E’ complesso dare una definizione di Sharing Economy, letteralmente significa economia della condivisione, ma già il termine sharing assume connotazioni molto differenti a seconda dei contesti. 

La Sharing Economy nasce negli Stati Uniti nel 2008 in risposta alla crisi innescata dal capitalismo e grazie alla diffusione del web 2.0, che ha reso gli utenti prosumer, quindi utenti attivi, partecipativi, collaborativi, intenti ad aggiungere valore ai beni e servizi. 

L’ economia della condivisione o collaborativa è stata resa possibile dalle piattaforme digitali che fungono da intermediari tra gli utenti. Esse hanno degli impatti sociali ed economici, quali l’aumento del ciclo di vita del prodotto e quindi la minore necessità di unità dello stesso e la creazione di legami.

Ma le piattaforme non sempre sono nate solo a scopi collaborativi di dono, molte sono nate oppure si sono evolute diventando a scopo di lucro. La natura della piattaforma incide sugli stili di condivisione delle persone e hanno delle implicazioni sociali. 

In passato abbiamo già affrontato questo tema, ma in particolare in questo articolo partiremo dal definire la parola sharing, che compone il termine Sharing Economy, identificando anche i tipi di stili di condivisione delle persone. Successivamente, essendo gli stili di condivisione associati al concetto di dono e allo scambio di mercato, andremo a definire cos’è Sharing Economy e cosa non lo è. Infine prenderemo in esame due piattaforme identificando lo stile di condivisione e di conseguenza se si tratta di Sharing Economy o Pseudo Sharing Economy.

 

Condivisione e stili di condivisione

Se prima le persone erano solo consumatori di contenuti, con il web 2.0 le stesse acquistano un ruolo attivo nella produzione di contenuti, potendo quindi aggiungere ulteriore valore al servizio o prodotto e socializzare con gli altri utenti. Si instaura una nuova era, in cui relazione, partecipazione e condivisione diventano le parole chiave. 

Sharing è un termine usato spesso e con significati diversi a seconda delle situazioni sociali. Traducendolo significa condivisione. Essa può assumere connotazioni positive e negative a seconda dell’intento con cui vengono attuate: da un lato, quello positivo, genera interdipendenza, fiducia, senso di comunità, altruismo, generosità e cura; dall’altro può essere usata per trovare il proprio benessere individuale, in modo egoistico.

Pensiamo al contesto familiare: in questo caso troviamo due tipi di condivisione, il dono e lo scambio di mercato o baratto. Infatti, nel primo caso, un bambino può accedere liberamente al cibo in frigorifero, senza chiedere il permesso ai genitori, e questo è dono, perché una volta uscito di casa, da adulto, non gli sarà richiesto il pagamento dei beni goduti. Nel secondo caso invece, appare il concetto di proprietà del bene; se pensiamo al rapporto tra sorelle, capita che una vorrebbe usare il vestito dell’altra, in questo caso però, per l’uso del bene di proprietà, dovrà chiedere il permesso alla prima, la quale può accettare o meno, o può anche richiedere un beneficio in cambio, attraverso il baratto, quindi vestito per scarpe. I confini tra le varie forme sono comunque molto labili.

Sharing in e Sharing out: dono e scambio di mercato

Come anticipato ci sono stili di vita e consumi differenti in relazione alla condivisione, i cui estremi vengono identificati e nominati da Belk come Sharing in e Sharing out e che riconduce rispettivamente a due modalità di scambi economici: il dono puro e lo scambio di mercato.

Il concetto di dono si basa sulla libertà della persona di dare qualcosa a qualcuno senza specificare i modi e i tempi di restituzione. È un concetto antico e diverso e opposto rispetto all’accumulazione della ricchezza, tipica occidentale. Studi antropologici su tribù di Nativi americani hanno analizzato il Potlatch, un banchetto-festa, in cui il capo-tribù andava a donare tutto quello che aveva. Con lo scambio dei doni si costruivano alleanze, senso di comunità e inclusione e queste potevano essere rinforzate con rituali, come nel caso appunto del Potlatch. 

Diversi autori sostengono anche come nel dono ci sia un “contagio”,ovvero che parte del precedente proprietario sia presente nelle peculiarità del bene e che al contempo questo arricchisca l’oggetto di valore; ad esempio l’atto di condivisione del cibo in un gruppo. Questo rientra nello Sharing in. 

Nello Sharing in, come conseguenza del dono e del “contagio”, che talvolta avviene con rituali, i membri si sentono parte di una comunità e le relazioni e il benessere del gruppo prevalgono, creando quindi maggiore interdipendenza tra di loro.

In contrapposizione, lo scambio di mercato è una visione egoistica, utilitaristica. Le persone sono spinte all’accumulo della ricchezza riducendo sforzi e risorse, in un’ottica di efficienza. Il mercato è dettato da logiche di domanda e offerta e la proprietà è diventata un concetto importante, anche se tutt’ora non più altrettanto rilevante, in quanto l’uso prevale sul possesso del bene. Lo Sharing out assume le caratteristiche dello scambio di mercato, perché le persone mettono prima sé stesse rispetto alla comunità, cercando di raggiungere il miglior risultato in un’ottica di uso del bene/servizio. Invece il concetto di oggetto “contagiato” non è accettato, se non tollerato al fine di ottenere un beneficio finale. Il materialismo domina sulle relazioni.

 

Sharing Economy e Pseudo Sharing Economy

La Sharing Economy nasce nel 2008 negli Stati Uniti e si diffonde in Europa nel 2013, come risposta alla crisi e alla grande crescita dei disoccupati.

Diamo una definizione del fenomeno: si tratta di un modello di business diverso dal tradizionale, tipico della società del consumo. Permette di accedere al bene e servizio quando necessario. Bene o servizio messo in condivisione tra gli utenti, posti sullo stesso livello, che attraverso ciò instaurano dei legami. Il tutto reso possibile da piattaforme che fungono da intermediari e creano network tra gli utenti. L’implicazione sociale principale è la riduzione dell’accumulo di ricchezze e produzione, perché non è più necessario avere la proprietà dei beni e pertanto si può diminuire la produzione aumentando anche il ciclo di vita dei prodotti e quindi il riuso. 

Le piattaforme di Sharing Economy diventano delle vere e proprie network society, perché: usano l’informazione come materia prima reperibile tramite l’innovazione tecnologica (piattaforma specifica), la produzione è flessibile e l’organizzazione è reticolare generando dei mercati di scambio e legami sociali, eliminando differenze di spazio e tempo. Esse si fondano sull’economia della condivisione o economia del dono, ma spesso si traducono in piattaforme lean a scopo redditizio, con conseguente: iper-delocalizzazione (dei lavoratori, capitale, costi di manutenzione, formazione) pur mantenendo il controllo sulla piattaforma; trasformazione degli “impiegati” in collaboratori autonomi (riducendo i costi di gestione); e resa dei servizi non commerciabili in commerciabili. Queste piattaforme fanno fatica a diventare redditizie e per lo più si basano su una riduzione di spese, che risultano poi essere a carico dei lavoratori (manutenzione, assicurazione, ecc).

Belk nel 2014 mette in comparazione due sistemi di car sharing “Majorna” e “Zipcar”, rispettivamente svedese e americano, e studia i comportamenti degli utenti in relazione alla struttura e ai legami. Il primo modello è caratterizzato da un gruppo più ristretto di macchine e la conoscenza interna tra i membri. Ne consegue che i legami sono più forti e le persone tendono a rispettare le regole, alternandosi anche nelle attività ordinarie di gestione delle macchine. Viceversa, in Zipcar, i partecipanti sono molti di più come pure le attrezzature, i legami non sono diretti ed essendo più deboli le persone tendono maggiormente all’egoismo e al proprio profitto, sentendosi liberi di rispettare meno le regole e le attrezzature. Identifica la prima forma come Sharing Economy e la seconda come Pseudo Sharing Economy, trovando una corrispondenza con il tipo di condivisione, rispettivamente, Sharing in e Sharing out.

Pertanto con il termine Sharing Economy si intende comprendere le caratteristiche dello stile di condivisione tipiche dello Sharing in, quindi secondo l’autore:

  • condivisione con inclusione dei beni/servizi che diventano della collettività;
  • costruzione di una comunità con relazioni forti;
  • predominio del benessere della collettività sul singolo;
  • accettazione del bene “contagiato” come fonte di arricchimento e rafforzamento del legame;
  • maggiore interdipendenza tra i membri;
  • economia del dono: condivisione senza termini di restituzione ma con benefici relazionali.

Mentre la Pseudo Sharing Economy, riconducibile alla condivisione di tipo Sharing out all’opposto, genera:

  • condivisione con esclusione dei beni/servizi;
  • assenza di una comunità e presenza di relazioni deboli,
  • benessere individuale, che domina quello della collettività;
  • rifiuto o tolleranza dei beni “contagiati”;
  • prevalenza del materialismo;
  • economia dello scambio di mercato: scambio in cui viene posto in primo piano il proprio interesse e le logiche di mercato.

Possiamo andare a inserire i due concetti, Sharing Economy e Pseudo Sharing Economy, come due estremi di un continuum. Tra i due possono risiedere delle forme di economia della condivisione contaminate con alcuni aspetti dell’una e dell’altra e di conseguenza stili di collaborazione diversi legati all’intenzione individuale.

 

Bookcrossing.com vs Ebay

Analizziamo ora due tipi di piattaforme che vengono etichettate con il termine Sharing Economy: Bookcrossing.com e Ebay.

Il 17 aprile 2001 nasce il sito Bookcrossing.com ideato da Ron Hornbaker e i co-fondatori Bruce e Pedersen, i quali si resero conto dell’enorme ricchezza in termini di emozioni e opinioni che i libri possono dare ai lettori.

Sharing-economy-pseudo-sharing-economyIl sito nasce con l’intento di celebrare la lettura, permettendo una seconda vita ai libri e connettendo i lettori. Si presenta come una biblioteca globale, un’enorme archivio. Gli utenti creano il proprio account e possono mettere in circolazione un libro apponendo il BCID (BookCrossing Identity Number), un codice a barre univoco. Una volta registrato, il libro può essere “liberato” e seguito nel suo percorso per il mondo. Con “liberato” intendono: “l’atto di donare un’identità univoca ad un libro, poiché il libro viene passato da lettore a lettore e può essere controllato, quindi può connettere i lettori.” Di fatto viene lasciato ben protetto e insacchettato in posti comuni, come panchine o stazioni, o in posti appositi, e tramite la piattaforma è possibile rintracciarlo aprendo dialogo e relazione. Oltretutto all’interno del libro possono esserci appunti, sottolineature, che lo “contagiano” e lo rendono unico aumentandone il valore.

Questa piattaforma può essere definita come Sharing Economy, perché:

  • c’è una forte inclusione: i beni diventano dell’intero gruppo;
  • si forma una community con relazioni forti, non necessariamente vis a vis, ma attraverso la condivisione di una parte di sé, impressa nel libro, da chi lo ha donato a chi lo riceve;
  • è possibile un “contagio” del bene, anzi è visto in maniera estremamente positiva, arricchente e di confronto, esplorando opinioni e sentimenti del donatore tramite le sue note che possono a sua volta portare il lettore a riflessioni; 
  • la liberazione implica un attaccamento minore al bene materiale e maggiore verso la comunità: l’idea è di donare, rinunciare, la propria copia del libro preferito regalandolo ad altri, senza aspettarsi qualcosa in cambio ma contando su un gruppo che condivide gli stessi valori. Di conseguenza parliamo di economia del dono.

Ebay nasce, come dotcom e nel pieno boom delle stesse, a San Jose (California) il 3 settembre 1995 dal programmatore Pierre Omidyar come parte di un suo sito personale. È un sito di vendita e asta online, simile a un sito di e-commerce, offre la possibilità agli utenti di vendere e comprare oggetti nuovi o usati, con prezzo fisso o dinamico, in qualsiasi parte del mondo. Successivamente ha poi aperto la sua attività anche a venditori professionali.

Il primo oggetto venduto è stato un puntatore laser rotto, stupito della vendita Omidyar contatto l’acquirente che confermò l’acquisto, in quanto collezionava puntatori laser rotti.

Solitamente Ebay è considerato un motore della sharing economy, per il semplice fatto che permette la condivisione e il riuso di oggetti. Ma non si tratta di una piattaforma di Sharing Economy, quanto piuttosto di Pseudo Sharing Economy, perché:

  • non c’è inclusione: la proprietà si sposta dal venditore all’acquirente, perciò i beni non vengono messi in condivisione ma venduti;
  • non c’è una community. Le relazioni sono fine a sé stesse con lo scopo ultimo di trovare ciò che si cerca;
  • Il “contagio” è tollerato: le persone sono disposte ad acquistare un bene usato purchè in buone condizioni e ottenendolo pagando di meno rispetto allo stesso ma nuovo;
  • c’è uno scambio di mercato, perché ci sono le logiche di mercato con domanda e offerta. Le persone cercano di ottenere il miglior risultato per se stesse; l’acquirente, trovare un prodotto desiderato al più basso prezzo possibile, mentre il venditore, cedere il prodotto al più alto prezzo possibile ottenendo un profitto. Quindi ambedue cercano un profitto.

Anche i modelli di business delle due piattaforme sono diverse: se nel caso di Bookcrossing.com assistiamo a un lavoro prettamente svolto da parte degli utenti che sono i promotori stessi della piattaforma, in Ebay invece c’è una vera e propria attività aziendale a scopo di lucro, con profitti generati dalle commissioni sulle vendite, dagli annunci e ulteriori servizi offerti. L’unica entrata di Bookcrossing.com deriva dal merchandising venduto online.

In conclusione possiamo dire che gli stili di condivisione sono molteplici e che le varie piattaforme dell’economia della condivisione si muovono all’interno di un continuum dove gli estremi sono rappresentati dalla Sharing Economy o economia del dono e Pseudo Sharing Economy o scambio di mercato, in cui molto incide la struttura della piattaforma e l’intenzione individuale.

 

Conclusione

Il presente articolo vuole andare a definire meglio cosa si può comprendere come Sharing Economy e cosa invece viene definita come tale ma non lo è, pur muovendoci all’interno di un continuum i cui estremi sono la Sharing Economy, corrispondente allo stile di condivisione Sharing in e quindi all’economia del dono, e la Pseudo Sharing Economy, che invece è legata allo stile di condivisione dello Sharing out e all’economia dello scambio di mercato.

Abbiamo visto come lo Sharing in sia uno stile di condivisione volto a instaurare forti relazioni di comunità, alla condivisione dei beni che diventano di tutti, all’accettazione del “contagio” come qualcosa di positivo e arricchente, alla forte interdipendenza e unità del gruppo e al dono senza definire termini di restituzione. Viceversa lo Sharing out promuove l’individualità, il materialismo, il benessere individuale e gli scambi di mercato.

Infine analizzando due piattaforme, Bookcrossing.com e Ebay, attribuite al fenomeno della Sharing Economy, abbiamo constatato come ci fosse una forte interdipendenza tra Sharing Economy e Sharing in e Pseudo Sharing Economy e Sharing out, constatando le caratteristiche di ambedue le piattaforme e collocandole rispettivamente nell’una e nell’altra categoria.

Sitografia

Belk R. (2010) Sharing. Journal of Consumer Research,37: 715-734

Belk R. (2014) Sharing Vesrus Pseudo-Sharing in Web 2.0. Anthropologist 18(1), 7-23

http://bookcrossing.com/search

https://fourweekmba.com/it/ebay-business-model/#How_does_eBay_really_make_money

https://www.doppiozero.com/materiali/lo-scambio-e-il-dono

https://www.lifestyleblog.it/blog/2017/03/ebay-racconta-la-nuova-della-sharing-economy/

MICONI, A., Teorie e pratiche del web, Il Mulino, Bologna, 2018 

SRNICEK N., Capitalismo digitale. Google, Facebook, Amazon e la nuova economia del web, Luiss University Press, Roma, 2017


Autore

autrice-silvia

Ciao! Sono Silvia Brino e sono una studentessa al secondo anno magistrale di Web Marketing e Digital Communication.

Finita la triennale in Relazioni Pubbliche ho deciso di conseguire un master in Digital Marketing e Social Media Communication e successivamente di iscrivermi alla magistrale.

Altre passioni che ho sono: stare con gli amici, specie se in spiaggia con l’aperitivo in mano, e stare a giocare con i miei cani Toby e Zampa.