Siamo destinati a convivere in un equilibrio instabile dettato dalla spinta incontrollata del digitale? Qual è il rapporto tra supporto tecnologico innovativo e la contemporanea diffusione di problemi psicosomatici legati al mondo onlife nell’ambito della salute mentale?

La salute mentale è diventata nel corso degli anni una priorità per l’uomo, in particolare a seguito della pandemia Covid 19 che ha messo a dura prova il proprio benessere psicologico. Se pensiamo a cosa ci può aver lasciato di positivo l’emergenza globale, senza dubbio emerge lo sguardo più attento rivolto alla sanità e alla sua gestione. Abbiamo iniziato, infatti, a sentir parlare di servizi digitalizzati di supporto, terapie digitali e applicazioni per la diagnostica, la cura e la prevenzione di malattie. 

Eppure l’impatto del digitale si intravede soprattutto nei disturbi mentali ad esso connessi, per citarne alcuni l’Internet Addiction Disorder, la FOMO, la nomofobia, phubbing e vamping, la sindrome del pensiero accelerato.

Diventa lampante come gli strumenti digitali si siano rivelati la soluzione ma ancor prima il problema stesso alla base della salute mentale. Da qui nasce una riflessione, che parte dall’analisi dei disturbi psicologici legati al mondo virtuale in cui ci interfacciamo ogni giorno e che trova una conclusione ottimistica nella possibilità di affrontarli con lo stesso strumento che li ha generati: il digitale. 

 

La salute mentale

“Without mental health there can be no true physical health”, così recita l’espressione pronunciata dal primo Direttore Generale della World Health Organization (WHO), il Dottor Brock Chisholm. Niente di più vero, se pensiamo che la salute mentale rende possibile la capacità umana di creare un pensiero, di provare emozioni, di intendere e di volere. Come parte integrante del nostro benessere, è importante che non venga trascurata perché essa determina le nostre relazioni con gli altri e le decisioni della nostra vita quotidiana.

La sua definizione viene spesso considerata poco incisiva e incompleta. Perché? L’OMS sostiene che la salute mentale sia una condizione necessaria perché una persona possa realizzarsi, svolgere il proprio lavoro e contribuire alla propria comunità. Questo, secondo alcuni studiosi, andrebbe a scatenare delle aspettative irrealistiche nelle persone e la tendenza a fingere di essere sempre in uno stato emozionale stabile. 

Nella società odierna si comincia – a piccoli passi – a dare valore e priorità al benessere mentale e non solo a quello fisico che, come abbiamo sottolineato, è correlato al primo da una relazione di causa effetto. Fino a poco tempo fa, l’importanza della salute mentale veniva sottovalutata, impedendo di diagnosticare disturbi e cercare delle cure più adatte, esattamente come si farebbe per l’influenza.

 

Quali fattori influenzano la salute mentale?

Le influenze possono provenire da molteplici vie. Abbiamo innanzitutto le caratteristiche e la personalità di una persona, i suoi attributi, i suoi comportamenti e i suoi vissuti personali. Che vanno ad aggiungersi a questi elementi abbiamo anche i fattori che derivano dalla società, dalla cultura, cause economiche, ambientali e ancora politiche. Uno stato di salute mentale precario e instabile può essere il frutto di disuguaglianze sociali, di situazioni di stress e di standard di vita non idonei. 

A noi, tuttavia, interessa in particolar modo un elemento che, da quando è presente così incisivo nella nostra quotidianità, ha cambiato in maniera irreversibile il nostro vivere. Stiamo parlando del digitale. Proprio così, l’Internet of Things con i suoi device intelligenti e all’avanguardia, sempre più performanti e uniti alla nostra persona, ha contribuito a renderci interconnessi gli uni agli altri togliendo però spazio alla realtà e lasciando libera circolazione a una realtà compromessa. Molti disturbi psicologici recentemente scoperti trovano fondamento proprio nella digitalizzazione delle nostre vite.

 

L’innovazione tecnologica digitale è il problema

Quando definiamo il digitale un’arma a doppio taglio, partiamo dal presupposto che qualsiasi strumento, se usato in modo improprio e sconsiderato, può rivelarsi dannoso. Questo vale anche per l’innumerevole quantità di dispositivi tecnologici che ogni giorno sono nelle nostre mani, sulle nostre scrivanie, a totale disposizione delle persone.

 

Rapporto tra digitale e salute mentale: i disturbi

Ad avvalorare la tesi secondo cui il nostro assetto psicologico è cambiato in funzione della presenza del digitale nella quotidianità, c’è il preoccupante aumento dei cosiddetti disturbi da iperconnessione

Che “siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati ma esistenzialmente sempre più soli”, come affermato dallo psichiatra Tonino Cantelmi, è evidente e lampante agli occhi di tutti. Si è sviluppata una cultura narcisistica che nasce dal desiderio e dalla necessità di esibire online un’identità seducente ma di base fittizia. Si ricerca l’autostima che risiede nell’approvazione altrui, nel riscontro positivo a ciò che condivido con l’altro, nell’immagine e nell’idea che ognuno vuole dare di sé dietro uno schermo. 

Il lato più oscuro della tecnologia digitale è da ricercare proprio negli effetti che questa ha nella mente delle persone, tanto da scatenare dei processi vorticosi che portano a sviluppare stati d’ansia, di stress e depressione, di paura e di solitudine.

 

Internet Addiction Disorder

L’internet Addiction Disorder è una dipendenza da Internet, riconosciuta da anni come disturbo mentale. Il problema si presenta quando le attività svolte online vanno a interferire in modo opprimente con la vita quotidiana. Esistono varie categorie riconducibili a questo tipo di dipendenza, che spaziano dal gaming, social networking, blogging, fino all’online shopping. Le cause derivano dall’uso che viene fatto dello strumento, più che dal tempo di utilizzo, ed è stato documentato come – a livello cerebrale – il meccanismo rassomigli quello della dipendenza da droghe o alcool. 

Ma quali sono i sintomi? Parliamo di effetti sia psichici, che includono depressione, senso di colpa, ansia, isolamento, cambi d’umore, noia, sia fisici, dunque dolori alla testa, insonnia, malnutrizione, dolori alla schiena e al collo, scarsa igiene. 

L’IAD è pericoloso perché influenza le relazioni interpersonali, il lavoro e lo studio, ma anche il rapporto con sé stessi e il proprio corpo.

 

F.O.M.O

L’acronimo F.O.M.O sta per Fear of missing out , in italiano reso come la “paura di essere tagliati fuori” e indica una forma di ansia sociale che nasce dalla paura, appunto, di rimanere all’oscuro di avvenimenti o situazioni che includano l’interazione sociale. La sensazione che fa da detonatore è quella di sentirsi altrove rispetto a dove vorremmo effettivamente essere, la quale porta a provare un sentimento di insoddisfazione e di depressione che costringe chi ne soffre a rimanere in perenne contatto con il cyberspazio. Da uno studio condotto nel 2016 su 400 studenti, pubblicato dalla rivista Computer in Human Behaviour, è emerso che gli adolescenti con bassa autostima e insicurezze sono i soggetti più inclini a sviluppare questo disturbo. Essendo sempre connessi e alle prese con nuovi social network, i giovani possono confondere la vita reale con quella virtuale e percepire l’esclusione dalla propria comunità. L’uso dei social media e degli smartphone trova una diretta correlazione con la F.O.M.O.

 

Nomofobia

Vi siete mai sentiti persi quando Whatsapp andava in blocco a livello internazionale? Vi siete mai trovati a non sapere come e cosa fare senza connessione a internet sul vostro smartphone? Queste sensazioni, elevate all’ennesima potenza, danno forma alla nomofobia, una patologia ancora poco analizzata, ma che esiste e si manifesta come dipendenza comportamentale. Il termine nomofobia deriva dalla contrazione di “nomobilephobia” e, come si evince dall’espressione inglese, riguarda la paura di rimanere senza smartphone e connessioni. Negli anni si è discusso sul fatto che sia una fobia o debba essere riconosciuta come vera e propria dipendenza, come dimostrato dalle parole del professore di psichiatria David Greenfield, Università del Connecticut:

Ad avvalorare l’ipotesi secondo cui sia più opportuno considerare la nomofobia come dipendenza piuttosto che una fobia, è l’opinione del professore di psichiatria David Greenfield dell’Università del Connecticut. Secondo Greenfield l’attaccamento allo smartphone causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa. Così ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare sale il livello di dopamina, perché pensiamo che ci sia in serbo per noi qualche cosa di nuovo e interessante. Il problema però è che non possiamo sapere in anticipo se accadrà davvero qualche cosa di bello e piacevole, così si ha l’impulso di controllare in continuazione innescando lo stesso meccanismo che si attiva in un giocatore di azzardo.

 

Phubbing e Vamping

Phubbing e Vamping sono due fenomeni legati all’incapacità di staccare gli occhi dallo smartphone. Nel primo caso il termine indica l’atteggiamento assunto da una persona che ignora un’altra con cui è in compagnia, per guardare lo smartphone; il secondo invece designa la tendenza a rimanere connessi tutta la notte, sviluppando stanchezza, irritabilità e nervosismo. 

In entrambi i casi, oltre a nutrire un’ossessione per lo smartphone e i social network, phubbing e vamping conducono a conflitti interpersonali e al deterioramento del benessere sia personale che relazionale.

 

Sindrome del pensiero accelerato

La sindrome del pensiero accelerato è una condizione che va a colpire soprattutto i giovani e che deriva dall’eccesso di informazioni a cui siamo costantemente sottoposti e dall’intossicazione digitale. Questa situazione conduce a una perdita di concentrazione e difficoltà a ricordare qualcosa che viene letto o ascoltato. Inoltre, sono stati riscontrati effetti sulla sfera emozionale, tra cui stress, irritabilità, stanchezza, noia e dolori fisici.

 

Rapporto tra digitale e salute mentale: la pandemia

Partiamo dal presupposto che da quando i social network sono entrati nelle nostre vite, regna un’insoddisfazione generale nei confronti della propria immagine, che cerchiamo di sopperire fornendo una fotografia di noi stessi e delle nostre vite solo apparenti. 

Alcuni disturbi clinici rilevati durante il corso dell’emergenza sanitaria Covid-19, riguardano proprio le preoccupazioni eccessive per difetti e imperfezioni dell’aspetto fisico, comportamenti relazionati a tali preoccupazioni e compromissione del funzionamento quotidiano. Sono questi i sintomi della dismorfofobia. Il disturbo di dismorfismo corporeo ha registrato una diffusione e un’incidenza molto elevate negli ultimi anni, in modo specifico nel corso dei numerosi lockdown imposti a livello internazionale. La pandemia, infatti, ha inciso sull’incremento dell’uso dei social media, quindi a una maggiore esposizione alle immagini degli altri, e di conseguenza, una crescente insoddisfazione. 

L’isolamento e le molte restrizioni forzate durante i due anni passati hanno determinato l’aumento considerevole di alcuni disturbi come il disturbo d’ansia generalizzato, la depressione, l’ansia per la salute e il disturbo, appunto, di dismorfismo corporeo.

 

L’innovazione tecnologica digitale è la soluzione

Diventa molto complicato combattere delle condizioni mentali che derivano in modo disintermediato dal digitale, con l’uso dello stesso strumento che li causa. Ci troviamo di fronte a dei disturbi che implicano un utilizzo smodato e incontrollato di smartphone, tablet, pc, internet in generale, che risultano molto difficili da curare quando tutto quello che ci circonda è Internet-based: dall’interazione con amici, al lavoro, alla vita di tutti i giorni. 

Eppure, l’innovazione tecnologica non conosce freni e continua a sfoderare le armi migliori in termini di funzionalità e opportunità che un tempo erano considerate irrealizzabili. 

L’adozione delle tecnologie nella vita quotidiana ha impattato sì a livello della salute mentale soprattutto nei giovani, ma allo stesso tempo ha permesso di sviluppare dispositivi e piattaforme digitali che forniscono supporto alla medesima salute delle persone, sia mediata da professionisti che in modalità self-help.

Negli Stati Uniti c’è un interesse consistente nei confronti della digital mental health, diversamente da quanto accade in Europa dove anche gli investimenti in materia sono molto meno numerosi.

Oltreoceano nascono startup orientate alla progettazione di farmaci digitali da affiancare alle terapie farmacologiche tradizionali, in un connubio di big tech e big pharma che consentono di esplorare questi nuovi ambiti di ricerca. Ci sono aziende che si dedicano allo sviluppo di piattaforme per telepsicologia e telepsichiatria, affinché venga garantito un servizio di assistenza psicologica a distanza che porti a risultati il più simili possibile a quelli di una seduta vis-à-vis. 

In Europa, invece, nell’ambito della talking therapy, ci sono aziende che studiano l’integrazione della realtà virtuale alla pratica tradizionale di psicologi e psicoterapeuti. 

Insomma, valutazioni psichiatriche online, app di autoaiuto tra meditazioni e discorsi motivazionali e costruzione di quadri clinici completi da remoto sono solo alcuni esempi delle infinite opportunità derivanti dal progresso tecnologico-digitale che può migliorare il benessere psicologico degli individui. 

 

Cos’è l’e-mental health?

E se l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione potessero avere degli effetti positivo sulla salute mentale delle persone? 

I servizi di e-mental health non sono altro che terapie somministrate da remoto tramite internet o smartphone. Cosa comprendono? Spaziano dal supporto per un corretto stile di vita, a gruppi chat, fino alla somministrazione di terapie da parte di professionisti e medici specializzati nel settore, ovviamente via web.

Ad avvalorare il contributo positivo riscontrato dall’utilizzo delle ICT nella prevenzione e nella cura di disturbi mentali è lo stimolo al maggiore controllo delle proprie scelte terapeutiche che riesce a scaturire nell’utente. I “pazienti” si informano di più e si confrontano con altre persone con disturbi simili, in uno scambio reciproco che aiuta a uscire dalla propria bolla e a condividere il proprio vissuto emozionale e psicofisico. 

Ci sono due categorie di applicazione pratica dell’e-mental health:

  1. Applicazioni e programmi che fungono da supporto per monitorare l’umore e le terapie dei pazienti, solitamente affiancati da un consulto medico. Esistono dei siti che permettono l’acquisto di terapie online per i pazienti, trasmesse sotto forma di testo, audio o video. 
  2. Applicazioni e programmi in cui il paziente prende il controllo in modalità di auto-terapia, dove il professionista assume un ruolo di collaborazione e affiancamento. Questa categoria include quei programmi in cui vengono fornite informazioni sulla cura della propria salute mentale, piattaforme di aiuto reciproco e sistemi di monitoraggio dei propri piani sanitari.

 

L’intelligenza artificiale corre in aiuto alla salute mentale

Il mercato globale delle tecnologie applicate alla salute mentale – infatti – ha più che decuplicato il proprio valore in meno di 3 anni, passando dai 111 milioni di dollari del Q3 2018 agli 1,3 miliardi di dollari del Q2 2021 (dati CB Insights).

 

grafico

 

Cosa intendiamo per intelligenza artificiale a supporto della salute mentale? Le tecnologie di Machine Learning e Deep Learning permettono di determinare con maggiore precisione diagnosi e previsioni dei disturbi nei pazienti. 

Altri strumenti di AI principalmente si basano sulla raccolta e sull’analisi dei dati del paziente, che, attraverso algoritmi specifici, segnalano stati mentali e fisici. 

Nel dettaglio:

  • Chatbot, app e avatar digitali aiutano i pazienti a valutare in modo autonomo la propria condizione di salute, a sopperire stress e ansia o semplicemente intervengono rendendo più facile  l’accesso alle cure. 
  • Dispositivi indossabili per la misurazione della frequenza cardiaca e respiratoria, la pressione del sangue, l’ossigenazione e altri parametri vitali

Non si tratta di sostituire né i mezzi tradizionali e né gli esperti del settore, ma di venire incontro in modo intelligente al loro lavoro quotidiano fornendo servizi di supporto.

 

Rapporto tra digitale e salute mentale: la pandemia

Se da un lato la pandemia, al suo terzo anno di presenza nelle nostre vite, ha inciso sul senso di solitudine, di isolamento, di ansia e depressione legati all’impossibilità di avere relazioni interpersonali, dall’altro con il contributo dei social network ha agevolato il superamento stesso di questi sentimenti.

Secondo uno studio condotto dalla Federazione Italiana Società di Psicologia (FISP), che mira a fare una valutazione sull’impatto psicologico dei social network durante il periodo di lockdown pandemico, essi si sono rivelati uno strumento essenziali per sopperire al disagio del Covid-19

Di seguito alcune considerazioni estrapolate dalla ricerca:

  • il tempo trascorso sui social è aumentato 
  • i social non hanno interferito negativamente nel quotidiano
  • gli anziani hanno affermato di aver ritenuto utile l’uso dei social per sentirsi meno soli 
  • alcuni soggetti hanno riscontrato l’effetto positivo dei social per contrastare solitudine, ansia, depressione

È dunque possibile che la presenza del digitale nelle nostre vite sia un vantaggio e un supporto in situazioni di emergenza come quella legata al Covid-19,  ma al contempo il frutto di alcuni dei disturbi mentali più diffusi a livello globale?

La risposta è sì. E la soluzione a questo paradosso sta proprio nel digitale stesso.

 

Riflessioni finali

L’innovazione tecnologica e la portata globale dei social network diventano uno strumento di assistenza nelle aree sanitarie e terapeutiche, come nel caso dei disturbi mentali, contribuendo alla prevenzione e alla gestione di tali problematiche che incidono sempre più nelle nostre vite, soprattutto in quelle dei giovani. La salute mentale è una sfida da affrontare nella società in cui viviamo, anche in ottica post-pandemia, per questo l’intelligenza artificiale e il digitale nonostante siano tra le cause maggiori di molti disordini psicologici, sono anche gli alleati perfetti per garantire assistenza e accessibilità alle diagnosi e alle cure.

 

Sitografia

 

Biografia

Ciao sono Luana De Bernardo, ho 25 anni e sono laureata in Lingue per il Commercio Internazionale. Sto attualmente frequentando il secondo anno di magistrale all’Università Iusve di Verona con indirizzo Web Marketing and Digital Communication.

Sono una persona dinamica e creativa, affascinata dal mondo della comunicazione e dalle spinte innovative che lo guidano.