Correva l’anno 1776, quando tredici colonie americane proclamarono la loro indipendenza dall’impero britannico. Ma non solo. Sancirono anche che tutti gli uomini, proprio tutti, hanno un bagaglio di diritti che nessuno può mai togliere:
“Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità.”
Parlare di diritto alla vita e alla libertà, certo non era scontato nel ‘700, ma quello che è ancora più sconvolgente è il riferimento alla felicità. Ogni persona nasce con il diritto, inscritto nel suo DNA, ad essere felice.
Sommario
Ma che cosa si intende per felicità?
Se assumiamo le definizioni dizionaristiche, la “felicità” viene inquadrata come lo stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri, o come la compiuta esperienza di ogni appagamento. In buona sostanza, si tratterebbe di un insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto in grado di procurare benessere e gioia per un periodo più o meno lungo della nostra vita. Per lungo tempo, grazie alla retorica consumistica la felicità era legata all’equazione “+denaro = +cose = +felicità”. Ma siamo proprio sicuri funzioni così?
Il paradosso della felicità
A cambiare le carte in tavola, arriva nel 1974, Richard Easterlin, professore di economia all’Università della California meridionale e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, con la teorizzazione del paradosso della Felicità. Secondo Easterlin, la vera felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. L’esperto di economia, nelle sue ricerche, ha osservato che quando aumentano reddito e benessere economico la felicità umana aumenta. Questo vale solo fino ad un certo punto, e poi la curva della felicità comincia a diminuire seguendo una curva ad U rovesciata.
Lo psicologo israeliano Daniel Kahneman spiega questo paradosso attraverso la teoria dell’adattamento. Quando acquistiamo un nuovo bene di consumo viviamo un miglioramento temporaneo, ma poi la nostra sensazione di benessere ritorna al livello precedente con un esempio molto semplice. Questo perché ci adattiamo in poco tempo alla nostra nuova condizione e dopo un po’ desideriamo cambiare e avere ancora di più. Immaginiamo alla felicità di un appassionato nel comprare l’ultimo modello di smartphone uscito sul mercato. All’inizio ci sarà un enorme soddisfazione e una sensazione di benessere molto forte. Dopo qualche anno il mezzo diventerà obsoleto o avrà dei problemi di funzionamento e arriverà il momento di sostituirlo. A questo punto la sensazione di benessere scompare e la persona ne desidera uno ancora migliore. Allo stesso modo funziona il paradosso della felicità: le nuove aspirazioni annullano l’effetto di benessere legato all’incremento di reddito.
Ma per essere felici che cosa ci serve?
Se il denaro e i beni materiali ci regalano solo fugaci attimi di benessere, allora entra in crisi anche l’impostazione tradizionale dei mercati indirizzati alla crescita misurata sulla base del PNL/PIL. È necessario trovare una nuova maniera per costruire una felicità duratura. Pur continuando a tenere in considerazione il PIL, ISTAT e dal CNEL hanno cominciato a valutare un nuovo indicatore, BES. Il Benessere Equo e Sostenibile si compone di un set di indicatori per valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, come ad esempio fa il PIL, ma anche sociale e ambientale. Questo insieme di indicatori è corredato da misure di disuguaglianza e sostenibilità, che quantificano la distribuzione del reddito disponibile e la sostenibilità ambientale del benessere.
Quindi il benessere non è più rilegato solo alla dimensione monetaria, ma sono state individuate diverse macro aree che concorrono al raggiungimento della felicità:
- Salute
- Istruzione
- Lavoro
- Sicurezza personale
- Rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica
- Sostenibilità.
I soldi non fanno la felicità per davvero allora
Se per definire la felicità non bastano i soldi diventano importanti le sue relazioni sociali, i suoi legami con gli altri, le amicizie, la situazione famigliare, gli hobby e le passioni, lo stato di salute, il lavoro svolto e la stabilità emotiva. Ciò non significa che i soldi non contino nulla, ma semplicemente che per vari motivi non possono garantirci una felicità profonda e completa. Lo testimonia anche il fenomeno delle Great Resignation, la tendenza dei licenziamenti volontari in massa. Il fenomeno si è sviluppato nel periodo di emergenza Covid-19 perché molte persone hanno iniziato a dare maggiore importanza alla qualità del lavoro e della vita privata, mettendo al primo posto i desideri di autorealizzazione e di crescita personale e sociale, rispetto a uno stipendio sicuro e puntuale. La più recente conferma anche in Italia arriva dall’ultimo Work Trend Index: più di un italiano su due (54%) è propenso a dare priorità alla propria salute e benessere rispetto al lavoro. E più di un terzo (37%) dichiara che per questa ragione valuterà di cambiare lavoro nel prossimo anno, con un picco tra le fasce più giovani (49% della Gen Z e dei Millennials). La Great Resignation è la dimostrazione che i soldi non fanno la felicità, anzi, e che valori come la propria salute e il proprio benessere la fanno da padroni.
Bibliografia
Bauman Z., Consumo, dunque sono, Editori Laterza, 2011.Easterlin, R A. Does Economic Growth Improve the Human Lot? (1974) in Paul A. David and Melvin W. Reder, eds., Nations and Households in Economic Growth: Essays in Honor of Moses Abramovitz, New York: Academic Press, Inc.
Kahneman, D. (2004), Felicità oggettiva, in Bruni e Porta (2004).
Kahneman D., Krueger A.B., Schkade D.A. et al., A survey method for characterizing daily life experience. The day reconstruction method (Drm), «Science», 2004, 3, pp. 1776-80.
Sitografia
https://www.treccani.it/enciclopedia/economia-e-felicita_%28XXI-Secolo%29/
https://temi.camera.it/leg17/temi/benessere_equo_e_sostenibile
https://www.microsoft.com/en-us/worklab/work-trend-index
https://www.mckinsey.com/business-functions/people-and-organizational-performance/our-insights/great-attrition-or-great-attraction-the-choice-is-yours
Autrice
Sono Caterina Padovani, ho 23 anni e sono laureata in Scienze della Comunicazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ora studentessa di Web Marketing & Digital Communication presso l’Istituto Universitario Salesiano IUSVE di Verona.
Ho una grande passione per la comunicazione digitale, il mondo del marketing e quello dei viaggi.