Quanto spesso ci capita di iniziare una ricerca nel web, trovare subito e solo ciò che ci serve, uscire e riprendere le nostre attività? Raramente. O meglio, ci capita forse quando abbiamo fretta o urgenza di ottenere l’informazione in modo preciso e immediato. Quello che spesso accade è di alzare lo sguardo dallo schermo del nostro nostro dispositivo e renderci conto che è passato più tempo di quello che avevamo intenzione di investire per quella nostra ricerca. A volte molto di più.
Sommario
L’intrusività della mediasfera
Nella maggior parte delle situazioni che viviamo oggi siamo circondati dai media. Possono essere di varia natura, personali o meno, ma ciò che li accomuna è il fatto che sono ovunque: li portiamo sempre con noi, li ritroviamo sul luogo di lavoro, nei negozi, sui mezzi di trasporto, in spazi pubblici e privati. Siamo cioè immersi nella mediasfera, di cui parla Raffaele Simone: un ambiente in cui media elettronici in rete giocano un ruolo fondamentale. Non vi sono precedenti nella storia di un’epoca che abbia avuto una madiasfera così presente e penetrante, inestirpabile e indivisibile dalle nostre vite.
All’ubiquità si unisce inoltre la convergenza di più media nello stesso supporto: lo smartphone ne è l’esempio più lampante.
Questi fenomeni hanno portato, sempre secondo Simone, ad alcune importanti modificazioni nelle nostre vite. Innanzitutto un processo di esattamento, un termine che proviene dalla biologia evolutiva e che indica che in alcune specie animali la formazione di un organo ha prodotto evolutivamente nuove funzioni, al contrario dell’adattamento, dove è la funzione a creare l’organo. In questo senso la possibilità di avere a disposizione mezzi tecnici in grado di soddisfare bisogni prima inesistenti non soltanto porterebbe alla luce tali bisogni, ma li renderebbe perfino urgenti. Ad esempio: il bisogno di condividere frammenti della nostra quotidianità in tempo reale tramite video o foto giace da sempre in noi in attesa di esprimersi o è stato piuttosto portato alla luce dalla fotografia digitale e dalla connessione internet diffusa?
È evidente che, oltre alle modificazioni che hanno sconvolto il nostro ambiente quotidiano, queste trasformazioni hanno coinvolto e intaccato anche la noosfera, termine di Teilhard de Chardin, con cui si indica l’insieme dei pensieri, valutazioni, opinioni, concezioni sui temi più diversi, che risiedono nella testa dell’essere umano.
In particolare, sarebbero state intaccate alcune categorie cruciali della nostra esperienza interiore e, tra queste, la nostra percezione del tempo. L’intrusività della mediasfera sconvolge la nostra esperienza di un tempo continuo e indisturbato, frammentandolo in una sequenza di brandelli sconnessi. Quando riceviamo costantemente notizie estrapolate da ogni contesto potremmo iniziare a vedere il mondo come un insieme sconnesso di informazioni e le nostre vite come un insieme di eventi non connessi l’uno con l’altro.
Ma qual è l’origine di questi fenomeni?
Sviluppo tecnologico e percezione del tempo
Da sempre il tempo è strettamente legato allo sviluppo della tecnica e la concezione che abbiamo di esso è stata profondamente modificata dall’avanzare del processo tecnologico e in particolare dall’avvento del digitale.
Come osserva Codeluppi, le categorie di spazio e tempo sono state svuotate e sono state rese astratte per facilitare il funzionamento della società e per rispondere a esigenze di organizzazione e uniformità. In precedenza il tempo e lo spazio erano misurati a partire dall’esperienza individuale e personale del rapporto con la natura, secondo i cicli naturali luce/buio e quelli stagionali. Con l’avvento dell’industria si è passati invece ad un tempo astratto e standardizzato. Gli effetti di questo riguardano in maniera preponderante l’ambito del lavoro: in questo sistema la quantificazione del valore si è basata sulle ore lavorate.
Da un lato, però, l’avvento di Internet ha prodotto un cambiamento all’apparenza positivo in tal senso e sembra aver riportato la misurazione del valore sulla qualità e sul risultato orientato ad un prodotto o un obiettivo, piuttosto che sul rigido rispetto di un orario prestabilito. Sempre più spesso si parla di Smart Working, definito dall’Osservatorio del Politecnico di Milano come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività».
Un recente studio del Sole 24 Ore rivela che il benefit più desiderato dai lavoratori nel 2019 è proprio quello della flessibilità, considerata necessità primaria da coloro che cercano lavoro nella fascia d’età 16-24 anni, seguiti dalla fascia 25-34; è considerato inoltre un fattore chiave, anche se non prioritario, per il 37% degli over 55.
Il primo e fondamentale fattore perché ciò sia attuabile è l’adozione delle moderne tecnologie: sistemi che permettano di condividere documenti e cartelle di lavoro da remoto, tools di messaggistica istantanea, applicazioni di videoconferenza.
Accelerazione e colonizzazione del tempo reale
Tuttavia una presenza massiva dell’uso della tecnologia all’interno delle nostre vite avrebbe un impatto sulla nostra percezione del tempo e sulla nostra capacità di misurarlo in modo preciso. Sembra che l’accelerazione che riguarda molte delle nostre azioni, come la necessità di lavorare, comunicare e interagire più velocemente, abbia fatto sì che la nostra percezione fosse sì oggettivamente più precisa, ma soggettivamente accelerata. Secondo lo psicologo e docente di psicologia Philip Zimbardo, nell’era digitale «la tecnologia ha creato una specie di ossessione rispetto al tempo, un’ossessione di breve respiro, legata all’immediato presente e al futuro più prossimo». Continua: «Il nostro “fuso orario” individuale può essere modificato dalla tecnologia perché essa accelera il nostro orologio interno rendendoci impazienti rispetto a tutto ciò che richiede più di pochi secondi per essere ottenuto».
Aggiornamenti istantanei ovunque e a ritmo frenetico e siti di informazione ricaricati con assoluta frequenza è ciò in cui siamo immersi, dunque, sempre di più.
In questo ha avuto un ruolo preponderante la proliferazione della telefonia mobile, che grazie alla miniaturizzazione dell’hardware, è diventata parte integrante e invisibile della nostra vita quotidiana.
La pressione esercitata da questi dispositivi che ci chiedono in continuazione cosa sta succedendo, dove stiamo andando, con chi siamo, che scelte facciamo e tentano di estrarre valore da ogni attimo della nostra quotidianità è sempre più alta.
Riportando il pensiero di Geert Lovink ciò a cui siamo sottoposti è una colonizzazione del tempo reale, in un’economia delle 24 ore su 24, in cui sul web le pagine statiche vengono abbandonate in favore di una focalizzazione sempre maggiore sul tempo reale. Questo sembra essere sempre di più il prezzo della nostra libertà.
In una società così influenzata dal tempo esso rischia di diventare la misura che definisce il nostro operare in qualsiasi contesto e non solo relativamente all’ambito del lavoro, ma diventa il termine di paragone con le nostre aspettative e con gli altri.
Il periodo storico in cui viviamo premia inevitabilmente la velocità.
Forse anche per questo fiorisce sempre di più una cultura slow che va a contrastare questa tendenza e assistiamo ad un paradosso: la necessità sempre più diffusa di recuperare tempo da dedicare a se stessi praticando attività che ce ne fanno perdere la concezione, come la meditazione.
Sara Cremonese, studentessa di Web Marketing & Digital Communication