L’overload informativo permette con difficoltà ai brand di distinguersi e costruirsi un’immagine di marca forte, in questo articolo vediamo come le pratiche di cultural branding e di ascolto degli early adopters e delle crowdcultures possano permettere ad un brand di farsi notare dal pubblico.

Contenuti di marca e velocità

La velocità ha influenzato non solo i tempi di accesso all’informazione, ma anche le fondamenta sulle quali i brand devono costruire le loro strategie comunicative. Ogni persona è dotata di mezzi e abilità per creare rappresentazioni della realtà o, in modo più semplice, contenuti da condividere, ovunque si trovi, con un semplice supporto: lo smartphone. A causa di ciò, l’utente si trova costantemente immerso in un flusso continuo di informazioni e contenuti, che esercitano su di lui un costante richiamo, intrattenimento, educazione o coinvolgimento.

In questo contesto saturo, i contenuti di marca sono sempre più visti come intrusivi, come uno spam, e vengono bypassati automaticamente dalle persone. Un grande problema in questo contesto per le marche è la velocità; i contenuti che vengono prodotti dagli utenti viaggiano in binario ad alta velocità, ben differente da quello dei brand, ai quali richiede più tempo e processi più lunghi per produrli, processi spesso legati a costanti revisioni di budget e strategie con obbiettivi misurabili (Cappelletti, 2019).
Per i brand è quindi impossibile stare allo stesso passo dei normali utenti, per questo devono imparare a gestire la velocità, concretizzandosi in una presenza reale e utile, fornendo alle persone la possibilità di non essere più bombardate di informazioni.

Un altro problema è che la maggior parte delle marche invece di analizzare effettivamente i bisogni degli utenti cerca di seguire le mode, portando a una standardizzazione del branding: molte aziende stanno semplicemente facendo la stessa cosa, seguendo una lista generica di tendenze, senza un obbiettivo specifico. Non sorprende, quindi, la mancanza di interesse da parte dei consumatori.

In questo contesto, in cui l’informazione è una risorsa strategica per il brand, le marche non possono avere come unico obbiettivo la vendita del prodotto, perché i consumatori non comprano solo ciò che il brand produce, ma anche il motivo per cui lo fa. Gli acquisti sono spinti da convinzioni: le persone che fanno acquisti basandosi sulle loro convinzioni sono ora la maggioranza in tutti i mercati, di tutte l’età e con tutti i livelli di reddito.

Come gli early adopters e le crowdcultures possono aiutare una marca 

La possibilità di milioni di persone di potersi riunire online per condividere idee e competere per produrre successi ha portato a una nuova modalità di sviluppo culturale rapido, in cui le idee possono essere create, provate e perfezionate rapidamente. In questo contesto, gli early adopters e le crowdcultures fungono da innovatori; nel web possono portare avanti nuove idee, prodotti, pratiche ed estetiche bypassando i gatekeeper della cultura di massa.

chi sono gli early adopters e le crowdcultures 

Storicamente l’innovazione culturale proveniva dai margini, dai movimenti sociali, circoli artistici, che sfidavano le convinzioni comuni società. Oggi i social media uniscono queste piccole comunità, in centri di interesse.
Ora che la distanza geografica non presenta più un problema, questi nodi possono interagire fra di loro più facilmente e la loro influenza può essere sostanziale e diretta nella società. Queste nuove crowdculture si presentano in due varianti: sottoculture, che incubano nuove ideologie e pratiche, e mondi dell’arte, che aprono nuove frontiere nell’intrattenimento (Holt, 2016 Harward). Oggi è possibile trovare una fiorente crowdculture attorno ad ogni tipo di argomento: dal giardinaggio, al collezione vintage di capi, al caffè.

Gli early adopters, come il giornalista Gadwell afferma negli anni 2000, sono anche loro situati nella periferia della rete, sono le persone che per prime accolgo la novità e la diffondono. Al contrario di ciò che si può pensare, non sono gli influencer a portare le novità, ma coloro che sono ai margini della rete, gli outsider, in quanto gli influencer non hanno intenzione di portare novità, perché causerebbe un loro decentramento.

In questo nuovo scenario, proprio le persone che si trovano alla periferia della rete hanno la capacità di aiutare i brand a capire ciò che interesserà al proprio pubblico e a raggiungere non solo i propri obbiettivi, ma anche il tipping point, il punto di svolta, delle loro strategie.
Mirando a ideologie nuove che scorrono tra gli early adopters i marchi possono affermare un punto di vista che si distingue nell’ambiente mediatico in sovraccarico.

Il concetto di cultural branding ed alcuni esempi

Ascoltare e cercare di comprendere gli interessi degli early adopters vuol dire putare adottare un’ottica di cultural branding (Holt, 2016 Harward), ossia individuare i propri valori in maniera chiara attraverso il brand building ed essere capaci di declinarli in base agli sviluppi della società e al contesto storico.

Rendere i valori coerenti al tempo, alle richieste, ai bisogni e alle preoccupazioni delle persone aiuta a distinguere i brand e farsi notare. Nel branding culturale, il marchio sostiene un’ideologia nuova e rivoluzionaria che sfida le norme stabilite della sua categoria. Un esempio è il caso nella catena di ristoranti statunitense Chipotle citato nell’articolo “Branding in the Age of Social Media”(Holt, 2016 Harward).
Chipotle ha avuto successo perché è riuscita ad ascoltare  i movimenti culturali, precedentemente marginali, che avevano sfidato la cultura alimentare industriale dominante in America, diventando sempre più centrali nelle discussioni nei social media. Secondo l’articolo il successo del brand è dato da queste azioni intraprese:

  1. Mappare l’ortodossia culturale: individuare la convenzione sociale da superare, in questo caso l’ideologia alimentare industriale americana del XX secolo, incentrata su una produzione di massa di cibo a scapito delle salubrità.
  2. Individuare l’opportunità culturale: con il passare del tempo i consumatori iniziano a cercare alternative alimentari salutari e iniziano le critiche verso questa produzione alimentare, diffondendo preoccupazione nei confronti del cibo industriale.
  3. Individuare la crowdculture: gli sfidanti della ideologia del cibo industriale si sono aggirate ai margini della società per diversi anni, ma i social media hanno permesso a questi di connettersi più facilmente e a spingere per un cambiamento.
  4. Diffondere la nuova ideologia: Chipole attraverso diversi film d’animazione uno di questi Back to the Start, cerca di sensibilizzare sull’ideologia alimentare industriale, suggerendo un ritorno alle tradizioni con una produzione agricola ed allevamento preindustriale positivo per l’ambiente, gli animali e l’uomo.
  5. Cercare di innovare continuamente

Chipotle ha avuto successo perché ha ascoltato questa crowdculture e ha assunto la sua causa. I cortometraggi realizzati hanno avuto grande successo perché sono andati oltre al semplice contenuto di marca, ma hanno trasmesso i valori che le persone in quel momento storico condividevano. Ovviamente il marchio deve saper stare al passo con le necessità e i valori o rischia di essere chiamato fuori.

Conad 

Un esempio simile in Italia è quello della catena di supermercati Conad, acronimo di Consorzio Nazionale Dettaglianti. La GDO ha adattato la propria proposta per rispondere alle richieste di nuovi modelli di consumo, ponendo attenzione alle fasce di consumatori attenti ai temi ambientali, di sostenibilità, naturalità e tracciabilità della filiera. L’ha fatto con il lancio della propria Marca del Distributore Verso Natura Conad, che dal 2016 offre:

  • prodotti provenienti da agricoltura biologica;
  • prodotti provenienti da allevamenti biologici nel rispetto degli animali;
  • packaging attenti all’ambiente che riducono l’utilizzo di plastica;
  • detersivi e prodotti per la casa completamente biodegradabili;

Il brand è riuscito comprendere quanto la sostenibilità ambientale e l’interesse verso i prodotti di natura biologica si stesse spostando da un interesse di nicchia ad un interesse di massa, spingendosi subito verso gli obbiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile definiti nel 2015 dall’ONU.

Inoltre, il payoff presente in molti spot pubblicitari “Conad, persone oltre alle cose” sottolinea come in ogni strategia del brand il consumatore sia al centro. È presente, infatti, una sezione blog nel sito della GDO che suggerisce attraverso brevi articoli come fare scelte sostenibili ogni giorno, dal riciclo alla cucina.

NaturaSì 

Un altro esempio è NaturaSì, la prima catena di supermercati biologici italiana che con le sue posizioni attiviste ha come obbiettivo prendersi cura della terra e delle persone. NaturaSì dal 1992 non solo vende prodotti naturali ma unisce le community di consumatori che sono più legate ai valori che l’azienda porta avanti, che sono: l’attenzione verso prodotti di qualità, salute e benessere delle persone e dell’ambiente, trasparenza e attenzione verso il futuro.

L’azienda mostra il suo impegno non solo nella vasta offerta di prodotti ecosostenibili e biologici, ma anche attraverso azioni concrete, come ad esempio la lotta allo speco che porta avanti anche attraverso la partnership con l’app TooGoodToGo o anche attraverso l’attenzione che pone verso i propri fornitori, raccontandoli in brevi video su YouTube. La catena di supermercati Bio è sempre rivolta alla ricerca di nuove obbiettivi per migliorare e nuove motivazioni che spingano l’azienda ad un continuo sviluppo.

Per concludere 

Per concludere, i marchi che riescono ad avere successo sono proprio quelli che fanno breccia nella cultura, che sono capaci di leggerla, comprenderla ed ascoltarla e allo stesso tempo costruirsi un’immagine sincera e riconoscibile.

Le tecnologie digitali hanno non solo hanno creato nuove e potenti reti sociali, ma hanno anche modificato il funzionamento della cultura. Tocca ai brand riuscire ad individuare attraverso il cultural branding e l’ascolto degli early adopters e delle crowdculter cosa interessi al davvero al proprio target, così da sviluppare strategie coerenti con la propria immagine ma anche efficaci.

Sitografia e Bibliografia
Holt, D. (marzo, 2016). Branding in the Age of Social Media. https://www.sortlist.com/blog/cultural-branding/#:~:text=Cultural%20branding%20is%20when%20a,lifestyle%20of%20that%20target%20market.
Cappelletti, N. 2019. Digital Caos. In D. Flaccovio (Ed). Webbook
Di Gennaro, S. (ottobre, 2019) https://www.ninjamarketing.it/2019/10/16/brand-purpose/
Perfetti, A. 2022 http://tesi.luiss.it/34024/
Conad. https://www.conad.it/prodotti-e-marchi/verso-natura#:~:text=500%20ml%20Verso-,Natura%20Conad,%2C%20riciclabili%2C%20compostabili%20ed%20ecologici.
NaturaSì. https://www.naturasi.it/chi-siamo/mission-valoriEdelman research. (ottobre 2018) https://www.edelman.com/earned-brand

Autrice
Ciao! Mi chiamo Miriam Casabranca, sono una studentessa al primo anno di magistrale di Web Marketing e Digital Communication presso l’Istituto Universitario Salesiano Venezia- IUSVE. Il settore della comunicazione e del marketing mi appassiona per la sua dinamicità, che mi spinge ogni giorno ad essere sempre più curiosa e a mettermi alla prova adottando nuove prospettive. Cerco sempre di stare al passo con le novità nell’ambito dei Social Media e del Digital Marketing partecipando a convegni e webinar e mettendomi alla prova attraverso progetti.

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