Introduzione

Nell’era digitale chiunque abbia un dispositivo con una connessione ha la possibilità di cercare informazioni di qualsiasi tipo, mettersi in contatto, comunicare con le persone, imparare, scoprire e creare. Questo ha reso indispensabile per ognuno di noi l’utilizzo di un dispositivo con l’accesso a internet, facendoci diventare la generazione “always on”. Con il passare degli anni, le piattaforme e i canali comunicativi digitali sono aumentati numericamente, ma sono anche diventati più articolati, chiedendoci quindi di essere sempre più attenti e pronti ad imparare. Tutta questa tecnologia ha il “potere” di assorbire gran parte del nostro tempo e delle nostre energie.

La “distrazione digitale” è una delle conseguenze che ha maggiormente colpito le persone negli ultimi anni, e forse i più coinvolti sono proprio i giovani. Ogni giorno siamo distratti da molteplici fattori che distolgono la nostra attenzione da ciò che stiamo facendo, dalla semplice attività a quella che richiede una maggiore concentrazione. Come vedremo in seguito, sono diverse le cause della distrazione, tra cui proprio i social network: applicazioni per il cellulare che occupano una grande fetta delle nostre giornate,  talvolta senza nemmeno che ce ne rendiamo conto.

Siamo convinti di essere le vittime di queste interruzioni ma, in realtà, nessuno ci obbliga a controllare le notifiche ogni cinque minuti, come nessuno ci vieta di disattivarle o di spegnere la connessione internet per qualche ora. Eppure perché non lo facciamo? Ci viene difficile focalizzarci esclusivamente sulla realtà, su ciò che viviamo in quel preciso momento, sentiamo la necessità di scappare da noi stessi, anche grazie a una semplice notifica sul nostro dispositivo.

LA DISTRAZIONE DI MASSA

Che cosa si intende per “distrazione di massa”

La distrazione viene definita come l’allontanamento del pensiero dalla realtà, episodicamente o come fattore della personalità. Spesso essa viene associata ad un tratto romantico del carattere con la frase “ho la testa fra le nuvole”, ma la realtà è ben diversa. Troviamo sempre più difficile concentrarci per più di alcuni minuti o a volte addirittura per una manciata di secondi. Viviamo in un costante limbo di notizie, curiosità, notifiche, immagini e video, che non ci permettono di focalizzarci sulla realizzazione di qualcosa che per noi abbia un valore reale. La nostra, infatti, viene considerata come l’epoca della distrazione, ma una domanda sorge spontanea: anche nel passato le persone erano così distratte?

Le teorie del passato

Nel 1903 Georg Simmel, importante filosofo e sociologo tedesco, scrisse un saggio dal titolo ”Le metropoli e la vita dello spirito” in un periodo in cui le persone iniziavano sempre di più ad abbandonare la campagna per trovare fortuna nelle grandi città. Secondo l’autore, questo grande cambiamento genera una conseguente trasformazione nella psicologia degli individui: una delle caratteristiche della città, infatti, è il fatto che essa porti le persone a diventare sempre maggiormente distratte, a causa di continui stimoli che distolgono l’attenzione in modo superficiale e veloce. Nelle città, l’uomo si lascia andare a impulsi e novità continui. Se questo eccesso di stimoli nel passato veniva visto come una caratteristica della nuova vita nelle città, oggi è un vero e proprio eccesso. 

Già nel 1600 Blaise Pascal, filosofo e teologo francese, teorizzò la tendenza interiore di un disagio intimo dell’uomo, la paura di rimanere soli con se stessi, che venne poi maggiormente amplificato dallo stile di vita contemporaneo, dove le relazioni delle persone attraverso la tecnologia si sono amplificate, rendendo così la loro vita meno vuota.

Anche lo scrittore americano Matthew Crawford ha trattato questo tema all’interno del suo libro “The World Beyond Your Head: On Becoming an Individual in an Age of Distraction”, sostenendo che a partire dal periodo dell’Illuminismo, la nostra cultura ha dato importanza alla libertà e all’autonomia dell’individuo. Abbiamo spinto questa ricerca dell’autonomia al punto tale da considerare ciò che richiede la nostra attenzione un elemento all’interno di una prigione da cui dover evadere.

Esiste davvero un muscolo dal quale dipende la nostra attenzione? 

La nostra corteccia prefrontale, sede di tutti i meccanismi di controllo cognitivo, nonché responsabile della nostra attenzione, è l’ultima a comparire, ma anche la prima ad andarsene con l’avanzare dell’età. È infatti verso i 20 anni che ognuno di noi ottiene il massimo controllo dell’attenzione, che pian piano svanisce a partire dai 60 anni. L’ambiente però gioca un ruolo fondamentale per salvaguardare l’invecchiamento del cervello e quindi l’aumento di distrazione nell’uomo. 

Il cervello è un muscolo”, è una metafora poco precisa di cui spesso si abusa, ma che allo stesso tempo ci permette di capire come funziona. Siamo sempre costretti a utilizzarlo, anche quando non vogliamo o non ce ne rendiamo conto. 

Ciò che davvero influisce sulla nostra attenzione è l’insieme di distrazioni e di interfacce che quotidianamente richiamano la nostra attenzione. Il muscolo che si occupa di rimanere attento, non è lo stesso che gestisce le distrazioni; queste due parti del nostro cervello, infatti, possono essere allenate in modo distinto, proprio perché di natura differente. Ciò che distingue i giovani dalle persone più adulte non è la capacità di concentrarsi, bensì quella di non distrarsi, di migliorare il filtro attentivo che permette di selezionare le informazioni importanti. Anche in questo preciso momento, per poter comprendere a pieno queste parole, stai utilizzando la parte del cervello adibita a questa funzione. Eppure, qui sul web, anche per i giovani è difficile mantenere la concentrazione: centinaia di link, pubblicità, pagine e molti altri elementi possono facilmente distrarli. 

Lo sapevi che esiste uno stato in cui non stiamo né riposando, né lavorando o studiando? Si tratta del limbo del sonno. Durante questo periodo di tempo, infatti, controlliamo le notifiche delle email, rispondiamo alle chiamate o ai messaggi e guardiamo qualche profilo sui social. E cosa ne consegue? La sera siamo stanchi perché queste attività, anche se non ce ne rendiamo conto, risucchiano tutte le nostre energie. Quando ci troviamo nel limbo del sonno, dobbiamo imparare ad alternare momenti di concentrazione a momenti di completo riposo; solo l’alternanza di questi ci permette di sfuggire dal limbo, e di raggiungere quindi il livello ottimale di lavoro e di riposo.

Cause di distrazione

Nell’ambito della produttività, la distrazione mentale sta diventando sempre più un grande problema. Sapersi concentrare, infatti, è alla base per essere produttivi durante la giornata. Molto spesso, l’attenzione dell’uomo viene deviata da elementi che derivano dal mondo che lo circonda o da pensieri che si insediano nella mente. Le cause principali di distrazione si possono suddividere in due macro-categorie:

  • esterne 
  • interne

Le cause esterne

L’uomo è per sua natura un animale sensoriale, ovvero ogni stimolo visivo o uditivo, costituisce per lui una forma di distrazione. Il principale elemento di distrazione però è costituito dalla tecnologia. Ogni giorno siamo sommersi da stimoli come email, chiamate, messaggi e applicazioni ricche di notifiche. La tecnologia viene considerata, soprattutto dai giovani, una delle innovazioni migliori degli ultimi anni, ma può essere un potente alleato solo se gestito correttamente. Una seconda forma di distrazione, è l’ambiente che ci circonda. Principalmente, il disordine, il rumore, o la presenza di un grande numero di persone costituiscono un forte senso di distrazione mentale. Come si può ben capire, ogni cosa che ci circonda è in grado di generare per noi una fonte di distrazione, di assorbire la nostra energia e distoglierci dallo scopo principale che si stava perseguendo. 

Le cause interne

Diversamente da quelle esterne, le distrazioni interne sono generate dai pensieri della nostra mente. Ne esistono di diverse tipologie: prime fra tutte quelle derivanti dalle forti emozioni, come la fine di una relazione o un grave incidente. Successivamente incontriamo quella serie di promemoria che la nostra mente ci ricorda, di eventi o attività da svolgere nelle ore, giorni o settimane seguenti. Altri due fattori che comunemente possono influire sulla distrazione sono l’ansia e lo stress, che portano a un basso livello di concentrazione e qualità del lavoro. I nostri pensieri, infatti, si spostano su fattori negativi che fanno diminuire la motivazione e aumentare la difficoltà nel fare chiarezza sugli obiettivi posti.

Essere multitasking, ovvero saper portare avanti più attività, spesso viene visto come una qualità della persona, senza però considerare che siamo esseri umani e che quindi necessitiamo di minori quantità di compiti o attività per poter essere più produttivi e attenti in quello che facciamo. Ultimo, ma non per importanza, è che spesso dormiamo poco o non abbastanza. La nostra mente e il nostro corpo, necessitano di un giusto bilanciamento tra riposo e attività, necessari al mantenimento di un focus chiaro.  La causa della distrazione risiede nella temporanea disattivazione di alcune piccole parti del cervello che portano la mente a funzionare solo in percentuale ridotta esponendo la persona a momenti di distrazione.

Come influisce la distrazione di massa sulle aziende

Uno dei principali problemi è che la continua interruzione del flusso di lavoro che può essere costituito da compiti scolastici, commissioni o comunque attività al di fuori del luogo di lavoro, generano ogni anno dei costi “sommersi”, dal valore particolarmente elevato. Sempre alla distrazione possiamo imputare in ambito economico un ulteriore costo: quello sostenuto dalle aziende in pubblicità. Al giorno d’oggi, infatti, ci troviamo in un contesto comunicativo ricco di messaggi e suggerimenti di acquisto, che difficilmente riescono a catturare l’attenzione dell’individuo. Infatti, è stato calcolato che ogni persona riceve in media 200 messaggi al giorno. Le aziende provano quindi a dialogare con il proprio pubblico attraverso i canali più comuni, tra cui:

  • Post sui social, sia organici che sponsorizzati, che spesso l’utente scrolla automaticamente;
  • Poster affissionali che spesso non vengono notati a causa dello sguardo rivolto verso il cellulare;
  • Messaggi televisivi che vengono totalmente ignorati perché durante le pause pubblicitarie è d’obbligo l’utilizzo dello smartphone;
  • Spot radiofonici che ormai vengono ignorati dall’uso di playlist già preimpostate durante il percorso in auto;

Tutti questi elementi portano le aziende ad aumentare i propri investimenti in pubblicità per provare a raggiungere il consumatore distratto, ma nella maggior parte dei casi si tratta di investimenti che non generano un adeguato ritorno economico. Questo problema diventa ancora maggiore per le piccole realtà che spesso hanno budget ridotti. Verso la metà del 1900 è stata introdotta la locuzione “comunicazione di massa”, per indicare la trasmissione di messaggi inizialmente attraverso la carta stampata e successivamente con gli strumenti di trasmissione come radio, televisione, ecc. La comunicazione di massa è costituita da 3 caratteristiche fondamentali:

  • pubblica perché i messaggi non vengono indirizzati ad un soggetto specifico ma ad una moltitudine di persone 
  • rapida in quanto riesce a raggiungere molte persone in un arco di tempo molto breve
  • transitoria poiché destinata al consumo immediato

Siamo quindi passati dall’era della comunicazione di massa all’era della distrazione di massaLa distrazione, dunque, non influisce solo sulle nostre vite ma anche economicamente sulle aziende che in tutti i modi cercano di arrivare ai propri utenti, venendo però spesso ignorate a causa di questo problema

I SOCIAL MEDIA

Gli utenti e il loro approccio a internet. Quali sono e come funzionano i social maggiormente utilizzati 

Non tutti su Internet si comportano allo stesso modo. Nell’era digitale, infatti, possiamo identificare e definire sei tipologie di utenti

  • Gli Iperconnessi: sono tutti coloro che utilizzano massivamente Internet e il digitale, in tutte le forme possibili e per tutti i tipi di servizi (social, video, e-commerce, informazione).
  • Gli internauti standard: utilizzano instancabilmente tutti i servizi digitali che supportano varie forme di dimensioni relazionali. 
  • I social network addicted: rappresentano gli utenti più fedeli ai social network e alla messaggistica istantanea. Usano pesantemente la comunicazione sociale e sono gli utenti meno propensi a ridurre l’uso di Internet.
  • I global no social: utilizzano molto il digitale tranne, però, per quanto riguarda le attività tipicamente social. Oltre a ciò, preferiscono fare un utilizzo più personale della rete e sono meno inclini alla relazione social su ampia scala.
  • Gli utenti di vecchia scuola: contraddistinti per il loro utilizzo degli strumenti maggiormente datati, tra cui mail e ricerche con motori di ricerca. Hanno un rapporto con la novità abbastanza complicato e solitamente sono più affezionati agli strumenti che conoscono meglio.
  • Gli utenti deboli: per loro Internet rappresenta un’opportunità come qualsiasi altra, senza particolari innovazioni. Visitano il web occasionalmente e ascoltano notizie principalmente da canali tradizionali, ma non hanno alcun interesse a saperne di più.

Ad oggi esistono moltissime piattaforme social. Tra queste, le più diffuse risultano essere quelle che maggiormente associamo al termine social media e di seguito ti elencheremo alcune delle principali secondo We Are Social, spiengadotele brevemente.

Instagram

Instagram, oltre a permettere di postare foto e video, che possono essere modificati a proprio piacimento grazie ai filtri predisposti, consente anche di pubblicare all’interno del proprio profilo reels e storie, grazie alle quali consente ai propri utenti di interagire in maniera istantanea ed effimera. Oltre a queste, e ad altre centinaia di funzionalità offerte alla sua community, questo social media è progressivamente diventato uno strumento di fondamentale importanza anche per aziende, associazioni ed enti di ogni genere. Instagram vanta un pubblico di età decisamente più giovane, in effetti più della metà degli utenti hanno un’età inferiore ai 35 anni. Tra questi, il 13,9% è rappresentato da donne di età compresa fra i 18 e i 24 anni. Quanto al tempo che in media gli utenti passano all’interno di questo social media, esso al momento ammonta a 53 minuti al giorno. Più in generale, 500 milioni di utenti pubblicano “stories” nella piattaforma quotidianamente.

Snapchat

Un altro social legato all’effimero è Snapchat, la cui particolarità risiede nella possibilità di scattare foto con filtri in realtà aumentata e inviarle ai destinatari per un tempo limitato. Questa piattaforma pone il suo focus sugli snap, ovvero foto e brevi video che non appena vengono visualizzati si “auto-eliminano”. Snapchat è molto popolare soprattutto tra gli utenti più giovani, specialmente in America, sebbene stia tornando in auge anche in Italia, ad esempio.

Facebook

Facebook dà la possibilità di condividere foto, informazioni, video e altri contenuti personali e i suoi ricavi derivano in gran parte dalle sponsorizzazioni. Esso dà la possibilità sia di aprire un profilo personale, che di creare una pagina pubblica, utile per coloro che si occupano di un’attività. Andando ad analizzare in maniera più approfondita il bacino di utenti dei principali social utilizzati dalla popolazione italiana, è possibile notare che, nonostante la maggioranza di coloro che utilizzano Facebook, ad esempio, abbia meno di 35 anni, è usata regolarmente anche da utenti di età compresa tra i 36 e i 65 (o più) anni. Ad oggi, l’86% degli utenti attivi su Facebook, in Italia, dichiara di usare il social con regolarità, ed è emerso che il lasso di tempo che gli utenti vi passano ogni giorno, di media, ammonta a 59 minuti, all’incirca. Importante notare, poi, il fatto che Facebook abbia registrato un elevato incremento di visite nel periodo compreso tra febbraio ed inizio marzo del 2020, ossia in prossimità della prima ondata di Covid19 e delle conseguenti restrizioni che hanno limitato gli spostamenti di ognuno in maniera esponenziale.

Twitter

Twitter, invece, è un social che si distingue dagli altri grazie alla grande attenzione che posa sul contenuto, che lo rende un social immediato e contraddistinto dal fatto che i suoi tweet hanno un limite di 140 caratteri. Questo social è frequentemente utilizzato da giornalisti, politici, lavoratori e influencer. Analizzando Twitter, è possibile notare che il suo pubblico è costituito soprattutto da persone in una fascia d’età compresa tra i 25 e i 49 anni e che la permanenza degli utenti sulla piattaforma, in media, è inferiore ai 4 minuti al giorno. Inoltre, quotidianamente vengono twittati 500 milioni di post, ovvero circa 6.000 in ogni secondo.

LinkedIn

In quanto a LinkedIn, questo è il primo social pensato appositamente per il mondo del lavoro, e dedicato a imprese e professionisti. Tale piattaforma è fondamentale per coloro che sono alla ricerca di opportunità lavorative, ma anche per le aziende che devono fare nuove assunzioni, o più semplicemente è utile anche per rimanere aggiornati sulle tendenze del momento ed entrare in contatto con potenziali clienti e venditori. Andando ad analizzare LinkedIn, ciò che emerge è il fatto che, in media, l’età di coloro che vi sono iscritti è tra i 25 e i 34 anni. Tra gli utenti che sono attivi su LinkedIn, solamente il 40% vi accede ogni giorno. LinkedIn, considerando il tempo medio che gli utenti trascorrono su ogni piattaforma social, sembra essere il social media utilizzato con maggior parsimonia, con una media di utilizzo di circa 17 minuti al mese.

YouTube

YouTube, uno dei social più popolari, nasce invece come piattaforma volta alla condivisione di video. Al suo interno è possibile trovare video di qualsiasi tipo, da quelli educativi a quelli d’intrattenimento. YouTube è la piattaforma con il pubblico più vasto, rappresentato principalmente da utenti di una fascia di età che va dai 16 ai 45 anni. Oltre a questo, ogni giorno vengono guardate più di un miliardo di ore di video su YouTube. La media giornaliera di utilizzo diminuisce al crescere dell’età degli utenti: il 67% degli utenti tra i 16 e i 24 anni, infatti, guarda video su YouTube almeno una volta al giorno, mentre per coloro che hanno un’età compresa tra i 45 e i 54 anni, le cifre diminuiscono fino ad arrivare al 47%. Inoltre, su YouTube vengono caricate all’incirca 500 ore di video al minuto.

Pinterest

Per quanto riguarda Pinterest, lo si può definire una “mood board virtuale”, molto utilizzata tra i più creativi e coloro alla ricerca di un’ispirazione in ambiti diversi, che siano riguardanti l’arredamento, i viaggi, i trucchi, il fai-da-te.

Tiktok

É uno dei social più recenti, e che ha ottenuto il maggior successo in tempi molto brevi, soprattutto tra gli internauti (ossia coloro che navigano in Internet) più giovani, che condividono brevi video musicali in linea con i trend del momento. TikTok, indubbiamente, è il social con l’audience più giovane, che coinvolge specialmente i ragazzi dai 10 ai 29 anni, ossia coloro che appartengono alla Generazione Z. In generale, poi, gli utenti vi spendono in media 52 minuti al giorno ed il 90% degli utenti effettua il login quotidianamente.

App di Messaggistica

Passando, invece, alle app dedicate alla messaggistica, troviamo Whatsapp e Telegram, utilizzate da un’enorme vastità di utenti per rimanere in contatto tra di loro.

Quante persone utilizzano i social: i dati

​​Circa 4,5 miliardi della popolazione mondiale è presente attivamente sui social media (rapporto Digital 2021 October Global Statshot di DataReportal, in collaborazione con We Are Social e Hootsuite). Ciò che colpisce maggiormente in questi ultimi anni, è proprio il boom dell’utilizzo dei social media. In effetti nell’ultimo anno, il numero di utenti è incrementato del 9,9%, ciò significa che 409 milioni di persone si sono aggiunte a coloro che già frequentavano il mondo dei social.  È quindi emerso che il 57,6% della popolazione mondiale ha un profilo su uno o più social network. Oltre a questo, in media, ogni internauta è iscritto a 6,7 piattaforme differenti. Per quanto riguarda in particolare il nostro Paese, circa il 58% degli italiani, ossia 35 milioni di persone, è presente nei social network, e vi spende in media due ore della propria giornata, accedendovi da smartphone nel 98% dei casi. In Italia nel 2021 Facebook è stato il social network con il maggior numero di utenti, che ammonta a 36,9 milioni, seguito poi da Instagram, con i suoi 27,7 milioni di utenti e successivamente da LinkedIn, per un totale di 18,6 milioni di utenti.

In generale, comunque, è chiaro che siano specialmente i giovani a trascorrere più tempo sui social media, ma alcuni social, in realtà, sono decisamente diffusi anche tra le generazioni più adulte. Generalmente, quindi, ciò che emerge è il fatto che gli utenti di età compresa tra i 15 e i 20 anni siano coloro che utilizzano maggiormente i social media, ma che anche le generazioni più anziane stiano iniziando ad utilizzarli sempre di più.

Cosa spinge le persone ad accedere ai social

Dopo aver approfondito le età di coloro che utilizzano maggiormente i social media e il tempo da loro speso utilizzando queste piattaforme, andiamo ad indagare sui diversi motivi che spingono queste persone a frequentare i social. Prima di tutto, momenti di noia o di attesa, in cui non si sa come impiegare il proprio tempo, risultano essere occasioni non trascurabili per scrollare la home dei propri social preferiti e rimanere aggiornati su ciò che le persone seguite stanno facendo nello stesso momento, o stavano facendo poco prima.

In fin dei conti, ciascuno ha il proprio smartphone a portata di mano durante quasi tutta la sua giornata, pertanto in un momento in cui ci si sta annoiando e non si ha nulla da fare, la cosa meno impegnativa e comoda per passare il tempo è proprio aprire i social, che ci offrono contenuti diversi, spesso in linea con i nostri interessi. I social media, oltre a permettere alle persone di venire a conoscenza di ciò che la propria cerchia di amici e conoscenti sta facendo, sono un mezzo utile per informarsi su ciò che sta accadendo nel mondo e mantenersi aggiornati su eventuali prodotti, servizi o novità riguardanti i propri brand preferiti. Tutto ciò è permesso dal fatto che i social si muovono in maniera rapida e costante, basta infatti accedere a Twitter o Facebook, nello specifico, per capire nell’immediato cosa sta accadendo nel periodo storico che si sta vivendo. 

Inoltre, i social rappresentano uno strumento fondamentale per mantenere vivi i contatti con conoscenti, amici e parenti. Ciò è evidente specialmente nei momenti in cui ci ritroviamo a parlare faccia a faccia, grazie alle videochiamate, con persone che in realtà sono fisicamente molto lontane da noi. Le piattaforme social, però, non ci permettono solo di interfacciarci a persone che già conosciamo e che magari fanno parte della nostra quotidianità, infatti, sono un ottimo strumento anche per conoscere persone nuove, iniziare una nuova amicizia, trovare un lavoro o risolvere un determinato problema.

I social poi, si dimostrano essere anche dei mezzi particolarmente utili per indagare su quelle che sono le opinioni altrui in merito a determinate tematiche, e quali sono i loro interessi. Spesso si innescano alcune discussioni, non necessariamente di carattere negativo, durante le quali emerge il pensiero di ciascun interlocutore riguardo a qualsiasi argomento, dalla politica, alla moda, allo sport.

Oltre a utilizzare i social per esprimere la propria opinione, molte persone amano utilizzarli con lo scopo di condividere foto e video relativi alle esperienze vissute, i traguardi raggiunti, le cose che appassionano, divertono o quelle verso cui si prova indignazione e attorno alle quali si vuole suscitare una riflessione da parte dei propri follower/amici. Il fatto, poi, che si possa ottenere un riscontro tramite like, views e commenti, porta molte persone a una ricerca spasmodica di approvazione e appagamento, che derivano proprio da questo tipo di interazioni. In ultima analisi, coloro, che, magari anche inconsapevolmente, tendono a pubblicare contenuti sulle piattaforme social con l’obiettivo di ottenere riscontri positivi da parte della propria cerchia (e non), necessitano di accrescere la propria autostima e sentirsi approvati.

In linea di massima, comunque, l’uomo, essendo per sua natura un animale sociale, ha una spontanea propensione a cercare ogni via possibile per creare una connessione con i propri simili e fare gruppo. Un ulteriore motivo che potrebbe spingere alcune persone all’utilizzo dei social media potrebbe essere quello di fare acquisti tramite questo tipo di piattaforme. Prendendo Facebook come esempio infatti, vediamo che esso offre diverse possibilità di acquistare qualcosa come il Marketplace e moltissimi gruppi all’interno dei quali le persone creano dei post mettendo in vendita i loro oggetti usati. Ad oggi, oltretutto, alcune aziende hanno iniziato a vendere i propri prodotti grazie a Facebook pubblicando le foto dell’articolo in vendita che, se selezionato, ti porterà a contattarle in privato o al loro sito web.

Le motivazioni principali che spingono le persone a utilizzare i social media sono parecchie, e talvolta molto differenti tra di loro. Ciò che è certo è il fatto che queste varino in base all’individuo che si prende in esame, e che ognuno è spinto ad accedere ai social media per ragioni diverse in base al momento della giornata, o al periodo che sta vivendo, ma anche in base al suo carattere, ai suoi obiettivi, alle sue abitudini, o alla sua età.

Quanto a quest’ultima variabile, è importante distinguere le abitudini delle persone appartenenti a diverse fasce d’età. Da un’indagine di Enlabs infatti, emerge che gli utenti di età compresa tra i 16 e i 24 anni utilizzano i social prevalentemente con lo scopo di occupare il proprio tempo libero, che i giovani tra i 25 e i 34 anni invece, sono maggiormente interessati al mantenersi in contatto con i propri amici, mentre coloro che appartengono alla fascia 34-44 anni utilizzano i social soprattutto per consultare le news. Dalla stessa ricerca, è poi emerso che gran parte degli internauti che frequentano le piattaforme social, le adoperano in maniera passiva. Con “utilizzo passivo dei social”, si intende che le piattaforme in questione sono percepite dagli utenti come fonti di contenuti, piuttosto che essere viste come un qualcosa che richiede loro un contributo ed una partecipazione attiva.

COME I SOCIAL INFLUISCONO SULLA DISTRAZIONE

La social network addiction e l’algoritmo social

I social, come i termini da essi derivati (es. instagrammabile), hanno invaso i nostri atteggiamenti quotidiani modificando le nostre modalità di interazione, relazione e non solo. Queste piattaforme, infatti, sebbene fossero nate con lo scopo di fortificare la cerchia di amici, oggi rappresentano forse più uno strumento di esibizionismo, dove l’unica cosa che conta non è più la qualità, ma la quantità (di amici, di like, di commenti…ecc.). Questo fenomeno, infatti, è chiamato social network addiction e consiste nell’attività compulsiva di controllare e aggiornare i social alla ricerca di nuove amicizie e relazioni (se così possiamo ancora chiamarle) da registrare nel proprio profilo.

Per capire al meglio l’importanza di questo fenomeno prendiamo in esame lo studio di We Are Social del 2022, nel quale viene riportato che il 71,6% della popolazione (corrispondente a più di 43 milioni di persone, circa) sono utenti attivi nei social, il 5,4% in più rispetto al 2021. Questo 71,6% usa  i social, in media, per un’ora e quarantasette minuti al giorno e utilizza mediamente al mese sei piattaforme. Questo studio ha permesso di comprendere, dunque, non solo la presenza che i social hanno nelle nostre vite, ma anche i principali social usati in Italia (in ordine per importanza abbiamo: Whatsapp, Facebook, Instagram, Facebook Messenger, Telegram, TikTok, Twitter, LinkedIn, Pinterest, Skype, iMessage, Snapchat, Discord, Reddit e Tumblr) che però in alcuni casi differiscono dai social più amati (in ordine decrescente: Whatsapp, Instagram, Facebook, Telegram, TikTok, Twitter, Pinterest, LinkedIn, Facebook Messenger e Discord). 

Per aumentare il tempo che gli utenti trascorrono su queste piattaforme, favorendone così i loro scopi economici (maggiore è il loro utilizzo, maggiore sarà il loro guadagno), i social sfruttano un algoritmo in grado di riorganizzare i contenuti da mostrare, migliorando così l’esperienza utente. L’obiettivo di fondo di tutti i social, infatti, risiede nell’ottenere l’attenzione dell’utente e trattenerlo all’interno della piattaforma il più a lungo possibile, facendolo interagire con diversi contenuti, mediante la condivisione e l’interazione sociale, creando così con essi un legame fatto di emozioni positive e momenti coinvolgenti dovuti, appunto, all’uso del social. Il potere di queste piattaforme sta dunque nella capacità di distrarre gli utenti da quello che stavano facendo e attirarli nei loro spazi virtuali per coinvolgerli con attività in grado di farli sfuggire per qualche minuto (o anche qualche ora) dalla realtà, generando attimi di felicità e benessere. La concentrazione, nella maggior parte degli utenti ormai avvezzi ai social, risulta quindi frammentata e condivisa tra dispositivi, piattaforme, applicazioni e schermi multipli che competono tra loro per richiamare la loro attenzione, attraverso stimoli e impulsi, e alimentarla.

Come i social catturano l’attenzione dell’utente

Ma come fanno esattamente i social ad attirarci nelle loro piattaforme e coinvolgerci? Secondo Nir Eyal, la loro strategia si basa sul modello Hook, composto da quattro parti:

  • innesco, anche chiamato trigger, ossia l’arrivo, ad esempio, di una notifica. Il suo obiettivo è quello di generare un’azione che avvenga in automatico;
  • azione, ovvero l’accesso ai social in un momento di noia;
  • ricompensa, o gratificazione (ovvero qualcosa di coinvolgente, divertente o utile offerta, però, secondo modalità imprevedibili in grado così di rafforzare il coinvolgimento), che il nostro cervello prova nell’allontanarsi da una situazione di disagio creando così, con il tempo, un rinforzo positivo e di conseguenza un’abitudine;
  • investimento, o coinvolgimento, stimolato da una nuova notifica che riporterà le persone a svolgere le azioni precedenti, ormai divenute abitudine in un circolo infinito, portandole ad offrire il proprio contributo mettendo un like, commentando o creando un post.

Al di là della quantità di tempo impiegato e dei social più diffusi, ben più interessanti sono le principali motivazioni per cui gli utenti sono spinti ad utilizzare queste piattaforme riportate da We Are Social, ovvero:

  1. Leggere le news (48%)
  2. Rimanere in contatto con amici e famiglia (46,8%)
  3. Occupare il tempo libero (46,1%)
  4. Trovare contenuti (29,8%)
  5. Trovare cose da fare (28,3%)
  6. Trovare prodotti da comprare (20,8%)
  7. Trovare persone che la pensano allo stesso modo (20%)
  8. Vedere di cosa si parla (19,9%)
  9. Condividere opinioni (19,9%)
  10. Postare sulla tua vita (18,8%)
  11. Evitare di perdersi cose – FOMO (18,6%)
  12. Celebrità e influencers (16,5%)
  13. Live streams (16,5%)
  14. Trovare i contenuti dei brand (16%)
  15. Crearsi nuovi contatti (14,9%)

Alcune di queste sono la causa della continua distrazione ormai divenuta di massa. In particolare, troviamo tra le cause principali la FOMO (acronimo per fear of missing out), ovvero la paura di perdersi qualcosa, di essere tagliati fuori; una forma di dipendenza tecnologica che, se non soddisfatta, può provocare una crisi di astinenza. La sola idea di poter perdere qualche notizia importante, infatti, provoca una tale ansia da portare la persona che ne soffre a dover controllare ripetutamente il telefono a pochi minuti di distanza per verificare se ci sono novità/notifiche e rispondere ai messaggi. Questo tipo di comportamento può provocare diversi rischi come il distrarsi alla guida, ridurre le ore di sonno, fino a rendere prioritaria la vita online piuttosto che quella offline, aumentando così il senso di solitudine e il rischio di sviluppare disturbi d’umore come ansia e depressione. L’uso costante dei social, inoltre, secondo una ricerca della società americana Commonsense, ha portato alcune persone a preferire amicizie virtuali piuttosto che reali, proprio per prevenire questi sentimenti di ansia e autosvalutazione grazie ad una comunicazione meno problematica e più facile da gestire, ma perdendo così il contatto con la realtà portandoli verso l’isolamento sociale. 

Ci stiamo abituando, secondo Sherry Turkle, a essere soli assieme: le persone al giorno d’oggi, infatti, desiderano stare gli uni con gli altri, ma al tempo stesso essere altrove, perché la cosa che più importa è poter decidere dove posare la propria attenzione. Questo però ci porta a nasconderci l’uno dall’altro, a non voler comunicare faccia a faccia, anche se siamo continuamente connessi tra noi. Nel suo studio, infatti, la Turkle ha raccolto tutte le principali motivazioni per cui le persone cercano di evitare una conversazione reale, ovvero il fatto che questa sia in tempo reale e che non si può controllare cosa si dirà. Messaggiare e postare, infatti, ci consentono di presentarci come vogliamo essere: attraverso una conversazione nel virtuale possiamo modificare, e di conseguenza cancellare, alcune cose di noi. I messaggi e le conversazioni nei social, però, non permettono di conoscerci e comprenderci realmente. La preferenza a messaggiare piuttosto che parlare porta alla sensazione che nessuno ci stia realmente ascoltando. Ed ecco che quindi si ricorre ai social proprio perché sono piattaforme costruite per far sembrare che le persone si interessino realmente a noi. Stiamo progettando tecnologie che ci daranno sempre di più l’illusione di essere in compagnia senza bisogno di sviluppare un’amicizia, portandoci, però, in questo modo, a essere sempre più soli.

La paura di perdersi qualcosa ha portato inoltre all’originarsi di una nuova malattia, la Nomofobia (no mobile fobia), che consiste per l’appunto, nella paura di essere rimasti senza connessione internet, che comporta il prendere in mano il telefono compulsivamente come se si avesse ricevuto una notifica. Questa ossessione, che consiste nel controllare ripetutamente il telefono alla ricerca di una notifica, è data dal fatto che le applicazioni social hanno lo stesso effetto che ha una droga: ricevere una notifica, infatti, attiva il sistema cerebrale della ricompensa e porta il cervello a produrre dopamina, provocando così una sensazione di piacere. Proprio come accade con la droga, però, una volta terminati gli effetti di piacere, secondo la psicologa e psicoterapeuta Simona Toto, si presentano i primi sintomi di astinenza e dipendenza, come la necessità di restare collegati e aggiornare continuamente la propria pagina per raggiungere la medesima sensazione di appagamento, la sperimentazione di intensi disagi psico-fisici (nel caso non ci si colleghi per un periodo di tempo) e la presenza di pensieri fissi e forti impulsi sul come e quando connetterti (craving). Il preferire i social rispetto al contatto sociale con i propri amici o parenti, ad esempio, viene chiamato phubbing (da phone, telefono e snubbing, snobbare).

Sempre più spesso, sentiamo parlare dell’economia della distrazione, ovvero di quel fenomeno per cui le persone danno maggiore importanza agli strumenti tecnologici, rispetto ai propri amici o alle persone con cui possono interagire in un determinato momento o contesto. Un primo esempio che dimostra in modo semplice questa teoria è rappresentato da una normale conversazione che ognuno di noi può avere quotidianamente; durante questa, sicuramente almeno una volta controlliamo le notifiche sul nostro smartphone o rispondiamo alle chiamate. 

La distrazione è una delle caratteristiche che da sempre accompagnano l’uomo, ma negli ultimi 20 anni si è intensificata al punto tale da diventare un costo, economico e sociale, sempre più difficilmente sostenibile. 

L’essere costantemente connessi grazie ai sempre più innovativi dispositivi tecnologici, ci porta a una maggiore e sempre più facile distrazione, che non ci consente di rimanere concentrati su ciò che stiamo facendo. Si tratta di strumenti che vengono utilizzati durante tutta la giornata: in ufficio, tra i banchi di scuola, a casa come semplice svago e in molti altri contesti, tanto da determinare un notevole cambiamento nella fruizione che abbiamo della realtà, ma anche di quelle semplici informazioni di cui necessitiamo. 

Secondo uno studio condotto dal dipartimento di informatica dell’Università della California e guidato dalla professoressa Gloria Mark, infatti, è stato individuato un tempo di almeno 25 minuti per poter riacquisire la concentrazione e tornare produttivi come prima.

Il passare molto tempo sui social ha inoltre evidenziato un aumento dei sintomi da disturbo da deficit dell’attenzione, iperattività e impulsività (ADHD). Analizzando un gruppo di oltre duemila studenti, infatti, i ricercatori hanno riscontrato che quelli più avvezzi all’uso dei social media hanno il doppio di probabilità di riportare questi sintomi di ADHD rispetto a quelli meno attivi. Questi sintomi possono spingere i ragazzi verso una preferenza alla gratificazione immediata dei social media, caratterizzati da una facilità d’uso e accesso ai contenuti, portandoli ad avere più difficoltà a sviluppare skills come la pazienza ed il controllare i propri impulsi. Le continue notifiche, infatti, possono impattare sull’attenzione e rendere ancora più difficile sviluppare le competenze necessarie per concentrarsi.

Molti utenti hanno cercato di mediare a questa situazione approcciandosi al multitasking, ma lo studio della WPA (World Psychiatric Association) denominato “The “online brain”: how the Internet may be changing our cognition” (2019) ha evidenziato che questa attività provoca alterazioni nella struttura e nelle funzioni cognitive del cervello. Sebbene si possa pensare il contrario, questo studio ha riscontrato che le persone coinvolte nell’utilizzo del multitasking hanno delle performance cognitive peggiori nei compiti di task-switching, ovvero il cambio di focus da un argomento all’altro, rispetto a chi non lo pratica proprio perché fanno fatica a mantenere la concentrazione quando sono sottoposti a stimoli distraenti. La realtà è che abbiamo perso la capacità di concentrarci, approfondire e dunque fare quel salto di qualità.

Effetti negativi dei social sulla persona

Il saper concentrarsi e mantenere l’attenzione su un’attività, inoltre, secondo gli neuroscienziati dell’università di Oxford, ha un ruolo fondamentale nella gestione delle emozioni, dello stress e, quindi, anche della forza di volontà e dell’autocontrollo. Attenzione, concentrazione, forza di volontà e autocontrollo, infatti, si trovano tutti nell’area prefrontale del cervello, una delle più recenti e suscettibili al cambiamento. Se concediamo dunque ai social di distrarci dedicando loro la nostra attenzione, non solo essi deterioreranno la nostra capacità di rimanere attenti e concentrati, ma anche danneggeranno la nostra forza di volontà e il nostro autocontrollo. Una ridotta capacità di queste aree, in effetti, ci porterà, dunque, a preferire le gratificazioni a breve termine piuttosto che a quelle a lungo termine, oltre che a peggiorare la nostra gestione dello stress e dei nostri stati interiori. La distrazione quindi, sebbene sia una caratteristica innata nel nostro cervello, è aumentata a causa dei social, divenuti ormai un obbligo sociale in cui mostrare la propria presenza attiva (D. Rosen, Distracted mind).

Un altro studio, questa volta dell’università di Windsor (Canada), ha abbattuto un ulteriore mito riguardante i social, ovvero il pensare che i continui scambi rendano le persone più informate, complete, ricche e attente alle sfumature degli altri. Messaggiare compulsivamente in un continuo botta e risposta sui social porta in realtà alla moral shallowness, una piattezza morale. Non solo dunque non sappiamo nulla (anche se pensiamo di sapere tutto), ma stiamo addirittura diventando persone peggiori perché curanti solo della nostra immagine, precipitando sempre di più in un vortice dell’edonismo. L’indagine ha registrato inoltre che questo egocentrismo ha portato ad una minore propensione all’autoanalisi e relazioni sociali più deboli.

Molti degli effetti sopracitati sono stati riportati in una ricerca australiana svolta dall’University of Technology di Sidney, la quale ha evidenziato ben cinquanta effetti negativi legati all’utilizzo dei social media, non solo correlati alla salute fisica e mentale, ma anche alla privacy e al rendimento professionale e scolastico. Tra gli “effetti collaterali” più importanti troviamo: panico, fatica, depressione, gelosia, solitudine, ansia, insoddisfazione di sé, deterioramento dell’umore, ridotta autostima/fiducia, dipendenza, sovraccarico di informazioni e lavoro, tempo perso, spreco di energia e soldi e molto altro ancora. 

Questi effetti riguardano, non solo il costo dello scambio sociale, come i danni psicologici, ma anche i costi di altro genere, come il dispendio di tempo, energia e denaro. Li ritroviamo maggiormente nelle immagini, nei video e nei testi di natura inquietante, violenta e oscena (es. messaggi offensivi, phishing, cyberbullismo) che infastidiscono, turbano o irritano gli utenti. La mancanza di un confronto faccia a faccia fa credere agli utenti di essere invulnerabili e irriconoscibili dietro il proprio schermo, portando così molti di loro a lasciarsi andare, ad esempio, maltrattando, insultando e minacciando altri fruitori delle varie piattaforme e danneggiando il loro benessere quotidiano (fisico e psicologico). 

I primi segnali di allarme 

Ma quali sono i segnali per capire se i social media stanno avendo un impatto sulla tua salute mentale? Sicuramente, come detto poco prima, uno degli indicatori è il passare più tempo sui social che nel mondo reale, ma poi ci sono dei segnali che agli occhi di una persona comune possono passare inosservati, come ad esempio fare paragoni tra te e gli altri nei social media (in particolare confrontare il proprio corpo e stile di vita con quello degli influencers), essere vittima di cyberbullismo, distrarsi a scuola/lavoro, soffrire d’insonnia, non avere tempo per riflettere su se stessi, fino ad arrivare ad atti più plateali come intraprendere comportamenti rischiosi solo per ottenere dei likes.

Gli zombie dello smartphone

L’idea di rimanere senza i social diventa preoccupante per i giovani, che sono stati abituati fin da neonati al mondo digitale e iperconnesso dei giorni nostri. Per gli adolescenti, ma in realtà anche per le persone più adulte, i social rappresentano uno strumento per essere sempre aggiornati in ogni ambito, dall’attualità ai programmi e alle serie tv su scala mondiale.

Camminare per strada con gli occhi fissi sullo schermo, la schiena ricurva, la testa china ed un andamento lento, sono tutte caratteristiche dello  “zombie dello smartphone”, un fenomeno sempre più attuale, specialmente tra i più giovani. 

Spesso si prende in mano il cellulare con lo scopo di controllare i messaggi, cambiare la musica o scorrere i post nei social, venendo completamente catturati tanto da perdere completamente il contatto con la realtà. Ma sono tanti i rischi e le ripercussioni negative che ne derivano. Primo fra tutti, la cattiva postura, che implica la diminuzione del livello di attenzione, che porta ad ignorare eventuali pericoli comuni che si trovano per strada. Non si tratta però di una tendenza esclusivamente dei giovani, ma anche degli adulti stessi, ovvero di coloro che per primi dovrebbero fungere da modello, insegnando alle generazioni successive come utilizzare gli strumenti tecnologici con moderazione e sicurezza. 

Solo i ragazzi sono zombie dello smartphone?

Al contrario di quanto si pensi, non solo i giovani sono soggetti a questo tipo di fenomeno, in effetti, anche molti genitori si trovano in situazioni del genere. L’accesso alla rete internet in ogni momento della giornata, permette a chiunque di controllare email, messaggi, profili social e molto altro in brevissimo tempo, attività talmente costanti da aver creato, nel corso degli ultimi anni, la generazione dei “genitori distratti”, talmente ossessionati dal loro dispositivo tecnologico da non monitorare cosa stanno facendo nel frattempo i figli. Da un’indagine su circa 2000 genitori in Gran Bretagna infatti è emerso che:

  • 1 genitore su 4 ha ammesso di non essersi accorto di un imminente pericolo corso dal figlio a causa del cellulare, almeno una volta;
  • Il 15% di questi ha inoltre dichiarato di aver attraversato la strada, assieme al proprio figlio, senza dare importanza alle macchine che sarebbero potute giungere;
  • L’85% ha affermato di controllare lo smartphone, non appena sente la notifica, per capire di cosa si tratta.

Un secondo esperimento, sempre riguardante la relazione genitori distratti dal cellulare e figli, è stato condotto negli Stati Uniti, dove si è visto come il 30-40% degli adulti distoglievano l’attenzione dai più piccoli che giocavano al parco, non pensando alla sicurezza di questi ultimi. La cosa più importante che è emersa, è che, proprio durante il momento di distrazione dei genitori, i figli mostravano una maggiore probabilità di avere comportamenti più rischiosi, come camminare su una trave, saltare dall’altalena in movimento, colpire gli altri bambini con sassi e sabbia. I piccoli avvertono la distrazione e la disattenzione degli adulti, che pur essendo nello stesso luogo, spesso preferiscono trascorrere del tempo con il cellulare o con pc.

Indubbiamente, tali comportamenti sono davvero rischiosi e potrebbero portare a conseguenze irrimediabili. Risulta quindi d’obbligo trovare dei metodi efficaci alla risoluzione del problema, adatti sia agli adulti che ai giovani.

SOLUZIONI AL PROBLEMA

Benefici ed effetti negativi delle piattaforme digitali

Possiamo dire che i social media influiscono positivamente o negativamente nella nostra quotidianità? 

È possibile differenziare i social media per funzione, tipo di piattaforma e pubblico, costituendo così uno spazio in cui persone, aziende e organizzazioni convergono ed interagiscono. Poiché gli esseri umani sono intrinsecamente un essere sociale, come ha affermato il filosofo Aristotele, non sorprende che tali strumenti siano stati creati per stabilire una connessione. Tuttavia, il loro impatto è andato ben oltre i limiti delle comunicazioni tradizionali. 

Quali sono i fattori positivi? La maggior parte delle persone utilizza i social network per rimanere in contatto con gli altri o per mantenere vive le relazioni con amici e familiari, consentendo a chiunque di interagire e parlare in tutto il mondo. I social media non sono solo tradizionali mezzi di informazione per veicolare degli eventi, ma sono utilizzati per diffondere notizie (ad esempio basta una semplice ricerca nei social network per ricevere direttamente tutte le informazioni che vogliamo). 

Questi spazi, il cui obiettivo iniziale consisteva nel condividere foto e video con i nostri amici e familiari, si sono evoluti fino a trasformarsi in piattaforme multifunzionali che possono essere utilizzate nella compravendita di prodotti e servizi, sia all’interno della piattaforma stessa, che indirizzando i clienti al loro sito web. I social network, infatti, sono diventati i migliori alleati per liberi professionisti, imprenditori e piccole imprese al fine di entrare in contatto con clienti nuovi ed esistenti. 

Uno studio pubblicato su Common Sense Media ha rilevato che il 29% degli adolescenti si sente meno timido e più estroverso utilizzando i social network. Inoltre, il 20% ha affermato che la fiducia in sé, la visibilità e la comprensione degli altri è aumentata dopo aver utilizzato queste piattaforme.

Quindi, i social media sono ormai diventati parte integrante della nostra vita, cambiando radicalmente il nostro modo di agire e di pensare. Siamo la generazione dell’“always on”, ovvero siamo distratti, in quanto sprechiamo continuamente ore durante il giorno per controllare mail e account social superflui. Questa cultura, aggravata dalle continue notifiche dello smartphone, ci rende stressati, distratti e meno produttivi. 

Secondo una ricerca condotta dalla University of California, si stima che le persone siano interrotte nel loro posto di lavoro mediamente ogni 180 secondi, trascorrendo più di 120 minuti per recuperare il tempo perso a causa delle distrazioni di natura digitale, e, secondo il McKinsey Global Institute, dedichiamo il 28% del nostro tempo di lavoro alla gestione della posta elettronica, ovvero più di 11 ore a settimana. Qual è il costo dell’interferenza digitale? Possiamo dividerlo in costi di tipo professionale, personale e fisico:

  • costi professionali: in termini di impatto quantitativo/qualitativo che le distrazioni digitali hanno sulla performance.
  • costi personali: in termini di relazioni interpersonali e di come queste vengono segnate dalla cultura “always on”
  • costi fisici: la cultura del 24/7 si ripercuote sul fisico, soprattutto dal punto di vista emozionale.

Il Counterpoint Research ha condotto uno studio su 3.500 utenti in tutto il mondo per determinare la frequenza con cui utilizziamo i nostri smartphone. La ricerca mostra che più di una persona su quattro (il 26%) utilizza il proprio smartphone per 7 ore al giorno. Ciò significa che un quarto delle persone trascorre poco meno della metà della propria giornata davanti a un dispositivo. 

Come disconnettersi dalle piattaforme digitali

In un mondo digitale che vive secondo una cultura sempre attiva, è possibile “disconnettersi” da se stessi? I dati precedentemente citati hanno scosso molti ricercatori e accademici, che ora stanno cercando di comprendere come funzioni il digital wellbeing, ovvero la capacità di costruire e mantenere un sano rapporto con la tecnologia, utilizzandola solamente per raggiungere i propri obiettivi ed evitando di farsi distrarre o ostacolare da essa. Se fossimo in grado di sfruttare appieno il potenziale della tecnologia, riusciremmo a trarne vantaggio senza perderne il controllo o incorrere in pericolosi riscontri. La tecnologia digitale, infatti, si è evoluta senza una sufficiente considerazione dell’empatia sociale e dei pregiudizi intrinsechi. 

Per risolvere queste problematiche Google Digital Training ha messo a disposizione degli utenti un corso di digital wellbeing con contenuti scritti e brevi video, in cui si racconta l’importanza dell’avere un rapporto sano con la tecnologia, imparando ad avere maggiore consapevolezza del modo in cui si utilizza internet, scoprendo, allo stesso tempo, diversi strumenti che possono aiutarci a sviluppare e mantenere sane abitudini tecnologiche. Trascorrendo molto del nostro tempo online è fondamentale che la tecnologia migliori la nostra vita, anziché distrarci. 

Uno dei problemi principali è legato al tempo: come possiamo diminuire il tempo trascorso con i nostri dispositivi? Come possiamo fare in modo che le notifiche non ci distraggano costantemente? 

Ci sono numerose applicazioni, come siempo, space app, rescue time, che permettono di limitare l’uso di alcune app, o del dispositivo stesso, per tutto il tempo in cui è necessario rimanere concentrati. iPhone, invece, ad esempio, permette ai suoi utilizzatori di servirsi di diverse strategie come: 

  • impostare il limite temporale per le applicazioni scelte;
  • la modalità “non disturbare”, dove lo schermo non mostrerà le notifiche di nessun tipo (nemmeno le chiamate), a meno che non venga toccato;
  • full immersion” permette alle persone di non distrarsi, personalizzando le impostazioni si potrà scegliere quando ricevere messaggi e notifiche, e anche far sapere alle persone che momentaneamente non si è disponibili.

Ormai, per le persone di tutte le età diventa sempre più difficile resistere alla tentazione dello schermo illuminato. Quindi, è stata ideata l’app Hold, nata con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo degli smartphone. L’app, infatti, “ti paga” se non lo utilizzi. Essa nasce dall’idea di tre studenti universitari della Scandinavia, che hanno riflettuto sull’eccessivo potere che questi social hanno su di noi. Ma come funziona? È un’app gratuita che, una volta attivata, fa partire un timer che registra il tempo trascorso in cui non è stato toccato lo schermo; ogni 20 minuti si accumulano punti da poter spendere in caffè, cibo, biglietti per il cinema, cancelleria e molto altro. L’app sta avendo un grande successo, ma questo segnale fa capire come per molti non sia facile rinunciare al cellulare autonomamente. Circa 8 giovani su 10 hanno dichiarato di avere paura che il loro cellulare si scarichi o non prenda quando essi si trovano fuori casa. Il 50 % di questi, inoltre, sperimenta ansia, fastidio e rabbia nei casi in cui ciò accade. L’utilizzo di questa applicazione fa riflettere su quanto le persone siano attaccate allo smartphone, e quanto per loro sia una sfida riuscire a rinunciarvi. 

Samsung ha dedicato una sezione nel sito ai “5 valori del benessere digitale” in cui spiega come monitorare l’utilizzo delle app attraverso il riepilogo settimanale e come ridurre le distrazioni dello smartphone mentre stiamo guidando grazie alla “modalità guida”, e bloccare le notifiche di notte per dormire meglio grazie alla “modalità sonno”. Molti utenti per distaccarsi dal proprio telefono per almeno 24 ore e avere un po’ di tempo per loro hanno optato per un contenitore con serratura a tempo. Come funziona? La persona dovrà depositare il dispositivo all’interno del contenitore che verrà bloccato e non potrà più essere aperto fino allo scadere del tempo precedentemente impostato. Ciò rappresenta un modo alternativo per impedirci di utilizzare il dispositivo anche solo per vedere per un attimo le notifiche.

Ma, concretamente, come possiamo riappropriarci della nostra attenzione?

Come visto precedentemente, diversi studiosi hanno affermato che l’utilizzo dei dispositivi digitali ha diminuito la concentrazione delle persone, che tendono così a distrarsi più facilmente. Come possiamo restaurare la nostra attenzione? Per fare ciò è necessario fare nuove esperienze, diverse da ciò che abbiamo vissuto in precedenza. Il neuroscienziato Adam Gazzaley esplora due dimensioni su cui lavorare per ripristinare l’attenzione:

  • Stimolare il cervello, facendo delle attività che portino le nostre reti neurali a lavorare per essere concentrati come: lettura, meditazione, esercizi cognitivi, movimento fisico.
  • Cambiare il proprio comportamento, introducendo abitudini e regole nella propria quotidianità che ci aiutino ad essere concentrati.

Grazie alla neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di plasmarsi e quindi di accrescere o diminuire le proprie reti neurali, possiamo allenare le nostre capacità cognitive e, quindi, dedicare delle risorse per addestrare il nostro cervello ad una maggiore attenzione e concentrazione quando lo desideriamo. 

Sempre più frequentemente le persone sentono la necessità di staccare la spina dai dispositivi, di prendersi una pausa per rilassarsi, mettere ordine nei propri pensieri e spesso lo fanno tramite weekend “digital detox”, un’esperienza tanto semplice quanto nuova come non avere il cellulare a portata di mano per qualche giorno: sconnettersi dalla rete e dai social network per connettersi con sé stessi e con il luogo in cui ci si trova. Qualcosa che una volta era normale, ai giorni nostri diventa straordinario. Una nuova categoria di viaggio, un’esigenza nata in quest’epoca, dal nostro essere sempre reperibili in rete. I partecipanti hanno dichiarato due benefici in particolare. Primo tra questi, l’opportunità di riflettere sui propri automatismi d’uso della tecnologia, perché solo una volta che non si ha più il cellulare in mano si capisce quanto i piccoli gesti della nostra quotidianità siano legati ad esso. Secondo, l’occasione di conoscere e interagire con altre persone senza che nessuno sia distratto dalle proprie notifiche, da un eventuale controllo dei social, o da occhiate alle mail. Alla riconsegna del cellulare la maggior parte delle persone non lo accende subito, ma aspetta e rimanda spesso di qualche ora. “Aver trascorso qualche giorno in un modo così nuovo per i nostri tempi fa assaporare il relax della disconnessione” affermano coloro che hanno vissuto tale esperienza.

Spesso, inoltre, si è preoccupati per i più giovani, essendo essi  più fragili e deboli, perché tendono ad imitare e a credere facilmente a tutto ciò che vedono. Ma esiste una soluzione a questo problema? Secondo l’ingegnere capo di Google, Ray Kurzweil, il 2045 sarà l’anno in cui si raggiungerà la cosiddetta “singolarità tecnologica”, cioè il momento in cui il progresso tecnologico arriverà ad una velocità tale da cambiare radicalmente il mondo per come lo conosciamo e in cui l’intelligenza delle macchine supererà di diverse misure quella dell’uomo. Lo psichiatra francese Serge Tisseron lavora sull’educazione digitale dei più piccoli nel suo libro “3-6-9-12. Diventare grandi all’epoca degli schermi digitali” dove riporta una serie di strategie puntuali per tutte le età, fino alla pre-adolescenza. Tisseron identifica tre pilastri su cui basarsi per educare i più piccoli all’uso della tecnologia, all’interno dei quali è possibile inventarsi abitudini, prassi e modalità adeguate alla propria famiglia: 

  • accompagnamento, cioè vivere l’uso dei media digitali insieme al proprio figlio/a;
  • alternanza, cioè fare attenzione a variare la tipologia di attività che i bambini svolgono nell’arco della giornata dando spazio ad attività digitali ma anche ad altre analogiche;
  • auto regolazione, cioè allenare i più piccoli a darsi un limite, a comprendere quando è il momento di concludere il videogioco, ad esempio. 

L’educazione digitale

Al giorno d’oggi c’è la necessità di fare educazione digitale. L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ritiene che “diventare digitalmente competenti sia essenziale per consentire ai giovani di partecipare efficacemente a una società e ad un’economia digitalizzate; non dedicarsi a queste competenze rischia di aumentare il divario digitale e incentivare le disparità”.

La definizione comunitaria contenuta all’interno dell’European Digital Competence Framework  for Citizen, cita:  ”La competenza digitale implica l’utilizzo in maniera sicura, critica e responsabile, e il coinvolgimento, delle tecnologie digitali per l’apprendimento, al lavoro e nella partecipazione alla società”. Questa è stata accolta dall’Italia ed è costituita da 5 principali aree che racchiudono 21 sotto-categorie:

1- Alfabetizzazione su dati ed informazioni

  • possibilità di navigare, filtrare informazioni e contenuti
  • comprensione di dati, informazioni e contenuti digitali 
  • gestione di dati, informazioni e contenuti digitali 

2- Comunicazione e collaborazione

  • possibilità di relazionarsi con gli altri attraverso le tecnologie digitali
  • condivisione delle informazioni attraverso le tecnologie digitali 
  • esercitare la cittadinanza attraverso le tecnologie digitali
  • collaborazione attraverso le tecnologie digitali 
  • netiquette
  • gestione dell’identità digitale

3- Creazione dei contenuti digitali

  • idoneità a sviluppare contenuti digitali 
  • rielaborazione dei contenuti digitali 
  • protezione della sicurezza e del benessere
  • protezione dell’ambiente

4- Sicurezza

  • protezione dei dispositivi
  • protezione del benessere e della salute
  • protezione dei dati personali e della privacy
  • protezione dell’ambiente

5- Risolvere i problemi

  • capacità di trovare in rete possibili soluzioni
  • individuare risposte tecnologiche ai bisogni
  • utilizzare le tecnologie in modo creativo
  • individuare le differenze 

Ogni competenza che compone quella digitale è costituita da otto livelli di padronanza, ciascuno dei quali è basato sulla complessità dei compiti e sulla capacità, da parte dell’interessato, di svolgerli autonomamente.

Tutto ha inizio con i compiti meno difficili, che sono svolti grazie all’affiancamento di una guida e che necessitano semplicemente della capacità cognitiva di ricordare i passaggi e ripeterli. 

Successivamente, si passa ai compiti maggiormente difficoltosi, durante i quali si vanno a risolvere i problemi complessi, caratterizzati da vari fattori di interazione e dalla proposta di nuove idee che richiedono memoria, comprensione, ma soprattutto creatività. L’acquisizione di competenze di tipo digitale ci rende persone consapevoli e capaci di contribuire attivamente alle dinamiche sociali. Diventa, quindi, di fondamentale importanza far sì che sin dalle aule scolastiche si inizino a diffondere conoscenze riguardanti l’ambito digitale.

In Italia, il Ministero dell’Istruzione ha redatto il Piano Nazionale Scuola Digitale, ai sensi della Legge 107 del 2015. Esso è il documento volto al lancio di una strategia di innovazione della scuola italiana con lo scopo di far raggiungere al sistema educativo di quest’ultima, un nuovo posizionamento nell’era digitale.

Secondo quanto detto dal Ministero “Questo Piano risponde alla chiamata per la costruzione di una visione di Educazione nell’era digitale, attraverso un processo che, per la scuola, sia correlato alle sfide che la società tutta affronta nell’interpretare e sostenere l’apprendimento lungo l’intero arco della vita (life-long) e in tutti contesti della vita, formali e non formali (life-wide)”.

Come far fronte alla distrazione che non dipende dalla tecnologia?

Come abbiamo capito, la distrazione è la malattia del secolo e non deriva esclusivamente dall’utilizzo della tecnologia ma anche dall’ambiente che ci circonda; ci ruba le energie e tempo necessari a fare bene il nostro lavoro. Esistono alcune semplici strategie che permettono di guardarci dentro e risolvere questo problema:

  • tenere in ordine l’ambiente di lavoro o studio: favorisce concentrazione e calma. Iniziare con l’ordine più superficiale della nostra scrivania, passando poi anche a quello del desktop, creando una cartella con tutti i file da ordinare successivamente. In pochi movimenti e click avremo una sensazione di ordine e pulizia. 
  • rallentare: il tempo non sembra mai abbastanza per le mille scadenze che bisogna rispettare. Riuscire a risparmiare tempo è sicuramente una risorsa fondamentale, ma non se questa implica fare le cose in modo sbrigativo ed errato. Ci sei tu e l’attività che devi svolgere in quel preciso momento; la focalizzazione e concentrazione porteranno ad una maggiore velocità senza il bisogno di affrettarsi. Calma e concentrazione sono per qualsiasi attività più efficaci della fretta.
  • trovare il ritmo: uno degli errori più comuni è quello di calarsi in sessioni di studio e lavoro lunghissime, senza pause e senza tempo libero. Concentrarsi necessita energia, e quest’ultima non è sicuramente infinita. Per sostenere una buona rendita produttiva nel breve, ma anche e specialmente nel lungo periodo, è necessario suddividere la giornata in diversi momenti: il tempo per studiare o lavorare, quello per uscire e quello per permettersi qualche distrazione.

Dare il giusto ritmo alla nostra giornata ci permette di ottenere come risultato il massimo della produttività e il minimo della stanchezza.

CONCLUSIONI 

In un mondo sempre più digitalizzato è importante riuscire ad avere la capacità di trovare un equilibrio tra mondo reale e mondo digitale, anche se questi due sono, ormai, strettamente integrati tra loro. 

Esistono varie soluzioni e attività che possono aiutarci a utilizzare la tecnologia in modo consapevole, ma essendo ancora ignari dei problemi che ci sta causando, difficilmente “chiediamo aiuto” o cerchiamo alternative per diminuire l’utilizzo dei dispositivi digitali. 

La disinformazione su questa tematica relativa al “benessere digitale”, probabilmente, ci porta a non dare peso ai disagi dovuti alla tecnologia, e a cercare soluzioni solamente nel momento in cui arriviamo al limite. 

Come vivremo la distrazione digitale tra 20 anni? Sta a noi decidere come gestire il nostro rapporto con i dispositivi digitali, se continuare ad essere persone passive, che si fanno condizionare costantemente dai suoni delle notifiche e dallo schermo illuminato, o se diventare persone attive, consapevoli delle distrazioni e delle problematiche fisiche che questa situazione può causare, impegnate nella ricerca di una soluzione adeguata, e soprattutto proattive e in grado di comprendere quando sia arriva al punto di non ritorno.

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AUTRICI

Sono Anna Baratella, ho 24 anni e sono laureata in Scienze e Tecniche della Comunicazione Grafica e Multimediale presso lo IUSVE. Attualmente frequento il primo anno di Web Marketing & Digital Communication e lavoro come social media manager presso un’agenzia di comunicazione a Mestre. Le mie passioni più grandi sono la fotografia e il video che mi accompagnano in ogni mio viaggio professionale e non.

Sono Beatrice Basso, ho 22 anni e sono laureata in Commercio Estero e Turismo presso l’università Cà Foscari di Venezia. Attualmente studio Web Marketing & Digital Communication presso lo IUSVE di Mestre, facoltà che ho scelto per scoprire questo nuovo mondo del digitale, sempre più attuale negli ultimi anni. La mia più grande passione in assoluto è viaggiare, in Italia ma soprattutto all’estero, perché mi permette di scoprire sempre nuove culture. 

Mi chiamo Gaia Ferrara, ho 22 anni e sono laureata in Economia presso l’Università degli Studi di Padova. Al momento frequento il primo anno di magistrale in Web Marketing & Digital Communication allo IUSVE, grazie alla quale sto approfondendo un ambiente che mi ha sempre attratta moltissimo, ossia quello del marketing. Oltre alla mia grande passione per quest’ambito, adoro stare in compagnia, scoprire cose nuove e visitare posti diversi in ogni occasione. 

Sono Margherita Rossato, ho 24 anni e frequento il primo anno di magistrale in Web Marketing & Digital Communication allo IUSVE, università nella quale mi sono precedentemente laureata in Scienze e Tecniche della Comunicazione Grafica e Multimediale. Attualmente, lavoro in un’agenzia di comunicazione a Mestre che mi permette di coltivare alcune delle mie più grandi passioni: la fotografia, il video e il digital marketing.















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