ciò significa che ogni settore è formato da una fitta rete di collegamenti e che ogni opera non è fine a sé stessa ma si ispira a delle altre opere e ispirerà a sua volta in futuro nuove “creazioni”.

Pop culture: da Oracle of Bacon a Google

L’industria cinematografica ha molti legami con la Small World Theory di Milgram ed è probabilmente una delle prime realtà della cultura popolare a esserne stata contaminata.

Da un certo punto di vista l’industria dello spettacolo sfrutta da sempre la teoria del mondo piccolo per esigenze narrative, giocando molte volte con le aspettative dello spettatore, come in alcune serie TV entrate di prepotenza nell’immaginario pop degli ultimi anni. Le serie evento Breaking Bad (V. Gilligan, 2008) e La Casa di Carta (A. Pina, 2017), entrambe disponibili sulla piattaforma di streaming on demand Netflix, sono accomunate dalla presenza di un protagonista fuorilegge, la cui reale identità è inizialmente ignota all’ufficiale di polizia incaricato di indagare sulla sua persona. In entrambi i casi le indagini proseguono con la composizione di una corposa mappa di relazioni e interrogando a ogni nodo della rete un grande numero di personaggi presunti sospetti, senza risultato. Fino al punto che, durante lo svolgimento della vicenda, agli investigatori si palesa il fatto, in un momento epifanico, che il tanto ricercato criminale è una delle persone più vicine a loro, rispettivamente il cognato e l’amante. Anche i personaggi fittizi di opere di intrattenimento sperimentano dunque, in prima persona e loro malgrado, la validità della teoria del mondo piccolo. 

Una delle prime opere cinematografiche a elevare a protagonista la teoria è Sei Gradi di Separazione (F. Schepisi, 1993), un plot dalle tinte gialle dove i protagonisti entrano in contatto tra di loro in modi più o meno accidentali e mettono in dubbio la propria rete di rapporti personali. Un monologo è particolarmente significativo:

Siamo tutti come delle porte: aperti su altri mondi. Sei gradi di separazione tra noi e chiunque altro su questo pianeta. Ma è una tortura cinese trovare le sei persone giuste.

Le trame di molti film hollywoodiani pongono al centro della vicenda una persona comune che, a seguito di una concatenazione di cause e concause viene elevata, quasi suo malgrado, ad eroe risolutore degli eventi narrativi. Nel nostro caso l’eroe inconsapevole è un giovane attore trentaquattrenne di Philadelphia, Kevin Bacon. Nel 1994 Bacon, con all’attivo un paio di film di successo, diventa protagonista di una curiosa ricontestualizzazione della teoria dei sei gradi di separazione. È stata una dichiarazione di Bacon stesso durante un’intervista per la rivista statunitense Premiere a dare il via a quello diventerà un vero e proprio fenomeno culturale. L’attore, infatti, afferma di lavorato praticamente con chiunque all’interno di Hollywood. Agli albori di internet, un gruppo di giovani studenti della Pennsylvania appassionati di cinema e pionieri del neonato web, recepisce questa affermazione con una buona dose di ironia. Prendendo come spunto il film Sei Gradi di Separazione, gli studenti progettano e iniziano a diffondere un vero e proprio gioco da salotto, il già citato Six Degrees of Kevin Bacon. Il funzionamento è molto semplice: trovare il minor numero di gradi di separazione di un qualsiasi attore, regista e produttore – vivo o morto – con Bacon, utilizzando come nodi i film in cui hanno recitato insieme. Il processo deve comprendere un massimo di sei gradi di separazione. Tale cifra prese il nome di Bacon Number, il Numero di Bacon. Se prendiamo ad esempio come attore di riferimento Al Pacino, il numero di Bacon equivale a due, in quanto in una delle molte combinazioni possibili Pacino lavorò con l’attore Paul Dooley in Insomnia (C. Nolan, 2002), il quale a sua volta era presente nel film Telling Lies in America (G. Ferland) insieme a Bacon. 

La teoria funziona anche con personalità del mondo dello spettacolo in apparenza molto distanti dalla realtà hollywoodiana. Beppe Grillo, blogger, politico e personaggio dello spettacolo italiano, ha un numero di Bacon sorprendentemente basso: si contano infatti solo tre gradi di separazione. Lo stesso Grillo stupisce la platea durante uno spettacolo live del 2005. Utilizza, infatti, il meccanismo della teoria per trovare i gradi di separazione tra sé stesso e Tom Cruise come spunto per iniziare un potente monologo sulle potenzialità del web e sulle sue concrete possibilità di evoluzione dello stesso come luogo di incontro e confronto globale per antonomasia. Grillo mette in atto questa operazione in un momento storico in cui, almeno in Italia, il digital divide era lontano dall’essere colmato. Nel 2005 infatti, secondo i dati ISTAT, solo il 34% delle famiglie italiane dispone di accesso a internet. Questa è un’operazione ripetibile praticamente all’infinito. 

Il sito web The Oracle of Bacon è stato creato nel 1996 in risposta alla crescente curiosità del pubblico. Questa realtà testimonia l’alto livello di risonanza del Numero di Bacon nella cultura popolare. I membri del gruppo di persone che ha concepito, programmato e che mantiene tuttora il sito web si sono formati all’università della Virginia e attualmente lavorano come docenti universitari o nelle principali compagnie tech della Silicon Valley. Il meccanismo impiegato da oracleofbacon.org per far combaciare la mappa attore-film-attore ha bisogno per i propri scopi di sfruttare gli immensi database aggiornati periodicamente di Wikipedia e imdb.com. Quest’ultima piattaforma, acquisita da Amazon.com Inc nel 1998, è il più grande e visitato database cinematografico: secondo i parametri di classificazione di Alexa Rank si posiziona al sessantunesimo posto nella classifica globale dei siti web per traffico ed engagement. Il database di imdb.com serve inoltre milioni di utenti, dal momento che è integrato al servizio di streaming on demand Amazon Prime Video. Esso completa l’esperienza cinematografica dell’utente restituendo in tempo reale notizie aggiuntive sugli attori grazie alla funzione X-Ray. La Teoria dei sei gradi di separazione trova, così, conferma dai dati empirici consultabili nella sezione Bacon Numbers di oracleofbacon.org: su un catalogo totale di quasi 450000 attori, registi e produttori, il 2,4% ha un Bacon Number di cinque o superiore e solo un gruppo irrilevante dello 0,04% supera il numero di sei gradi di separazione da Kevin Bacon. In ogni caso, non è noto un decimo grado o superiore.

Amazon non è l’unica piattaforma leader del mercato che ha incrociato lungo la sua strada il fenomeno culturale della Six Degrees of Kevin Bacon. Anche il motore di ricerca di Google nel 2012 implementa le funzionalità del sito web The Oracle of Bacon e lo fa tramite l’ideazione di un simpatico easter egg, che restituisce in maniera immediata il Numero di Bacon nel caso in cui venga digitato Bacon Number come query di ricerca seguito dall’attore o personaggio famoso di interesse. In realtà l’obiettivo di Google, come rivela il lead engineer Yossi Matias, è di sfruttare la notorietà del fenomeno pop per esemplificare al grande pubblico il potenziale di miglioramento degli algoritmi del motore di ricerca in relazione a servizi esterni. Questa occasione è infatti l’opportunità giusta per presentare al grande pubblico per la prima volta il Knowledge Graph. Si tratta di una implementazione, disponibile ancora oggi, che fornisce all’utente un search engine results page perfezionato in base alla query di ricerca: contenuti visuali e sintetici con un’attinenza semantica in aggiunta ai risultati di ricerca standard.

Kevin Bacon ospite al TEDx Midwest

Six Degress of Kevin Bacon è un fenomeno grassroots. Come ogni fenomeno culturale partito dal basso poteva esaurirsi velocemente lasciando poca memoria di sè, ma così non è stato. Il meccanismo e le sue dinamiche hanno infatti subito un inaspettato processo di viralizzazione e passaparola, fra l’altro in un momento storico in cui non esistevano ancora i Social Media – facilitatori del words of mouth. Ciò gli permise di entrare nell’immaginario popolare nei decenni successivi anche in realtà non strettamente cinematografiche. Lo stesso Kevin Bacon ha declinato la teoria che porta il suo nome per incentivare la realizzazione di progetti benefici e umanitari, tramite la onlus sixdegrees.org, fondata nel 2007. In un intervento del 2014 per TEDxMidway, Bacon la definisce un’organizzazione costruita in virtù della popolarità della teoria del mondo piccolo e dell’idea del fare del bene attraverso la propria rete di contatti. La sua mission è coinvolgere le persone, elevandole a celebrità, affinché diano il loro contributo a progetti di beneficenza che altrimenti non otterrebbero la dovuta promozione. In questo modo la filosofia della connessione tra gli individui mobilita l’azione sociale secondo l’idea che chi ha bisogno di aiuto è molto più vicino a noi di quanto si tenda a credere. La dinamica è amplificata con un utilizzo sapiente della content strategy sui canali social della onlus, molto attivi anche in questa congiuntura storica di quarantena sociale causata dal COVID-19 con l’hashtag #istayhomefor. In particolare, sulla pagina Instagram della Onlus, @sixdegreesofkb, saltano all’occhio le immagini di volti di persone comuni, promotori di una specifica campagna sociale, che sono concettualmente e fisicamente vicini a quelli di vere celebrità all’interno del feed del social network.

La teoria dei sei gradi di separazione attraverso i social network

I social network, grazie alla loro particolare struttura e alla loro capacità di connettere virtualmente le persone, sono particolarmente e strettamente legati alla teoria dei sei gradi di separazione. Non a caso Karinthy, a sua insaputa, ha gettato le basi delle reti di comunicazione moderne. È sorprendente pensare con quanta facilità si possa trovare casualmente un individuo attraverso i social network, ed è ancora più sorprendente il fatto di poter volontariamente cercare qualcuno.

L’esperimento di Milgram, di cui si è precedentemente parlato, coinvolge un numero limitato di soggetti, motivo per cui è stato ricreato nel 2001 da Duncan Watts, che l’ha adattato al nuovo mezzo: Internet. L’esperimento, come visto, ha dato come risultato un numero finale di sei gradi di separazione. L’esperimento è stato nuovamente ripreso nel 2006 da due ricercatori di Microsoft che, dopo aver analizzato i log delle conversazioni su Messenger, sono giunti alla conclusione che fra due utenti del programma vi siano in media 6,6 gradi di separazione. Nel 2011 una collaborazione tra la Statale di Milano e Facebook ha dimostrato che, con l’avvento dei social network, i gradi di separazione si riducono a quattro. Ma questo lo abbiamo già chiarito.

La maggior parte dei social network è quindi in grado di indicare con facilità il numero di contatti in comune tra due utenti: è stato dimostrato recentemente prendendo un campione di 721 milioni di utenti Facebook, con 69 miliardi di amicizie tra loro. Si tratta dello studio con il più grande campione mai preso in esame. Un aspetto importante relativo a Facebook sta nel fatto che, con l’aumento degli utenti iscritti, il numero medio di intermediari sia passato in pochi anni 5,28 passaggi a 4,74.

Occorre citare la piattaforma SixDegrees.com come punto di partenza di tutta la riflessione. Essa è stata lanciata nel gennaio del 1997 dalla MacroView Communications e può essere considerata il primo sito con tutte le principali funzionalità dei moderni social network. Già allora, infatti, il sito offriva agli utenti la possibilità di creare un proprio profilo pubblico online, gestire una lista di contatti e interagire con altri utenti attraverso private messaging. L’ideatore di Sixdegrees è Andrew Weinreich, che ha basato la creazione di questo social sulla Teoria dei sei gradi di separazione di Stanley Milgram

Anche se le piattaforme e il web stesso si sono evoluti, il loro scopo è rimasto quello di connettere quanti più utenti possibile a livello globale. Un social network può essere considerato come un grafo che rappresenta una serie di relazioni tra entità indipendenti. Si può parare di un insieme di nodi, detti anche vertici, collegati tra loro da un vasto numero di archi. Lo studio delle piattaforme social ci aiuta a capire come nascono le informazioni, come queste si diffondono, oppure come si propagano le epidemie o i malware, la resistenza ai guasti e più in generale come evolve il web quando si trova di fronte a nuovi fenomeni.

Da un punto di vista puramente topologico, un social network è una via di mezzo tra una sorta di reticolo, all’interno del quale i legami tra le persone sono fissati, e una struttura completamente random, in cui si instaurano rapporti casuali. Ogni persona tende a raccogliere attorno a sé un insieme di individui, fino a formare un cluster con cui condivide qualcosa, sia esso un interesse, un hobby o altro. I cluster sono caratterizzati da una distanza di relazione interpersonale ridotta, per questo una persona fa generalmente parte di più cluster sconnessi tra loro. In questo modo luoghi e utenti che sarebbero molto distanti nella realtà, trovano il modo di avvicinarsi, nonostante non si conoscano e non abbiano elementi in comune. Tutto ciò fa sì che il mondo sia più connesso di quanto lo sarebbe senza le relazioni interpersonali, accorciando le distanze tra le persone. 

Per spiegare con un esempio pratico questo complesso modo di stringere relazioni in rete, lo si può paragonare alla diffusione di una malattia come l’AIDS. Il reticolo citato in precedenza corrisponde alle coppie monogame, all’interno delle quali ogni persona ha rapporti sessuali solo con l’altra; se una persona si ammala, può infettare solamente il proprio partner. Al contrario, la situazione random sopra decritta è quella della massima promiscuità sessuale, ovvero nella quale tutti hanno rapporti con tutti. In questo caso la rete dei social network corrisponde a un insieme di coppie, tendenzialmente monogame, ma con un certo numero di relazioni extraconiugali. Se un individuo contrae il virus non infetta quindi solo il proprio partner, ma anche altre coppie.

Prendendo in considerazione vari studi riguardanti la teoria dei sei gradi di separazione, si può notare come all’interno dei social network sia presente una serie di traiettorie brevi, dette short path, tra due punti casuali. Inoltre è dimostrato che le persone, in mancanza di una mappa globale, sanno comunque usare la propria mappa locale al fine di trovare gli short path stessi. Il tutto si basa sul fatto che in una rete sociale ogni individuo ha una conoscenza sufficiente delle sotto-strutture, i cluster, come il proprio gruppo di amici del liceo, il gruppo dei colleghi di lavoro, il gruppo degli appassionati di fotografia e così via.

Nonostante i temi affrontati in precedenza, esistono anche altre proprietà dei social network che permettono di legare gli individui tra loro. A differenza dei collegamenti reali infatti, sul web tutto risulta più fluido, semplice e veloce, le distanze si azzerano e anche il tempo viene nettamente ridotto. Si può così parlare del fenomeno dell’high clustering, che spiega in maniera  differente la connessione tra gli individui in rete. I social network presentano infatti delle strutture a triangolo, cioè gruppi di tre persone che si conoscono tra loro. Occorre quindi ricordare la combinazione di due effetti fondamentali all’interno di queste strutture virtuali. Il primo riguarda l’omofilia, che consiste nella tendenza a legarsi con persone che condividono determinati aspetti o interessi; essa porta alla formazione di molte strutture triangolari (utenti 1 nella figura). In secondo luogo si può parlare dei legami deboli, dall’inglese weak ties, i quali portano l’individuo a rompere i confini di un determinato gruppo per legarsi a individui “lontani”, che non verrebbero altrimenti raggiunti (utenti 2 nella figura).

La presenza di triangoli fa sì che la distanza di diffusione delle informazioni sia minore di quanto avverrebbe nella realtà. Per fare un esempio concreto, si può supporre che che ogni utente abbia in media 100 amici online. Dopo aver considerato questo come punto di partenza si può parlare di un secondo momento, nel quale un’informazione arriva a raggiungere 10.000 utenti. In terzo luogo, quella stessa informazione arriva a coprire un totale di un milione di utenti. Questa rapida propagazione avviene grazie ai triangoli relazionali, attraverso i quali utenti diversi riescono venire in contatto tra loro. Parlando del fenomeno dell’high clustering applicato a Facebook, è interessante osservare come siano sufficienti solo 4 step per raggiungere un qualsiasi utente partendo da un utente dato.

Si può poi parlare del fenomeno dell’invarianza di scala. Si tratta di una proprietà caratteristica di reti che crescono nel tempo, facendo in modo che i nuovi nodi che si aggiungono si aggreghino attorno ad altri nodi esistenti, i quali presentano già un grosso numero di connessioni. Facendo un esempio concreto e ipotizzando di applicare questa teoria alla società moderna, si potrebbe dire che chi è ricco tende a diventare più ricco, gli attori noti tendono a ottenere più fama, i lavori scientifici molto citati tendono a ricevere ancora più visibilità e così via. All’interno del mondo dei dei social network si può quindi parlare di un grosso numero di utenti con poche connessioni e, allo stesso tempo, di un piccolo numero di utenti con un elevato numero di contatti. Tali reti relazionali sono estremamente resistenti a problemi distribuiti, come la scomparsa di nodi in posizioni casuali, ma sono anche molto sensibili ad attacchi mirati. Occorre affermare che, nei modelli di propagazione delle informazioni, non tutti i nodi della rete abbiano lo stesso peso. Infatti ci possono essere utenti che hanno un’influenza maggiore, mentre altri che non godono di una particolare visibilità. Questo può far sì che l’informazione, per andare da un utente A a un utente B, segua dei cammini preferenziali.

Parlando di gradi di separazione e connessioni attraverso i social network, occorre evidenziare che queste ultime non si limitano soltanto alle connessioni tra persone. Oltre a collegare gli individui, la rete possiede degli strumenti che permettono la diffusione di contenuti da parte degli utenti più visibili, titolari di una rete di collegamenti più ampia. Si può così parlare di influenza sociale, definita come la capacità di alterare o determinare il comportamento di altri utenti del web, all’interno di un certo scenario. Il tutto è strettamente collegato all’ambito del marketing, nel quale localizzare gli influencer e costruire relazioni con loro è di fondamentale importanza. Secondo gli specialisti, l’influenza di un contenuto pubblicato sui social è misurabile tramite tre parametri:

  • il numero di utenti direttamente collegati a colui che pubblica un post, il quale rappresenta la dimensione della sua audience;
  • il numero di risposte ricevute e relative a un contenuto pubblicato; 
  • il numero di volte che un post viene ri-condiviso con altri utenti. 

Il terzo punto in particolare rappresenta la distanza di propagazione di un contenuto, quindi la sua capacità di allargare l’audience.

I diversi punti di vista dei sei gradi di separazione nel marketing

La teoria nel Web 

Una domanda sorge spontanea: come si collega e cosa c’entra la teoria dei sei gradi di separazione con l’Internet Marketing? Domanda assolutamente lecita e sensata. La risposta è in realtà molto semplice: le buone notizie sulla tua attività iniziano da te. La base di partenza è pubblicizzare la tua attività con energia ed entusiasmo, comunicando in modo chiaro e semplice la tua proposta di valore, e se riesci a fare questo in modo corretto ed efficace i tuoi amici potrebbero essere disposti a condividere il tuo messaggio con i loro amici, e così via. Il word of mouth, passaparola, è uno degli strumenti più forti nel marketing ed è proprio grazie a questo che la teoria dei sei gradi di separazione si lega indissolubilmente ad esso. Secondo questa teoria, la possibilità di diffusione è di scala esponenziale semplicemente partendo da un semplice gruppo di amici che diffondono la nostra attività.

La teoria come potere dei dipendenti

Marcel Molenaar, country manager e responsabile delle soluzioni di marketing per Linkedln Benelux, spiega come le nostre vite sempre più connesse stanno variando le dinamiche messe in gioco per i brand. L’avvento di Internet (1994), il suo sviluppo successivo con i dispositivi mobili e la nascita dei social media hanno drasticamente cambiato il modo in cui ci connettiamo, comunichiamo e viviamo la nostra vita quotidiana, a causa dell’annullamento della spazialità e della temporalità. Per questo motivo l’applicazione della Teoria dei sei gradi di separazione al giorno d’oggi comporta indubbiamente una modifica delle sue modalità d’azione per via del differente contesto culturale in cui ci troviamo. Questo porta i marketers a porsi una domanda fondamentale: in che modo si possono utilizzare i gradi di separazione nel rapporto tra dipendente e cliente? 

Oltre all’essere più connessi di quanto lo eravamo vent’anni fa, siamo anche maggiormente consapevoli delle milioni di interazioni che avvengono quotidianamente. Quest’ultime sono azioni che permettono di creare e modellare la percezione che i consumatori hanno del brand, ampliando la notorietà del marchio con valenza positiva o negativa. In questo modo chiunque può diventare una sorta di promotore del brand che acquista e consuma. Si vanno così a creare reti professionali e personali di portata globale ed è proprio in questo specifico contesto che gli stessi dipendenti di un’azienda hanno il potere di condividere la propria voce, diffondendo i punti di forza e i successi dell’azienda e diventando così uno degli strumenti di marca più efficaci dell’era di Internet. Per questi motivi la cultura, l’impegno e la fidelizzazione dei dipendenti sono al giorno d’oggi le sfide principali per i leader aziendali. 

I social network dei propri dipendenti possono infatti diventare una cassa di risonanza per la cultura dell’azienda e permettono di dare vita a una tipologia di marketing incentrato sulle persone che funziona proprio perché rende il tuo marchio umano, sensibilizzando il cliente e catturando maggiormente il suo interesse. Indipendentemente dal prodotto o servizio offerto, i dipendenti sono sempre i migliori ambassadors.

Ziggo e KLM are good examples of companies that have used LinkedIn to post updates, visuals and blogs from their employees. Not only does this build an employee’s ‘personal brand’, it also helps to keep followers and potential new talent up to speed on the company.

Un esempio di portata globale è Google. La multinazionale, infatti, si è distinta per ben due volte – 2014 e 2015 – per essere uno dei luoghi migliori in cui lavorare. Google è sinonimo di cultura e offre molti vantaggi e benefici ai dipendenti: pasti gratuiti, viaggi e feste, bonus finanziari, possibilità di partecipare a presentazioni di dirigenti di alto livello, palestre, un ambiente amico dei cani; senza contare che i googler hanno accesso a tutto l’arsenale dei social media dell’azienda e agli strumenti di condivisione web. I comfort e l’attenzione che un’azienda dedica ad i suoi dipendenti sono la base per creare un terreno fertile di condivisione da parte degli stessi, che, in tal caso, si mostreranno entusiasti e felici di far parte dell’azienda. È quindi necessario creare e coltivare un ambiente idoneo e coinvolgente che dia importanza ai dipendenti. Da ricordare sempre: i dipendenti possono diventare i migliori ambassadors di un’azienda.

La teoria in relazione al cliente

Possiamo fare un ulteriore passo avanti e arrivare ad applicare la teoria dei sei gradi di separazione anche ai clienti di un’azienda, in modo da ampliare ulteriormente il raggio d’azione della nostra strategia di marketing.

Varie analisi dimostrano che i clienti non comprano quasi mai la prima volta che entrano a contatto con un prodotto, bensì dopo alcuni passaggi che è possibile ricondurre alla teoria dei sei gradi di separazione. I sei passi che dividono i nostri customers dall’acquisto sono di fondamentale importanza per l’azienda, motivo per cui e è necessaria una strategia adeguata. Sei gradi che, come la teoria di base enuncia, portano l’azienda alla finalità principale, che in questo caso è portare il cliente all’acquisto. Comporre questo schema strategico non è un percorso facile e le cose si complicano maggiormente nei rari casi in cui si voglia attuare una strategia strettamente legata all’offline. I punti di contatto, in ordine cronologico, sono i seguenti: incontro con il cliente, invio di un biglietto di ringraziamento, a cui segue una newsletter, poi un biglietto d’auguri per un’occasione speciale, informazioni su un nuovo prodotto/servizio e infine la proposta di un altro articolo che possa interessare il consumatore. Lo scopo principale di questi sei touch point non è quello di attirare l’attenzione per dimostrare di essere migliori degli altri, ma quello di trasmettere la volontà di persistere – senza chiaramente diventare insistenti – e la capacità di suscitare un interesse nel cliente con una combinazione di azioni mirate. Da non perdere mai di vista che ognuno dei sei step deve puntare ad un follow up del consumer, stimolandolo a proseguire la strada che porta alla vendita. 

La teoria è anche Influential Marketing

Se il mondo è davvero così piccolo e connesso, una domanda sorge spontanea: se siamo tutti così collegati e facilmente raggiungibili, perché è tanto difficile raggiungere il proprio pubblico? Le agenzie pubblicitarie, ad esempio, hanno da sempre come obiettivo principale quello di raggiungere il target studiato per ogni singola azienda. 

Vent’anni fa la mossa migliore e più frequentemente utilizzata era quella di accaparrarsi, a cifre molto alte, annunci pubblicitari in riviste influenti o in luoghi di ricco passaggio. Oggi, nell’era in cui ognuno di noi può essere un produttore di contenuti e in cui siamo tutti abituati a essere bombardati da annunci pubblicitari di ogni tipo, risulta più efficace puntare a individui che portino a un risultato significativo piuttosto che identificare riviste e canali generici con maggior influenza su determinati pubblici. Questo particolare individuo viene chiamato in modo più specifico Key Influential Person (KIP).

L’applicazione della teoria del piccolo mondo assume un risvolto sicuramente interessante se adattata, in modo coerente, alla realtà aziendale. Il fulcro della strategia consiste nel raggiungere una persona considerata influente da cui partire per assicurarsi di riuscire ad arrivare, in seguito, al nostro obiettivo primario: il pubblico adatto all’azienda. La chiave è quindi raggiungere persone che non solo sono interessate a ciò che la propria azienda fornisce, ma che vogliano anche condividere la storia aziendale con gli altri. Si viene così a creare un network d’influenza con un aumento esponenziale.

Identificare i principali attori che potrebbero potenzialmente influenzare le masse in uno specifico demografico suona semplice, ma in realtà non lo è per nulla. Il nostro obiettivo iniziale non dev’essere la fonte finale, ovvero l’influencer più popolare – bensì una moltitudine di sub-influencer. Queste persone non hanno certamente il blog più popolare o il più grande seguito sui social media, ma hanno una forte capacità di influenzare le proprie communities. In effetti, la maggior parte degli influencer più importanti ottiene i loro contenuti da una racconta di “influencer di livello 2” – scrittori, blogger e gruppi industriali. I migliori personaggi d’influenza individuano tendenze che sembrano guadagnare terreno in un settore specifico e ne diffondono il trend ai loro seguaci. La parte grandiosa di tutto questo è che non ci vuole molto sforzo: una volta studiato lo schema di partenza per il collegamento, la teoria dei sei gradi di separazione farà il resto. 

Richiamo alla teoria dei sei gradi di separazione durante il COVID-19

Nel 1300, ai tempi della peste, era impensabile che tra gli individui potessero esservi solo sei gradi di separazione. Probabilmente servivano centinaia o migliaia di strette di mano per essere collegati con gli altri. La peste infatti, ci ha messo anni a diffondersi in Paesi e Continenti diversi. Le prime Rivoluzioni Industriali hanno sicuramente accorciato la distanza tra le persone grazie a uno sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione. Seicento anni dopo la strage della peste, alla fine della Grande Guerra, si può dire che lo spostamento degli individui e il contatto tra persone di diversi Paesi era ancora limitato. In occasione della Prima Guerra Mondiale, però, l’ammasso di prigionieri nelle trincee in condizioni igieniche disastrose e il ritorno a casa delle truppe al termine del conflitto, hanno contributo alla diffusione dell’influenza spagnola. La circolazione di milioni di persone nello stesso momento, avvenimento raro a quel tempo, ha portato a una vera e propria pandemia mondiale.

Il veloce dilagare delle epidemie è da sempre un segnale del fatto che siamo un’unica grande società, ma forse solo con i mezzi e la mentalità che abbiamo in questo momento storico siamo realmente riusciti a realizzarlo. Infatti, sin dalle prime notizie del focolaio del Coronavirus di Wuhan, l’allerta è presto diventata elevata in tutto il mondo. La libera e velocissima circolazione degli individui e delle notizie non è più evento eccezionale e difficoltoso e le conseguenze che ne derivano non sono di certo imprevedibili. La rapida e inesorabile diffusione del virus, potenzialmente arrivato in tutto il mondo con sei strette di mano, e anche delle notizie (e fake news) dimostra ancora una volta come i confini tra i Paesi siano ormai una costruzione mentale e ciò giustifica l’interdipendenza e l’interconnessione delle relazioni tra cittadini della stessa Nazione e non. Anche se i legami sono invisibili, siamo tutti uniti e connessi: siamo tutti più vicini e liberi, così come lo sono anche le informazioni. 

La ricostruzione dei network di relazioni che hanno favorito la diffusione di fattori sociali, sanitari e culturali, anche quelli che si sono creati sette secoli fa, è stata possibile solo in tempi più recenti, con lo studio dei movimenti delle persone e quindi delle reti che sono nate. Tra gli studi più recenti vi sono quelli di Mark Newman, fisico che ha contribuito allo studio delle reti e dei sistemi complessi. Newman ha elaborato delle formule che permettono di individuare i network sociali, i gruppi e i sottogruppi all’interno degli stessi e addirittura simulazioni che danno la possibilità di comprendere come le strutture incidano sulla diffusione di un virus. Il giusto utilizzo di questi dati consente una più agevole comprensione del virus e dei nodi del contagio. Newman equipara inoltre il contagio da virus al contagio da mode, sostenendo l’applicabilità del proprio modello ai network tecnologici, di informazione, biologici e sociali. Egli sostiene inoltre che l’insieme dei dati sia un Eden matematico che mette in luce cose mai viste, in qualsiasi ambito: epidemiologico, comunicativo, tecnologico, biologico, sociale; sottolinea infine come la quantità dei gradi di separazione vari da ambito ad ambito, precisando però che comunque il fattore comune rimane quello della viralità.

Oggi, in un momento in cui la tecnologia e la ricerca sono ad un livello avanzato, è sicuramente più facile ricostruire le reti di relazioni, grazie a preziosi strumenti per la gestione delle informazioni e dei contatti. Allo stesso tempo le reti di relazioni sono più numerose ma più semplici: i gradi di separazione infatti possono essere addirittura meno di sei. È necessario però evidenziare che senza circolazione non vi è ricerca di risorse e la diffusione (del virus, delle idee, delle mode, degli studi) è quindi fattore indispensabile affinché si ricostruiscano le connessioni e si sviluppino dei risultati. Allo stesso tempo, perché vi sia diffusione, devono esistere delle relazioni sociali: la posizione di un individuo nella società incide sulla sua capacità di ottenere tutto ciò che deriva dal rapporto con le altre persone, vantaggi e svantaggi. È ad esempio improbabile che una persona totalmente isolata venga colpita dal Coronavirus.

A proposito di COVID-19 e di network di relazioni: chi sono i congiunti? Per quanto possa sembrare assurdo, la teoria delle reti ci spiega anche la logica che sta dietro a questo termine tanto discusso. Vi è infatti una distinzione matematica tra amici e familiari che è assolutamente logica. Il motivo principale della distinzione risiede nella necessità di limitare il più possibile i contatti tra le persone e di stabilire una regola generale che assista lo spostamento delle stesse. Per riuscire a comprendere il secondo motivo, senza stabilire una regola su quale affetto sia più o meno stabile, è necessario parlare dell’app Immuni. Si può ipotizzare che ogni cittadino abbia la possibilità di inserire nella propria app i nomi di 4 persone, con nessuna possibilità di cambiarli. Anche questa strada porta ad una limitazione al numero di persone con cui si entra in contatto, scelte però da ciascun individuo. Questa seconda modalità limiterebbe il numero di contatti, lasciando però integra la rete dei contatti ravvicinati, che è quella su cui si muove il contagio del COVID-19. Permettendo il contatto tra i soli familiari, ipoteticamente il Coronavirus attaccherebbe una sola famiglia. Allargando il contatto agli amici, potrebbe potenzialmente raggiungere ben 4 famiglie. La costruzione dei contatti virtuali tra persone è facilmente realizzabile, ma non lo è altrettanto per gli incontri fisici. 

Nel 2008 con il progetto POLYMOD è stata effettuata un’indagine in cui è stato chiesto a 7.290 persone di segnare i contatti avvenuti faccia a faccia durante una giornata. In Italia è stata registrata una media di 19,77 contatti, mentre in Germania una media di 7,95 (questo potrebbe spiegare anche il perché in Italia il virus si sia diffuso più velocemente che in altri Paesi). Questo progetto, basato sul contact tracing, ha anche messo in luce tra quali fasce d’età e in quale misura sono avvenuti i contatti. I dati permettono di comprendere quale potrebbe essere il livello di contagio in una zona o in un Paese.

L’App Immuni rende automatico tutto ciò che è stato effettuato da POLYMOD, ma questo non si rivela così utile in quanto – per questioni di privacy – le informazioni rimangono sul dispositivo e non vengono inviate ai server centrali. Immuni è quindi utile solamente a sapere se è avvenuto un incontro con una persona contagiata, ma non porterà vantaggi in merito alla costruzione delle reti sociali e alla conseguente prevenzione di una nuova ondata di diffusione.

Durante questo periodo di pandemia la Small World Theory non è stata ripescata solo per lo studio del contagio. A inizio marzo su Twitter un utente ha twittato “se Kevin Bacon prende il coronavirus, siamo tutti spacciati”. È chiaro il riferimento al gioco Sei gradi di separazione da Kevin Bacon, di cui abbiamo già parlato. Questo fatto è stato citato ultimamente dall’attore per divulgare la challenge I Stay Home For. Bacon ha registrato un video di sensibilizzazione sul tema COVID-19 dove recita: 

Ciao ragazzi, mi conoscete, no? Tecnicamente sono solo a sei gradi di separazione da tutti voi.  

Nel cartello che teneva in mano si vedeva la scritta I stay home far Kyra Sedgwick (sua moglie). Nel post Bacon ha ricordato quanto sia importante rimanere a casa per i propri cari, in quanto un proprio contatto potrebbe essere la causa della malattia della mamma, del nonno, della moglie. Ha così sollecitato le persone a registrare un video simile, invitando gli amici a fare lo stesso. Lui stesso ha taggato Jimmy Fallon, Elton John, Brandi Carlile, Kevin Hart e Demi Lovato.

Conclusioni

Ciò che abbiamo tentato di fare con la stesura di questo articolo è, innanzitutto, dare un’idea generale ma precisa al lettore su cosa è la teoria dei sei gradi di separazione. Cos’è e come funziona. Secondariamente, abbiamo cercato di spaziare i diversi ambiti molto eterogenei fra loro nei quali è possibile utilizzarla o incontrarla. Ci siamo mossi fra l’arte figurativa, la letteratura, il cinema, le serie tv, i social network, passando per il marketing, sino ad arrivare alle pandemie. Lo abbiamo fatto consapevolmente, con l’intento di far capire al lettore quanto quello trattato sia un argomento pregnante, universale e camaleontico; applicabile a contesti totalmente differenti fra loro con un principio che, però, rimane sempre uguale a se stesso. La logica è sempre quella, i contesti cambiano.

In conclusione, un ultimo aspetto che ci preme sottolineare è quanto l’applicazione di questa teoria possa essere positiva o negativa a seconda dei contesti d’uso. Un’arma a doppio taglio, insomma, ma uno strumento ricco di possibilità se utilizzato nella maniera corretta. Uno strumento di marketing, di spettacolo, ludico, uno strumento che cambia a seconda delle occasioni e in base alle necessità d’utilizzo.

Vi abbiamo messi al corrente di un’opportunità, adesso sta a voi decidere se imparare a utilizzarla correttamente e se può essere utile in un qualche ambito della vostra vita o del vostro lavoro.

Fonti

L’intera storia della teoria dei sei gradi di separazione
www.insidemarketing.it/teoria-dei-sei-gradi-di-separazione-e-social/
www.nytimes.com/2016/02/05/technology/six-degrees-of-separation-facebook-finds-a-smaller-number.html
www.wilditaly.net/sei-gradi-di-separazione-37127/
omarventuri.it/lesperimento-di-milgram-karinthy-e-i-sei-gradi-di-separazione/
sociologicamente.it/stanley-milgram-e-la-teoria-dei-sei-gradi-di-separazione-siamo-tutti-collegati/
www.corriere.it/scienze/08_agosto_02/Gradi_separazione_Messenger_Microsoft_6ecaf3f2-60b4-11dd-94c1-00144f02aabc.shtml
www.lastampa.it/tecnologia/2007/01/22/news/i-sei-gradi-di-kevin-bacon-da-gioco-online-a-sito-benefico-1.37135657
www.culturedigitali.org/the-small-world-theory-teoria-sei-gradi-separazione/

I gradi di separazione fra opere d’arte, letteratura e musica
elisabettavignato.it/sei-gradi-di-separazione/
artsexperiments.withgoogle.com/xdegrees/8gHu5Z5RF4BsNg/BgHD_Fxb-V_K3A
www.literature-map.com/
www.whosampled.com/six-degrees/
www.ioscrittore.it/2013/05/16/ma-davvero-esistono-solo-quattro-storie/

Pop Culture: da Oracle of Bacon a Google
www.youtube.com/watch?v=XiHiyF7Tza8
oracleofbacon.org/
www.youtube.com/watch?v=8T2359z1GEk
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www.theverge.com/2012/9/13/3327478/google-search-six-degrees-of-kevin-bacon-calculator www.theguardian.com/film/2012/sep/13/google-six-degrees-kevin-bacon
www.theverge.com/2012/5/16/3024418/google-knowledge-graph-intelligent-sarch
www.sixdegrees.org/

La teoria dei sei gradi di separazione attraverso i social network
www.epolenghi.it/social-network-sei-gradi-separazione/
www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/social-network-a-raggi-x-high-clustering-gradi-di-separazione-invarianza-di-scala/
research.fb.com/blog/2016/02/three-and-a-half-degrees-of-separation/?__mref=message_bubble&pnref=story.unseen-section
sixdegrees.com
sociologicamente.it/stanley-milgram-e-la-teoria-dei-sei-gradi-di-separazione-siamo-tutti-collegati/
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www.wired.it/scienza/lab/2016/02/04/gradi-separazione-facebook/?refresh_ce
socialnetworkhistory.blogspot.com/2010/07/sixdegreescom-il-primo-brevetto-nel.html

I diversi punti di vista dei sei gradi di separazione nel marketing
website101.com/small-business/the-six-degrees-of-internet-marketing/#.XsEpy1MzbOR
www.thedrum.com/news/2016/10/11/six-degrees-separation-the-power-employees-brand-perception
www.psychotactics.com/six-degrees-of-customer-separation-2/
www.dbswebsite.com/blog/six-degrees-of-separation-marketing-through-influence/
www.psychotactics.com/

Richiamo alla teoria dei sei gradi di separazione durante il COVID-19
www.ilsole24ore.com/art/dalla-spagnola-coronavirus-lezione-emergenze-nessuno-e-lontano-ADVrdnB
www.sivempveneto.it/se-tra-me-e-la-sars-ci-sono-solo-sei-gradi-di-separazione-come-fermare-unepidemia-che-minaccia-di-diventare-una-pandemia/
www.stateofmind.it/2020/02/coronavirus-reti-sociali/
www.youtrend.it/2020/05/03/amici-congiunti-differenza-teoria-delle-reti-immuni/
www.comingsoon.it/cinema/news/kevin-bacon-in-un-video-lancia-la-campagna-gioco-su-instagram-i-stay-home/n102334/

Team

Francesca Borgonovo
Tre parole bastano per definirmi, egocentrica racconta storie, di tutti i tipi. Divoratrice di libri ed entusiasta esploratrice della vita, mi affaccio al mondo del marketing non solo come spettatrice, bensì anche come attiva partecipante. Dopo la laurea in Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’impresa, ho accettato la sfida e mi ritrovo così nel campo del web marketing e della digital communication. Il resto, come piace dire a me, è ancora da scrivere. 

Elenia Bozzato
Dopo essermi appassionata al digital marketing durante il percorso di laurea in Scienze e Tecniche della Comunicazione Grafica e Multimediale allo IUSVE di Mestre, ho scelto di continuare il mio cammino nell’affascinante mondo della comunicazione con il corso di Web Marketing e Digital Communication, sempre allo IUSVE, ma questa volta di Verona. Sono una pignola osservatrice e ascoltatrice, ma so anche essere creativa e intraprendente. Odio la sedentarietà e sono un’amante delle passeggiate, meglio se in posti nuovi o al mare.

Anna Cacciolari
Dopo una triennale in campo economico, ho proseguito nella direzione della comunicazione per coniugare due aspetti fondamentali per ogni tipologia di organizzazione. In una delle mie prime esperienze lavorative, nel mondo dell’organizzazione eventi, mi hanno definita “pignola, ma nell’accezione positiva del termine”. Sono da sempre appassionata all’estetica e alla cura dei dettagli e mi interesso ad ambiti quali la moda, il design e l’automotive. La mia empatia e la mia curiosità mi portano continuamente a cercare, a scoprire, a meravigliarmi delle cose, delle persone.

Chiara Debiasi
Cercare la bellezza in ogni cosa: un attimo, una parola, un movimento. Questa è sempre stata, per me, la spinta più forte. Credo nel provare a migliorarsi sempre, che si debba essere in grado di fare e disfare, e poi ancora cambiare ogni cosa. Questa sono io, ricerca costante della perfezione, amore per la bellezza, continua evoluzione. Sono laureata in Graphic Design e Multimedia, dopo un anno lavorativo  all’interno di un agenzia di comunicazione ho deciso di rimettermi in gioco e attualmente sto concludendo il mio percorso di studi nel campo del web marketing e della digital communication.

Marco Dimai
Sono laureato in Lingue e Culture per il Commercio Internazionale. Attualmente studio all’Università IUSVE in Web Marketing & Digital Communication. Sono un avido vaga-mondo: mi interessa la comunicazione e la declinazioni social del viaggiatore 2.0 e mi appassiona il cinema, la cultura pop, la fotografia e il mondo digital in generale.

Susanna Di Martino
Mi sono laureata in Scienze della Comunicazione all’Università di Pisa e attualmente studio Web Marketing & Digital Communication allo IUSVE di Verona. Ho iniziato a parlare a 10 mesi e non ho più smesso: mia madre mi ha sempre detto che sarei stata un ottimo avvocato, io mi sono sempre vista meglio come giornalista. A 25 anni non ho ancora ben chiaro cosa voglio fare nella vita, ma parlare è l’unica cosa che davvero mi riesce bene, ecco perché sono qui. Mi piace vivere, e mi piace raccontarlo.

Benedetta Dusmet
Sono laureata in Scienze della Comunicazione e attualmente sto frequentando un corso magistrale in Web Marketing & Digital Communication presso IUSVE, Verona. Sono una persona estremamente curiosa, amo viaggiare e mettermi costantemente alla prova in diversi contesti. Accontentarsi non è un termine che mi appartiene, mi reputo una persona molto autocritica e credo che nella vita non si smetta mai d’imparare.  

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