Sommario

Arte e Cultura nell’era digitale: tra criticità e nuove opportunità

Tra tutti i settori coinvolti dall’impatto della digitalizzazione, quello dell’arte e della cultura è diventato uno dei casi più rappresentativi per via del suo complesso percorso di evoluzione e adattamento alla realtà digitale. L’aspetto essenziale, che è bene sottolineare è quello della comunicazione e divulgazione di arte e cultura, ambiti in cui le nuove tecnologie e la digitalizzazione giocano ora più che mai un ruolo cruciale. Tecnologia e innovazione digitale sono dei fattori primari per chi si occupa di Beni Culturali, tanto più per chi opera nel settore delle Industrie Culturali e Creative. Questo perché la digitalizzazione è riuscita a fare dei passi importanti. Notiamo infatti sempre più quanto la rivoluzione digitale ha trasportato l’arte e la cultura al di fuori di musei e gallerie, oltre le pagine dei libri, rendendole a portata di click per poter raggiungere un pubblico più ampio ed eterogeneo. Le istituzioni museali e culturali hanno attuato un ripensamento delle proprie strategie di comunicazione e delle attività legate agli usi e agli strumenti dove multimedialità e interattività sono ormai diventate elementi indispensabili per la promozione culturale. Una necessità e un’opportunità per un numero sempre più alto di realtà museali, anche in Italia. Solo negli ultimi anni, le istituzioni culturali hanno iniziato a comprendere quanto sia importante essere presenti sul web, specialmente quando si cerca di migliorare la propria comunicazione, di avere delle relazioni con il pubblico e di valorizzare le opere d’arte e i musei in generale. Essere in grado di gestire un sito web, rendendolo più interattivo, saper curare con costanza i propri profili sui social networks, sui blog o sulle app digitali, si è resa una questione essenziale: le organizzazioni culturali e creative con l’adozione dei nuovi media si sono adeguati a quelli che sono gli sviluppi e i trend della società contemporanea, in cui le persone utilizzano ormai in maniera assidua le tecnologie digitali disponibili sul mercato per svolgere ogni genere di attività, dal tempo libero, a quelle lavorative.

Se è vero che la digitalizzazione occupa un ruolo sempre più dominante all’interno della nostra società, non possiamo negare che, in Italia, i settori dell’arte e della cultura sembrano aver reagito con maggior fatica a questo cambiamento. Possiamo affermare che le trasformazioni più significative sono avvenute per lo più all’interno di grandi realtà museali che sono riuscite ad affermarsi con successo sui territori nazionali ed internazionali. Tra i musei più social al mondo, a farla da padrone è il MoMA, con poco più di 5 milioni di follower su Instagram. Seguono il Louvre (poco meno di 5 milioni), il Metropolitan Museum of Art (4,1 milioni), la Tate Modern (4,1 milioni), il Guggenheim Museum (2,6 milioni); al contrario, è emersa una resistenza per le realtà museali più piccole e locali (di cui l’Italia è assai ricca) che tendenzialmente sono poco conosciute e non hanno grandi flussi di visitatori, e che ancora si dimostrano poco reattive al trend digitale. Per cercare di raggiungere questa nuova consapevolezza, le istituzione culturali e creative si sono trovate e si trovano tuttora di fronte ad una serie di criticità comuni che possono risultare più o meno complesse da affrontare nell’ambito delle piccole realtà del panorama culturale: adottare strategie innovative per attrarre sempre più visitatori e nuovi pubblici e rendere le proprie iniziative culturali più facilmente accessibili. Si tratta di azioni che possono trovare nel digitale degli ottimi strumenti di valorizzazione e di comunicazione ma che necessitano di competenze adeguate, di risorse e, soprattutto, di investimenti finanziari.

Quel che è certo, però, è che si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, prima che economica, incentrata sull’esigenza di “uscire” dalla limitazione della struttura fisica del museo, per integrare, interagire, condividere, attraverso tutti gli strumenti di promozione e condivisione offerti dalla rivoluzione digitale.

SHOCK-CULTURA COVID-19 e un nuovo un piano strategico di innovazione e sviluppo digitale per i musei

A causa dell’impatto esercitato dalle misure di distanziamento sociale e contenimento della pandemia Covid-19, l’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha decretato l’arte, lo spettacolo e le attività ricreative come i settori tra i più a rischio di fallimento. I settori culturali e creativi, insieme a quelli del turismo e delle attività legati ad eventi e luoghi fisici (musei, arti performative, musica dal vivo, festival, cinema, teatro ecc.), sono stati, infatti, tra i più colpiti dalla crisi economica generata dalla Pandemia da Covid-19. La mancata presenza fisica di visitatori e l’arresto di ogni attività in presenza hanno influito gravemente sulla redditività delle istituzioni culturali e la loro autonomia. È pur vero, però, che alcuni dei settori operanti nell’industria culturale sono riusciti a trarre un certo vantaggio da questa situazione. Si sono dotate di un piano di innovazione digitale per la promozione della cultura, soprattutto in chiave di avvicinamento al pubblico. E in un Paese come il nostro, ricco di beni archeologici, artistici e culturali, che ruolo può avere lo sviluppo digitale per la preservazione e la promozione del patrimonio complessivo? È una domanda che tante realtà museali si sono posti, accettando nuove sfide a chi gestisce musei, siti turistici e gallerie d’arte.

Se con i musei aperti, il digitale rappresentava solo un complemento all’esperienza di visita, dopo la loro chiusura il digitale si è rivelato l’unico strumento necessario per poter offrire i contenuti culturali. Da strumenti di comunicazione e preparazione alla visita in loco, si sono trasformati in veri e propri mezzi di erogazione del contenuto. Infatti grazie al lockdown, il livello di interesse da parte delle istituzioni per le attività online è aumentato, consapevoli di poter offrire contenuti mirati alla conoscenza delle opere e dei luoghi d’arte e di poter interagire con il pubblico, incrementando così il numero degli utenti che seguono le pagine social dei musei. La sfida dell’offerta culturale, quindi, si gioca anche a colpi di app e follower e oggi assistere alla bellezza dei beni artistici e culturali non può più essere un’esperienza di visita monodirezionale.

Nuove consapevolezze durante la pandemia: il caso Gallerie degli Uffizi e Museo del Novecento di Milano

Per dare un esempio di una nuova offerta museale sul web, è utile rivolgere la nostra attenzione al caso delle Gallerie degli Uffizi, il cui account Instagram, ad oggi, è seguito da poco più di 700mila persone. Fin dalle prime settimane di chiusura si è contraddistinta per la costante presenza online. Le Gallerie degli Uffizi hanno predisposto per l’intero periodo di chiusura un vasto catalogo di iniziative e appuntamenti con l’arte: attraverso il sito ufficiale del museo era ed è tuttora possibile accedere ad una serie di percorsi di visita e mostre virtuali, eventi in streaming, video-storie, audio-percorsi e podcast con cui vengono raccontate le Gallerie degli Uffizi e le loro collezioni attraverso spiegazioni e narrazioni coinvolgenti. Il complesso museale fiorentino aveva optato, durante la pandemia, ad un ricorso massiccio ai principali social networks, spopolando infatti sulle piattaforme Facebook, Instagram, Twitter e TikTok grazie ad iniziative e ad apposite strategie di comunicazione indirizzate ai diversi target di pubblico. Su Facebook, per esempio, troviamo le dirette live trasmesse dal museo, la pubblicazione di post e contenuti video di approfondimento e la presentazione di nuove iniziative per coinvolgere il pubblico del web. Tra le tante iniziative #uffizidamangiare, appuntamento settimanale che prevedeva la pubblicazione di un video in cui, ogni domenica, un noto chef o personaggio del mondo enogastronomico sceglieva un’opera a tema (trattasi di nature morte) dalle collezioni Uffizi e, ispirandosi alle pietanze e agli ingredienti ritratti in essa, proponeva o preparava personalmente una sua ricetta di cucina. Sul canale Instagram, invece, sono state inserite le “micro pillole di arte”, brevi video o approfondimenti testuali mirati a far conoscere meglio alcuni capolavori selezionati e incuriosire gli utenti, mentre attraverso le storie venivano pubblicati dei brevi quiz, domande poste al pubblico per stimolarli ad interagire con la pagina del museo. Il canale Tik Tok si rivolge al pubblico dei più giovani attraverso un format di brevi video dai toni scherzosi e del tutto informali.

Il museo del Novecento di Milano ha intensificato le attività sui propri account social, proponendo percorsi di visita online e presentando alcune delle loro opere sul proprio canale Instagram. Hanno affinato le loro proposte in ambito digitale. Hanno proposto iniziative come “C@mpus Homeline” estivi e webinar sul loro sito, e delle guide d’eccezione sono state protagoniste nella loro campagna social “I custodi raccontano”. Hanno inoltre lanciato il KitEdu900, indirizzato ai ragazzi delle scuole primarie e “La call Museo chiama scuola”, attiva fino alla fine del 2021, che voleva approfondire, sebbene a distanza, la storica alleanza museo-scuola, creando dei percorsi appositi dedicati ai ragazzi Under 10.

Sviluppo di una strategia digitale: comunicazione innovativa per i musei

Come emerge da un report del 2019 intitolato “Musei e Social Media. Sviluppo ed Evoluzione dell’interazione utente-museo” – in cui si parte da un’analisi delle attività di comunicazione digitale dei musei più attivi sui social – si può affermare che i contenuti che riscuotono maggiore successo fra gli utenti sono quelli visuali, con una prevalenza sui social dei contenuti video. I post divulgativi stimolano maggiormente il coinvolgimento del pubblico e diventano un mezzo per poter approfondire e apprezzare meglio il museo. Funzionano altrettanto bene i post sui luoghi e i contesti territoriali dei musei. I post che vengono proposti con l’intento di educare su nuovi temi, ottengono risultati migliori in termini di coinvolgimento e gradimento. Un’ottima attenzione, inoltre, riscuotono gli user generated content, i contenuti postati dagli utenti e ricondivisi dalla pagina ufficiale del museo. Sicuramente i social media hanno consentito, e consentiranno sempre più, ai diversi musei di proporre contenuti inediti, interattivi, di ampliare la diffusione, di far conoscere opere inedite e meno note. Questa formula, che integra contenuti visivi e testuali, funziona particolarmente bene per l’arte, grazie anche alla perfetta integrazione tra social media e tecnologie digitali. L’obiettivo in ambito culturale è quello di utilizzare le diverse piattaforme social per mettere in mostra la qualità, l’emozione e creare nuove forme di coinvolgimento e intrattenimento, valorizzando la fruizione dei beni culturali.

Ma quali sono le principali linee guida che un museo deve porsi per attuare una buona strategia digitale in ambito culturale? Innanzitutto è fondamentale tradurre e semplificare temi e concetti che possono risultare complessi per chi, a seconda dell’età e della formazione, non ha mai approfondito questo ambito. Si parla infatti di “democratizzazione dell’arte”, un’arte aperta e alla portata di tutti, generando una comunicazione tra pari. Inoltre, con le tecnologie digitali si ha un’esperienza totalmente diversa di fruizione dei beni culturali: tramite le piattaforme e le tecnologie digitali, l’opera appare decontestualizzata, immersa in uno spazio del tutto virtuale. Lo sviluppo di una nuova strategia digitale non può ignorare quanto avviene ogni giorno attorno a noi. È utile ascoltare, osservare, rimanere aggiornati e al passo con le novità anche sul lancio di nuovi social media. È opportuno che ogni museo individui la propria voce, lo stile che ha deciso di utilizzare in tutti i settori, dalla comunicazione su un sito Internet, a quello all’interno dei social media. Parlare la lingua dei social, anche per un museo, implica adottare le proprie modalità comunicative alle caratteristiche di ciascun mezzo. Un museo che desidera divenire accessibile, attraverso l’operazione di digital storytelling, ha l’opportunità di raccontare eventi, storie e progetti, accompagnando l’utente durante la quotidianità e nutrendolo con una vasta gamma di contenuti. Con il racconto, il museo ha l’opportunità di creare con l’utente un complesso narrativo condiviso, diventando un punto di riferimento informativo.

Nuove competenze e professioni nell’ambito della digitalizzazione del patrimonio artistico e culturale

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza un personale specificatamente dedicato a tutte quelle attività legate all’innovazione digitale: tra i profili sempre più richiesti emergono Social Media e Digital Marketing Manager, Digital curator, Web Developer e Graphic Designer. Oggi più che mai, è necessario per un’istituzione culturale e creativa che desideri sviluppare una strategia efficace sui social, avere risorse impiegate a tempo pieno nella gestione dei social media. Devono essere persone che, oltre alle competenze del settore della comunicazione, siano in grado di conoscere le dinamiche interne dell’istituzione museale e di restituire l’essenza del museo attraverso un linguaggio efficace.

Le strategie di Web Marketing per il settore culturale

Tra gli esempi di strategie legate al Web Marketing in ambito culturale, che dimostrano ancora di più quelli che possono essere gli effetti positivi di un’efficace campagna di comunicazione realizzata attraverso i social networks, è la collaborazione avvenuta nel 2021 tra l’influencer Chiara Ferragni e le Gallerie degli Uffizi di Firenze. La visita al museo della Ferragni, la pubblicazione di foto scattate all’interno sulla propria pagina Instagram, menzionando le Gallerie degli Uffizi ha portato un avvicinamento e una crescita di interesse dei giovani under 25 verso il patrimonio culturale. Tutto ciò grazie a una strategia di comunicazione in rete precisa e sistematica.

Altro esempio, che ha generato molte interazioni del pubblico, è stata la campagna social “Artyouready?” lanciata dal MiBACT (Ministero per i beni e per le attività culturali e per il turismo) nel Marzo 2020. Si trattava di un vero flash mob digitale con cui si invitava il pubblico di Instagram, tra cui influencer, fotografi professionisti e allo stesso modo tutti i visitatori e gli appassionati, a pubblicare per l’intera giornata le proprie fotografie realizzate all’interno di musei, parchi archeologici, biblioteche e archivi storici prima del lockdown, usando gli hashtag #artyouready e #emptymuseum. Postare le immagini è stato un modo per raccogliere e condividere sul web la bellezza e l’unicità del patrimonio culturale italiano in quel momento legato all’emergenza Covid-19.

 

Il fenomeno degli Art Influencer e Art Share

Il mondo dell’arte ha i suoi Art Influencers? Sembrerebbe che il fenomeno stia cominciando a prender piede. I social networks, infatti,  risultano essere punti di approdo per artisti ed esperti della cultura che, condividendo il proprio sapere e sensibilità artistica con gli utenti, continuano ad accrescere il loro numero di seguaci. Crescono le loro micro-community di artisti, collezionisti e professionisti del settore intorno a figure definibili come micro-influencers, capaci di condividere i valori dell’arte con i propri follower. Sebbene i numeri siano ancora inferiori rispetto agli altri settori, anche nel mondo dell’arte esiste la possibilità di raggiungere target mirati con alti tassi di conversione. Postare e ricondividere su Instagram immagini e fotografie delle opere d’arte e dei musei è un nuovo modo di relazionarsi all’arte; ciò permette di esportare l’arte al di fuori dei contesti architettonici tradizionali, innescando nel pubblico processi di interpretazione inediti che aggiungono valore. Tra questi, è noto Roberto Celesti che oggi, con i suoi 261mila follower su Instagram, risulta essere il divulgatore di beni culturali più seguito sui social. Tramite uno smartphone di ultima generazione e la sua voglia di riprendere con i reel il suo concetto di arte “non banale”, questo ragazzo poco più che ventenne, crea dei contenuti dallo stile riconoscibile. Lui stesso afferma:

«Non so precisamente cosa è capitato, ma ho trovato la formula per creare un contenuto interessante. Cerco di portare sulla pagina soprattutto cose non viste, perché l’arte vera non è mai pop. Non faccio vedere il Colosseo, l’angolo di San Pietro che già sai a memoria… I miei reel ti portano nella chiesa che non conosci…”

 

Roberto Celestri

 

Realtà virtuale e realtà aumentata portano a un nuovo concetto di musealità e spazio espositivo

Ad oggi, diventa inevitabile parlare di una nuova forma di museo, il quale viene a tratti stravolto dalle infinite possibilità offerte dalla tecnologia: la realtà virtuale e la realtà aumentata creano nuovi scenari in cui l’arte deve necessariamente adattarsi per rispondere alle esigenze imposte, non solo dal contesto storico in cui ci siamo trovati a vivere, ma soprattutto dalla voglia di novità. E se una delle potenzialità dell’arte è di trasportare il fruitore in un altro mondo immaginario, perché non portare direttamente l’arte all’interno di questo mondo virtuale?

Diverse sono le possibilità in cui questi due ambiti – le realtà museali e quelle virtuali – possono entrare in contatto: da una parte, per rispondere alle necessità derivate dalla pandemia e citate nel capitolo precedente, i musei hanno iniziato a digitalizzarsi e a vivere in virtù delle nuove tecnologie, in modo tale che potessero essere visitati anche a distanza; dall’altra, la struttura fisica e istituzionale del museo rimane nella sua concretezza ma ospita al suo interno opere del tutto innovative, virtuali e coinvolgenti.

Quest’ultimo fattore è stato il principale promotore del cambiamento dell’arte, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e che muovesse qualcosa a livello emotivo ma anche sociale.

All’imperativo della novità l’arte, nel corso della storia, non si è mai sottratta: dalle pennellate imponenti di Van Gogh, alle forme distorte di Picasso, per passare al ready-made di Duchamp. Tutti artisti cardine proprio in virtù del fatto che hanno fatto discutere, hanno comunicato un modo diverso il vedere il mondo e hanno attuato così una trasformazione dell’arte. Quest’ultima è destinata ad evolversi continuamente e, di conseguenza, anche gli spazi espositivi in cui è immersa.

 

Passaggi evolutivi dell’arte prima dell’arrivo della realtà aumentata

Manifestazione di creatività, esteriorizzazione della propria identità, idea che si concretizza: tutti modi di definire l’arte, in contrasto – più o meno apparente – con l’originario significato dato dall’etimologia greca (téchne), per la quale si indicava propriamente la tecnica, quindi l’abilità manuale, la capacità di produrre oggetti e di usare gli strumenti. Proprio a partire da quest’ultimo assunto, risulta fondamentale riflettere sull’evoluzione delle forme d’arte.

L’arte si è sempre modificata in funzione degli strumenti che aveva a disposizione: l’argilla per molto tempo è stata il supporto privilegiato, facendo dell’incisione una vera e propria tecnica artistica; il rosso porpora caratterizzò la popolazione fenicia dai dipinti agli abiti; la perfezione delle assonometrie isometriche, tipiche del Rinascimento, non sarebbe stata possibile senza strumenti come compassi e squadre. Ma i veri movimenti rivoluzionari legati agli strumenti si hanno nel ‘900, dove la riproducibilità tecnica diede avvio a una rinnovata concezione di vedere e criticare il mondo. Lo sviluppo industriale, grazie alla catena di montaggio, si traduce, nell’arte, nella ripetizione seriale dei soggetti, i quali perdono il loro significato originario per acquistarne uno nuovo. La riproducibilità delle opere artistiche ha portato con sé e rivendicato un assioma fondamentale: l’idea creativa viene prima della forma. L’arte deve, per sua natura, adattarsi continuamente alle evoluzioni, essere dinamica e non avere un punto d’arrivo.

Van Gogh – The immersive experience

E con l’esordio della tecnologia? Gli esiti possono essere molteplici, come l’Immersive experience di Van Gogh, una mostra tra digitale e reale che vede come protagoniste le opere in movimento proiettate su grandi pareti. Lo spettatore si trova così letteralmente immerso nel quadro, tra il giallo del grano mosso dal vento e il blu del cielo stellato. Il risultato è semplicemente coinvolgente.

L’arte è quindi, da sempre, manifestazione della cultura del proprio tempo e del proprio luogo e, in virtù di questo parallelismo, si è adeguata oggi alle nuove tecnologie, trasformando il suo stesso modo di essere arte.

Cambiando gli strumenti, i supporti artistici e, di conseguenza, le modalità di espressione, variano anche gli spazi museali.

Come il museo si è adattato alle nuove forme artistiche

Per arrivare alla struttura finale che stanno assumendo ora i musei, è quasi necessario partire dalla definizione stessa di museo, il cui obiettivo principale è quello di preservare le opere affinché – in seconda battuta – possano essere fruite anche dal pubblico. La conservazione è alla base della nascita di queste istituzioni, portando al centro della narrazione le opere stesse, che diventano le uniche e sole protagoniste. Con lo sviluppo di mondi e musei virtuali, il discorso si capovolge: ruolo prioritario è assunto dalle persone, non più passive della comunicazione, ma perno attorno al quale si sviluppa l’intera esperienza artistica. Così, queste nuove realtà, non si configurano come semplici sostituti dei musei istituzionali fisici ma risultano essere complementari ad essi, in una dimensione di multimedialità e soprattutto accessibilità. Basti pensare alle ricostruzioni digitali dell’Acropoli di Atene che, oltre a superare l’ostacolo spaziale permettendo di visitare virtualmente l’architettura greca anche a distanza, oltrepassano anche la dimensione temporale fornendo la versione originaria della struttura con lo splendore di un tempo. Spazio e tempo così si annullano: niente file e tempi di attesa, nessun orario di apertura o spostamenti per raggiungere un luogo, tutto è alla portata di mano, o meglio, di un click.

Ricostruzione digitale dell’Acropoli di Atene

Insieme ai musei, cambiano anche la modalità di fruizione e il ruolo dello spettatore

Come già affermato, queste nuove forme museali rispondono alla necessità di un più profondo coinvolgimento dei clienti/visitatori. I contesti di fruizione così creati agiscono su più livelli, creando contenuti multimediali e soprattutto coinvolgendo diverse attività sensoriali in un’esperienza quanto più immersiva, che va al di là della semplice opera ma agisce su tutto il contesto.

Realtà virtuale e aumentata hanno modificato la modalità con cui ogni fruitore, in modo diverso e personale, si relaziona all’opera d’arte, o meglio, come quest’ultima dialoghi con lo spettatore, rivelandosi come un’entità vitale che comunica, si manifesta e sembra esistere solo in relazione all’altro. Un’opera virtuale senza un visitatore che la guarda non ha ragione di esistere e, anzi, la sua stessa esistenza è messa in discussione. È il visitatore che può attuare spesso modifiche sull’opera stessa, dal colore a modifiche più consistenti, e il tutto in virtù del principio di personalizzazione e centralità dello spettatore. Un esempio concreto ci è offerto dal Norton Museum of Art, in Florida, il quale, «attraverso il lancio di una nuova app di realtà aumentata permette ora ai visitatori una maggiore accessibilità alla sua collezione». L’applicazione, utilizzata dai visitatori durante la visita fisica, permette loro, ad esempio, di apportare modifiche alle sculture, alterandone le espressioni del volto, o di spostare direttamente in un luogo virtuale le opere, assieme alle altre creazioni di realtà aumentata di altri visitatori. Personalizzazione, interattività e multimedialità sono alla base del successo di questo progetto.

Chiara Ferragni
Norton Museum of Art

Il primato decisionale dei visitatori vale anche per gli spazi espositivi del tutto virtuali, in cui spesso non vi sono percorsi prestabiliti e limiti imposti dallo spazio fisico, ma è la stessa persona ad assumere il controllo della visita. Visitando, ad esempio, il tour virtuale dei Musei Vaticani, non si dovrà sottostare all’ordine della disposizione fisica delle diverse  stanze ma si potrà decidere quale percorso seguire, se passare prima dalla “Sala dei Papiri” oppure dalle “Stanze di Raffaello”. Sottinteso resta il fatto che una restituzione virtuale non sarà mai all’altezza della visione dal vivo di questi capolavori. È una tecnologia al servizio dell’opera e non il contrario: l’arte nella forma di realtà virtuale.

Musei Vaticani – Stanze di Raffaello
Musei Vaticani – Museo Profano

Realtà virtuale come arte o arte come realtà virtuale?

Tecnologia e arte talvolta hanno confini indefiniti, si mescolano: non è un caso che il primo spot di Meta sia ambientato in un museo e proprio qui abbia una potenzialità maggiore  rispetto a qualunque altro ambito. Nello spot in questione, i protagonisti si trovano immersi, tra vegetazione e animali 3D, nel quadro che prima stavano osservando, passando da semplici osservatori passivi ad attori protagonisti. Il problema si pone quando la realtà aumentata e digitale si impongono come sostituti a 360 gradi dell’arte fisica o dei musei tradizionali. È fondamentale valorizzare l’arte mediante il digitale e non valorizzare il digitale mediante l’arte: le tecnologie devono essere strumenti a supporto della cultura. Il fulcro dell’esperienza museale, fisica o virtuale che sia, deve essere, sempre e comunque, avvicinare le persone all’arte e alle sue diverse espressioni. Il fine ultimo, non sarà quindi solo la conservazione delle opere, ma soprattutto, come già sottolineato, l’accessibilità da qualsiasi luogo ci si voglia collegare, abbassando anche le barriere economiche. Forse questo risponde all’essenza stessa di cultura e informazione: diritto per tutti di conoscere, approfondire, esplorare le diverse realtà, sociali o artistiche che siano.

Inoltre, i musei dotati di realtà aumentata non si limitano a raccontare l’opera per come appare da un’analisi esterna, ma approdano ad una comunicazione in toto del processo creativo, comprendendo un’immersione in quella che è anche la vita dell’artista. Puntando il telefono verso un’opera, la potenzialità di quest’ultima diventa infinita, con l’incremento di informazioni e spiegazioni interattive e dinamiche per coinvolgere anche nuove e diverse fasce d’età. È, ancora una volta, una tecnologia a supporto dell’arte.

Musei fisici e musei virtuali: un confronto possibile?

È impensabile mettere a confronto il tradizionale museo con le nuove realtà virtuali perché rappresentano due entità che, seppur complementari, su molti aspetti si trovano agli antipodi: un visore può permetterti di raggiungere posti prima impensabili ma difficilmente potrà far provare le stesse emozioni rispetto a una visione reale.

Ciascuna di queste realtà è figlia del proprio tempo e sono soggette a un processo di trasformazione continuo ed inevitabile, come la stessa arte insegna. Se la conservazione delle opere risulta essere più tutelata con le ultime tecnologie, è anche vero che vengono a mancare una relazione e un contatto umano e una resa più veritiera delle opere. Far vivere un’esperienza coinvolgente rimane la priorità, a cui, in modo diverso, entrambe le realtà museali cercano di rispondere ma con esiti di maggior successo nel caso dell’introduzione della realtà aumentata, grazie ai superamenti dei classici limiti imposti dalla fisicità stessa delle opere.

 

Le iniziative promosse nel mondo dell’arte che sfruttano la Realtà Virtuale e Aumentata

Un nuovo concetto di museo

Le iniziative esperienziali, cioè quelle in grado di coinvolgere e rendere protagonisti gli individui, si focalizzano, anche nel mondo dell’arte, sulla natura simbolica ed estetica del consumo proprio come qualsiasi altro “oggetto” di marketing. L’apripista è stata la società australiana Grande Exhibitions, che dal 2015 ha portato in giro per il mondo “Van Gogh Alive”, un progetto multimediale messo a punto dal Van Gogh Museum di Amsterdam con l’obiettivo di far conoscere la vita e l’opera dell’artista anche in zone del mondo dove i quadri veri non possono arrivare. Bruce Peterson, fondatore della società Grande Exhibitions, già nel 2005 ha sperimentato la multi-proiezione con un progetto italiano su Leonardo Da Vinci: “Il Genio Da Vinci” e in seguito “I segreti di Monna Lisa” a Parigi. Nel 2009 ha proposto esibizioni itineranti su tematiche scientifiche. Siamo sul confine tra educazione e intrattenimento, in un rapporto sempre più stretto tra video, arte e cinema.

«The art of storytelling bursts into life, engaging all the senses simultaneously, immersing the visitor in an ocean of moving image, music, light, sound and even smell! The tradition of tiptoeing through a silent gallery or museum is forgotten as visitors interact with art and culture in ways they never imagined».

Il Genio Da Vinci , mostra immersiva

La spettacolarizzazione dell’opera d’arte tra movimento, dinamismo e interattività

Da qualche anno, in Italia, le mostre immersive sono diventate più frequenti, prima fra tutte quella, appunto, di Van Gogh, dove la percezione del fruitore viene ampliata attraverso l’utilizzo combinato di diverse discipline in un’esperienza coinvolgente e totale. Caravaggio, Klimt, Dalì, Chagall, Giotto sono solo alcuni dei protagonisti delle esposizioni multimediali. Nel 2016 una delle mostre immersive più visitate è stata realizzata a Bologna con “David Bowie Is”. La mostra è stata realizzata dal Victoria and Albert Museum di Londra nel 2013. Victoria Broackes e Geoffrey Marsh hanno curato una retrospettiva della carriera di David Bowie che ha girato in varie parti del mondo come Chicago, San Paolo, Toronto, Parigi, Berlino, Melbourne e Groningen prima di arrivare in Italia. Questa senza dubbio è una mostra che ben si è adattata al percorso multimediale del processo creativo dell’artista. 

Per quel che riguarda altri tipi di mostre, la domanda è: può la spettacolarizzazione dell’opera d’arte sostituire l’opera originale che la distingue da qualsiasi altra opera per i suoi tratti caratteristici come il colore o la pennellata? L’oggetto artistico sembra aver irrimediabilmente perso la sua “aura” che scaturiva dall’hic et nunc, ovvero dal carattere di unicità e di irripetibilità del momento vissuto nel luogo in cui avveniva la sua fruizione. Diversamente dalle opere che nascono già digitalizzate o che compongono installazioni multimediali sfruttando lo spazio espositivo, come ad esempio Bill Viola, Studio Azzurro o il team di Toshiyuki Inoko (tanto per citarne alcuni), le mostre che utilizzano sistemi immersivi uscendo dalla propria “cornice” ricreano certamente un impatto coinvolgente e attrattivo per target sempre più ampio di visitatori, ma vanno al di là dell’opera stessa, rappresentano l’effetto speciale di questa.

Ad ogni modo, questo approccio avvicina un numero maggiore di persone al mondo dell’arte dando contemporaneamente la possibilità ai musei statici d’incorporare movimento, dinamismo e interattività. Massimiliani Siccardi, creatore di Immersive Van Gogh Exhibit, in un’intervista su Artribune del 2022, spiega come l’installazione immersiva sia un’opera d’arte indipendente:

«Lavoriamo sui grandi pittori perché è più facile: l’iconografia è già nota, c’è già una narrazione. Ma a un certo punto si andrà oltre, si faranno cose anche più interessanti: l’installazione immersiva è un nuovo medium. Ora va di moda, ma se non vogliamo che resti solo una moda e si esaurisca si deve evolvere»

Un esempio interessante è quello del teamLab, collettivo di arte digitale giapponese Fondato nel 2001 dal direttore creativo Toshiyuki Inoko che ha creato all’interno del National Museum of Singapore un’esperienza avvincente che trasforma i disegni di storia naturale di William Farquhar in animazioni e storie tridimensionali, senz’altro un aspetto educativo anche per studenti e scolaresche. Il team è composto da “ultra-tecnologi” e unisce artisti, programmatori, ingegneri, animatori, matematici, architetti e designer. Usando la luce come pittura e il mondo come tela, il team incoraggia gli spettatori a vivere all’interno della magia dei display digitali. Proiezioni, sensori di movimento e suono mirano a cancellare i confini tra le persone, così l’arte può creare nuove relazioni tra i visitatori che condividono un’esperienza. Le opere d’arte si trasformano a seconda del comportamento dei visitatori e se il pubblico è numeroso si verificano più effetti speciali. In questo museo le immersioni sono sempre diverse, cinque sono i mondi da visitare, si passa da installazioni immaginifiche a una foresta di alberi o lanterne per arrivare al “Future Park”, dove si possono disegnare pesci per poi vederli nuotare sulle pareti, infine nella “En Tea House” la tua tazza di tea fa fiorire l’ambiente tutt’intorno.

teamLab, mostre immersive

Augmented Reality, Virtual Reality, Mixed Reality

Sono in continuo aumento le aziende che propongono soluzioni per la digitalizzazione e l’engagement per i musei, offrendo nuove proposte innovative e strumenti di supporto quali: virtual tour interattivo del museo, app guida per smartphone, realtà aumentata su opere d’arte, tecniche di engagement per social network, video e podcast per social network, digitalizzazione con tecniche 2D e 3D. Un esempio è Aurora Meccanica, un gruppo di ricerca che realizza video installazioni e percorsi multimediali per musei e realtà espositive.

Oggi, strumenti come sensitive table, sensitive wall, sensitive floor, sono all’ordine del giorno quando si parla di Digital Cultural Heritage (DCH) come forma di patrimonio intangibile, immateriale che genera nuovi linguaggi. L’Augmented Reality migliora la nostra percezione e comprensione del mondo sovrapponendo informazioni virtuali sulla nostra visione del mondo reale. Il Virtual Reality, invece, migliora la nostra interazione con un ambiente generato dal computer senza un mezzo per interagire con il mondo reale. Infine, il Mixed Reality combina ambienti reali e virtuali. L’immagine come rappresentazione, nega il proprio statuto di immagine per presentarsi come ambiente (VR) o come oggetto nell’ambiente (AR). Le Arti Visive sempre più frequentemente sono collegate alla costruzione di ambienti virtuali immersivi e non e all’uso delle tecnologie digitali. Numerose sono le immersive art experience ormai in tutto il mondo, come il francese Atelier des Lumières che collabora anche con il Centro nazionale di studi spaziali per Destination Cosmos. L’atelier possiede altri centri aperti da Culturespaces, società che in Francia gestisce monumenti e musei e che aprirà altri due centri ad Amsterdam e a New York. Altre mostre immersive sono a Zurigo, a Londra con la New Media Art, a Toronto, a Washington D.C. e ad Helsinki. In Italia, a Mestre (VE), si trova “M9”, il più grande museo multimediale d’Europa che racconta tutto il secolo del Novecento italiano. L’edificio del museo è stato progettato dallo studio berlinese Sauerbruch Hutton e presenta una superficie complessiva di circa 10.000 metri quadrati. Le sale espositive sono grandi “black box” con postazioni multimediali e interattive e privilegiano una comunicazione immateriale.

M9, Mestre

 

Tour virtuali

Un altro aspetto da tenere presente è quello dei tour virtuali. Certamente non è come fare un percorso fisico all’interno di un museo, ma presenta alcuni vantaggi come quello di aver accesso gratuito alle collezioni di oltre 500 musei diffusi in tutto il mondo come: MoMA, Gallerie degli Uffizi, British Museum, Van Gogh Museum, Musée d’Orsay, National Gallery of Art e molti altri. In alcuni sono fruibili solo le opere, in altri si fanno veri e propri tour virtuali creando un’esperienza senz’altro più coinvolgente. Sul sito del Mic, (Ministero della cultura), si trova una lista di musei che aprono virtualmente le porte alle collezioni. I visitatori dei tour virtuali possono, sul proprio telefono e in qualunque luogo, apprezzare collezioni d’arte e simulazioni dell’ambiente fisico a 360°. Così si possono visitare stanze, attraversare corridoi, soffermarsi in uno spazio comodamente seduti a casa, basta solo una connessione internet. In altri musei si possono visualizzare solo le immagini con testi esplicativi. Nel 2011 è stato lanciato da Google “Google Arts & Culture” che utilizza la stessa tecnologia del progetto Street View e che propone visite virtuali con immagini ad alta risoluzione dei musei sparsi nel mondo. Dal 2016, inoltre, viene utilizzata Art Camera, una macchina fotografica robotizzata da sette miliardi di pixel; con questa impostazione, ludica e quasi cinematografica, si incorre nel pericolo di essere coinvolti dagli effetti speciali più che dalla vera esperienza culturale, importante è andare oltre alla sola resa visiva.

Se nella realtà virtuale siamo noi ad “entrare” in un nuovo mondo, nella realtà aumentata è il mondo virtuale ad “entrare” in quello reale, completando con immagini virtuali la propria esperienza di interazione. Otre alla realtà virtuale e realtà aumentata, esiste la realtà mista che permette di interagire e spostare elementi e ambienti, sia fisici che virtuali, con le tecnologie sensoriali e di imaging di ultima generazione, si usano le proprie mani, il tutto senza mai rimuovere il visore/casco 3d.

Nuove tecniche di Gamification

Unire Arte e Tecnologia può portare ad una serie di vantaggi, come attirare le persone verso una nuova forma di apprendimento, interagire con le opere d’arte, creare esperienze memorabili e cariche di emozioni; per questo, gallerie d’arte e poli museali sono interessati a comunicare in modo nuovo il proprio patrimonio. Naturalmente, da parte dei critici d’arte, i pareri sono contrastanti e non tutti positivi, definendo questi eventi al pari di spettacoli che comprendono poco l’arte, dove il limite del singolo quadro non esiste, le opere si susseguono sovrapponendosi e dialogando tra loro. D’altronde, le esigenze eterogenee dei fruitori non si accontentano più di una semplice esposizione; il pubblico vuole interagire più attivamente e il compito dei musei è proprio quello di favorire questa richiesta, ma si deve evitare l’overload di sollecitazioni e puntare sulla qualità. Case Museo di Milano (Casa Museo Boschi di Stefano, Museo Bagatti Valsecchi, Museo Poldi Pezzoli, News, Villa Necchi Campiglio), hanno sfruttato un gioco interattivo chiamato “Chabot Game”, dove un personaggio virtuale conduce i visitatori in un percorso guidato e la comunicazione avviene, appunto, attraverso i chabot.

Il Museo Archeologico di Napoli ha introdotto il videogioco “Father and Son” partendo da dalla storyline di un figlio che ricostruisce la vita del padre archeologo, un gioco che porta a scoprire le collezioni del museo. Tra passato e presente, il figlio (ovvero il giocatore) scopre quanto la storia sia importante e quanti suoi riferimenti si possano cogliere anche nel presente.

Nel 2017 è nata un’applicazione per smartphone, denominata “Nexto” e attiva a Berlino, il cui funzionamento consiste nello stimolare la ricerca di monumenti in giro per la città per salire in classifica e avere accesso a nuove sfide.

NextTo, applicazione

Il concetto di gamification, quindi, sembra rendere più attraente l’esperienza culturale creando un coinvolgimento superiore alla norma, e oggi si sta lavorando proprio in questi termini: l’obiettivo è quello di portare a scoprire, in maniera digitale, il patrimonio artistico, attraverso il gioco, ragionando sull’audience engagement. Oggi la gamification rappresenta, in diversissimi campi, una delle frontiere più percorse dal marketing. L’experience è diventata più importante rispetto alla semplice qualità del prodotto, un’avventura da vivere che sfrutta i principi del videogame. Un conto è condurre l’utente in un percorso da vivere come un’esperienza totale capace di stimolare comportamenti interattivi, altro è veicolare messaggi solo per questioni di mercato. In effetti, tramite i nuovi mezzi digitali, aumentano le potenzialità di fruizione creando una sorta di democratizzazione della fruizione stessa del patrimonio artistico museale sia a livello individuale sia a un livello più ampio che abbraccia tutta la società superando ampiamente i concetti di tempo e spazio. Dovunque si sono sviluppate forme d’arte digitale in cui confluiscono arte, scienza e tecnologia, dal Whitney Museum of American Art, a New York, alla Saatchi Gallery di Londra, fino alla Nxt Museum di Amsterdam.

Un cambio di prospettiva 

Il Ministero della Cultura, MIC, ha approvato un piano per la Digital Library, poiché uno dei problemi più importanti riguarda proprio la preservazione digitale per garantire nel tempo la conservazione delle informazioni. Molti sono i problemi che si presentano, come ad esempio quando l’hardware che contiene le informazioni diventa obsoleto. Esistono comunque dei sistemi per cercare di risolvere questi problemi: il refreshing, aggiornare e ricaricare i dati; la migrazione, trasferimento dei dati su un altro supporto; la duplicazione, per superare il rischio di crash; l’emulazione che permette di far girare i dati da un sistema operativo ad un altro, a questo proposito si sta studiando un computer virtuale universale; i metadati che contengono informazioni su un sistema di dati; gli oggetti digitali certificati per l’autenticità dell’oggetto. Il Sistema museale nazionale, che fa capo alla Direzione generale Musei, ha come obiettivo quello di riunire musei e luoghi della cultura, indipendentemente dalla proprietà, dimensione, regione di appartenenza, con lo scopo di agevolare tutte le fasce sociali a esperienze di conoscenza.

Nel 2016 Il Ministero dei Beni Culturali, insieme al comune di Milano e a quello di Firenze, ha patrocinato la prima mostra digitale in Italia dedicata alla Galleria degli Uffizi di Firenze presso la Fabbrica del Vapore a Milano: “Uffizi Virtual Experience”. L’evento ha accompagnato i visitatori, con video, proiezioni immersive, in una coinvolgente esperienza interattiva attraverso oltre 1150 opere digitalizzate ad altissima risoluzione.

 

Si assiste, ormai, a un cambio di prospettiva, nella nuova visitor experience , il concetto di connessione è fondamentale, come è fondamentale un’esperienza in continua evoluzione  dove l’opera artistica va oltre se stessa, oltrepassando i confini della propria “cornice”, per diventare parte di un viaggio fatto di empatia, contatto. Non è più una visita contemplativa, tutti i sensi sono coinvolti e l’emozione vive tra suoni, parole, luci, immagini, movimento. È una nuova modalità di contatto con le opere d’arte, che crea nuovi percorsi di apprendimento e partecipazione attiva. Il museo non è più il luogo chiuso dove i rapporti tra i visitatori sono nulli, qui la partecipazione è collettiva e condivisa. Naturalmente rimangono i dubbi e le perplessità, le mostre non possono essere solo uno show focalizzato sullo spettacolo, uno sfondo per scattare foto da inserire poi sui social, ma una autentica esperienza d’arte, un educativo approfondimento culturale. 

 

La moda virtuale e le tecnologie immersive

La pandemia di COVID-19 ha inevitabilmente avuto un impatto negativo su molte industrie in tutto il mondo, e anche il settore della moda e dell’abbigliamento è stato tra i più duramente colpiti. Il calo delle vendite, la chiusura improvvisa di fabbriche e negozi, ma soprattutto il blocco delle frontiere e la diminuzione del turismo hanno portato ad un cambiamento di comportamento da parte dei consumatori di questo mercato, che prima della pandemia non aveva né vincoli né confini geografici.

Secondo l’analisi di McKinsey & Co. (2021), la pandemia ha aggravato la domanda di tutto ciò che è digitale, che a sua volta ha consentito l’innovazione, l’efficienza e nuove modalità di crescita delle aziende. Allo stesso modo, la crisi ha sottolineato la necessità di passare a modalità di lavoro più sostenibili e responsabili in tutte le aree della catena del valore.
All’inizio del 2020, l’industria del lusso era sull’orlo di un cambiamento sismico. I consumatori iniziavano a preferire sempre di più le esperienze rispetto alle cose materiali; il commercio elettronico stava guadagnando sempre più quote di mercato e il turismo costituiva un importante fattore di reddito per i marchi di lusso. A questo punto è arrivata la pandemia, che con i suoi blocchi ha limitato la mobilità anche ai più facoltosi; i consumatori, bloccati a casa, prendevano decisioni di acquisto che sarebbero state impossibili da prevedere un anno prima. Anni di innovazione e cambiamento online si sono verificati nel giro di pochi mesi, poiché i marchi si sono concentrati sul generare entrate dall’unico canale disponibile in quel periodo, l’e-commerce, e, in generale, sull’adozione del digitale.
Per aiutare i clienti a migliorare l’accesso al marchio, le aziende hanno quindi iniziato a sperimentare nuove soluzioni. Parte del fascino dei mondi virtuali è la possibilità di interagire con gli altri e costruire comunità, un bisogno esasperato proprio dalla pandemia. Man mano che gli spazi digitali diventano più dinamici, i consumatori si connettono tra di loro, condividono i loro valori, conversano e creano insieme; questi livelli di coinvolgimento sempre più elevati hanno posto le basi per lo sviluppo di una nuova generazione di creativi della moda digitale, che stanno spingendo i limiti delle possibilità online.
I marchi, infatti, vedono l’emergere del “Metaverso”, in particolare, come un’opportunità per impegnarsi in modo più profondo e creativo con i propri clienti.

«There are more and more ‘second worlds’ where you can express yourself [but] there is probably an underestimation of the value being attached to individuals who want to express themselves in a virtual world with a virtual product, [through] a virtual persona» – Robert Triefus, chief marketing officier di Gucci

Il termine “Metaverso” trae origine da “Snow Crash”, un romanzo di fantascienza pubblicato nel 1992 da Neal Stephenson, il quale propose un’esplorazione cyberpunk delle tecnologie allora futuristiche, come mobile computing, realtà virtuale e Internet wireless. Tra le varie profezie vi è proprio il concetto di “Metaverse”, utilizzato dall’autore per fare riferimento ad un tipo di esperienza virtuale altamente immersiva. Venticinque anni dopo, il cult di Stephenson è diventato un canone nella Silicon Valley, dove ingegneri, imprenditori e futuristi ancora venerano Snow Crash come una visione straordinariamente preveggente del panorama tecnologico odierno.
Il metaverso, oggi, viene spesso identificato come la prossima versione di Internet, o come il «successore della Rete mobile», come spiegato da Mark Zuckerberg in un’intervista a The Verge. Secondo Cathy Hackl, autrice specializzata in realtà aumentata, i professionisti del marketing e della comunicazione dovrebbero considerare fin da ora il potenziale del Metaverso, poiché si tratta della «nuova frontiera dell’interazione online. Nello stesso modo in cui i social media hanno rivoluzionato il panorama del marketing online, così succederà anche con il Metaverso».
Diversi brand, per l’appunto, hanno deciso di avvicinarsi a questo mondo grazie a collaborazioni con i giganti tech maggiormente coinvolti in questo settore.

Il caso Balenciaga

Il 6 dicembre 2020, Balenciaga ha presentato la sua collezione autunno-inverno 2021 su “Afterworld: The Age of Tomorrow”, ovvero un videogioco open world ambientato nella New York del 2031, inventato dal direttore creativo del brand, Demna Gvasalia. In esso, si sceglie il proprio avatar con un total look firmato Balenciaga e si comincia a vivere un’avventura in una metropoli paurosa. I 50 look maschili e femminili presentati all’interno del videogame mescolano epoche, stilemi, dress code e canoni estetici, mixando le divise della NASA agli abiti a fiori e agli stivali in stile armatura del Seicento. L’industria del gioco ha una lunga storia di costruzione di comunità e vale 176 miliardi di dollari, con più di tre miliardi di giocatori in tutto il mondo. Il gioco, infatti, sta diventando sempre più un’estensione del mondo reale e, con la partecipazione della pandemia, è diventato un obiettivo di primaria importanza per i marchi di moda.
Il fenomeno intercettato da Balenciaga prende proprio il nome di “gamification” ed è una delle soluzioni più gettonate nel settore dall’arrivo della pandemia. Il concetto alla base è: “non potendo vestire persone in carne ed ossa, si impianta lo stesso processo all’interno del videogioco, proponendo nuovi look per curare l’aspetto degli avatar”.

Fortnite x Balenciaga

Fortnite x Balenciaga
Quattro personaggi vestiti Balenciaga

Il 21 settembre 2021, la moda digitale prende vita a Fortnite grazie proprio al brand Balenciaga.

«La nostra collaborazione con Epic [Games] in realtà non è iniziata con Fortnite. Tutto risale al nostro primo videogioco, Afterworld, che abbiamo creato sfruttando Unreal Engine per il debutto della nostra collezione autunno 2021. Un’esperienza da cui siamo partiti per poi continuare a farci ispirare dalla creatività delle community di Unreal e Fortnite. Ho sentito l’esigenza di approfondire la collaborazione fino a realizzare questi autentici look Balenciaga per Fortnite e una nuova linea di abbigliamento Fortnite da distribuire fisicamente nei nostri negozi» – Demna Gvasalia, direttore artistico di Balenciaga

Balenciaga ha dato al team di Fortnite le scansioni 3D di ciascuno dei capi che hanno permesso ai designer del gioco di ricreare l’abbigliamento con dettagli precisi, dalla grafica alla texture fino al modo in cui calza su un personaggio.
Secondo uno studio pubblicato su Statista il 27 maggio 2021, almeno il 77% dei giocatori residenti negli Stati Uniti ha dichiarato di aver speso soldi sulla piattaforma almeno una volta, con una media di 102,42 dollari di acquisti pro-capite. Inoltre, in tutto il mondo il numero di giocatori è in crescita esponenziale: un’altra indagine di Statista del 2020 stima che il numero di giocatori sia di circa 350 milioni (nel 2017 erano appena 30). Fortnite ha quindi creato un nuovo spazio in modalità creativa con un negozio virtuale Balenciaga dove i giocatori possono acquistare nuovi abiti.
Questo progetto mostra il crescente interesse per il metaverso all’interno della moda, soprattutto perché la fantasia di immaginare se stessi come qualcun altro è il principio base del settore, e questa collaborazione in particolare sembra avere il fine ultimo di suscitare tale sensazione.

Il caso Gucci

Un’altra collaborazione importante creata in quest’ambito è tra il marchio Gucci e la piattaforma di gaming online denominata Roblox.
Gucci, che nel 2021 ha celebrato il suo centesimo anniversario sotto la direzione creativa di Alessandro Michele, ha visto evolversi il suo approccio digital-first nel corso degli anni, rispettando l’obiettivo del marchio di combinare il passato con il presente per raccontare storie del futuro.
Nel 2011, la casa di moda famosa in tutto il mondo ha inaugurato il Gucci Garden all’interno dello storico Palazzo della Mercanzia di Firenze, ovvero uno spazio che ospita una boutique con articoli unici, il ristorante Gucci e l’area espositiva Gucci Garden Galleria; e proprio all’interno di questo museo, il 14 maggio 2021 è nato il giardino degli archetipi (Gucci Garden Archetypes), uno spazio immersivo e multisensoriale che esplora le campagne Gucci degli ultimi sei anni. Ad accogliere i visitatori all’ingresso, una sala di controllo con 30 schermi che mostrano a intermittenza immagini delle campagne presentate nelle sale successive.

«Ho pensato che potesse essere interessante accompagnare le persone alla scoperta delle avventure che hanno caratterizzato questi primi sei anni, invitandoli a scoprire l’immaginario, la narrazione, l’inedito, lo scintillio. Così ho creato un campo di gioco di emozioni, che sono le stesse delle campagne, e rappresentano la via d’accesso più diretta alla mia estetica» – Alessandro Michele

Per finire, dal 17 maggio 2021, per due settimane è stato possibile visitare su Roblox uno spazio virtuale dedicato al Gucci Garden. Una volta all’interno, gli avatar dei visitatori potevano visualizzare, provare ed acquistare articoli Gucci digitali. Mentre essi esploravano la galleria virtuale interattiva ispirata alle campagne pubblicitarie di Gucci, i loro avatar si trasformavano in manichini bianchi senza genere, che però avevano l’abilità di assorbire gli elementi visivi di ognuno degli ambienti in cui entravano; un’esperienza interattiva unica e visivamente coinvolgente.

Gucci on Roblox
Esposizione virtuale di Gucci nel gioco Roblox

Altre iniziative

Altre iniziative di questo tipo riguardano, per esempio, la maison Valentino, Nike e Cavalli.
Il primo ha proposto un progetto molto simile a quello di Balenciaga: venti look disegnati da Pier Paolo Piccioli per gli avatar di “Animal Crossing: New Horizon”, il videogioco targato Nintendo giocabile su Switch che ha spopolato negli ultimi mesi del 2020.
Il colosso dell’abbigliamento sportivo, invece, ha fatto il suo ingresso nel Metaverso grazie a Nikeland, il mondo virtuale del brand realizzato all’interno di Roblox che permette agli utenti di giocare e allo stesso tempo vedere e provare in anteprima tutti i prodotti Nike.
Infine, Cavalli ha debuttato recentemente nel Metaverso con Cavalli Mansion, una casa virtuale nella quale è possibile fare acquisti e scoprire il lifestyle del brand in modo interattivo e innovativo; un game, disponibile sul sito web del brand, grazie al quale è possibile entrare nell’immaginario del Cavalli living.

«Abbiamo voluto proporre un viaggio immaginario da Bel Air a Milano e da Brooklyn a Miami. Questo è un mondo Cavalli che anticipa le Towers a Dubai, un altro progetto che si sta evolvendo» – Fausto Puglisi, direttore creativo della maison Cavalli 

 

Metaverse Fashion Week: la moda nell’universo virtuale di Decentraland

Metaverse Fashion Week
Uno degli spazi della Metaverse Fashion Week a Decentraland

Nell’ultimo anno, nello specifico dal 24 al 27 marzo 2022, la piattaforma di realtà virtuale basata su Blockchain di nome Decentraland ha ospitato la prima settimana della moda nel Metaverso.
Come ogni Fashion Week, anche la MVFW22 ha avuto un calendario ricchissimo di eventi; non solo sfilate ma anche concerti, pop-up store, installazioni cinematografiche e after party virtuali suddivisi in vari Fashion District.
Più di 60 brand si sono messi in gioco, portando sulla passerella circa 500 nuovi outfit: da Dolce&Gabbana a Hugo Boss, da Tommy Hilfiger a Mango fino a Etro e Philipp Plein.
È stato un vero e proprio evento come quello di Milano, Parigi e New York, dove ogni brand aveva il proprio stand e migliaia di persone hanno partecipato come spettatori tramite i propri avatar; anche questi, come nella realtà, potevano applaudire e mostrare le proprie reazioni.
Dolce&Gabbana, per esempio, ha creato una collezione composta da 20 look indossabili nel Metaverso, creati appositamente per celebrare la creatività e l’innovazione della nuova dimensione.
Philipp Plain, invece, ha presentato la sua nuova collezione nello showroom virtuale in Plein plaza, un grattacielo virtuale alto 120 metri. Un totale di sette total look con prezzi che vanno dai 1.500 ai 15.000 euro, con gli avatar di Decentraland che potranno accedervi, ma solo in limited edition.
La Metaverse Fashion Week è solo l’ultimo e il più clamoroso esempio di come il Metaverso stia cambiando la moda. Esso si presenta come un’ottima occasione per compiere attività di brand awareness traducendo purpose e valori del marchio in una forma ancora più universale. Non solo, questa realtà virtuale rappresenta un touchpoint non indifferente dove poter intercettare e catturare l’attenzione delle nuove generazioni.

In conclusione, il costo più ridotto dei capi di lusso sulle piattaforme digitali apre nuovi scenari per il mercato della moda. Se da un lato i fan tradizionali del brand continuano a comprare i capi fisici in boutique, dall’altro, chi quei prodotti non può permetterseli, come i nativi digitali della Generazione Z, può investire un importo accessibile per sfoggiare il brand esclusivamente sui social o su piattaforme di gaming.
La previsione è che i giovani saranno più sobri nella vita reale e meno parsimoniosi in quella virtuale. Ci si scatenerà con la fantasia nel mondo digitale, adeguando il proprio modo di vestire a diversi stati d’animo, mentre la vita reale sarà all’insegna della responsabilità sociale. 

 

Conclusioni

L’esperienza del lockdown ha spinto inevitabilmente le istituzioni culturali e creative ad innovarsi e a modificare la loro stessa struttura, organizzazione e modalità di relazionarsi con il pubblico. L’evoluzione degli spazi espositivi legati sia al mondo dell’arte che a quello della moda, grazie alla realtà virtuale e aumentata, si sta muovendo in un’ottica di accessibilità, interattività e connessione.
Lo stesso concetto di ‘visita’ viene stravolto, arrivando sempre più a un vero e proprio viaggio in cui si può interagire e apportare modifiche, passando da un’osservazione passiva a una partecipazione attiva. Il semplice atto di osservare un’opera viene sostituito dal viverla, dall’esserci dentro.
Nelle possibili evoluzioni future delle esposizioni museali e della moda, il consumatore è destinato a essere sempre più coinvolto nella narrazione digitale, sempre più connesso alle persone condividendo impressioni, interpretazioni, esperienze. Un’arte, e una moda, non più elitaria ma a disposizione di tutti.

 

Sitografia

Salvatore Scarfone, Ricostruzione virtuale dell’Acropoli di Atene – https://salvatorescarfone.it/portfolio/acropoli-di-atene-ricostruzione/

Metodo Amuse, Le nuove frontiere dell’esperienza museale, 3 maggio 2021 – https://www.metodoamuse.it/le-nuove-frontiere-dellesperienza-museale/

Musei Vaticani, Tour virtuali – https://www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/collezioni/musei/tour-virtuali-elenco.html

Mark Zuckerberg, Spot Meta, 5 novembre 2021 – https://www.facebook.com/zuck/videos/1299160977186862/

Le Gallerie degli Uffizi, “Uffizi da mangiare” LINK: https://www.uffizi.it/video-storie/uffizi-da-mangiare

Fondazione Fitzcarraldo, Il Museo e la Rete: nuovi modi di comunicare LINK: https://www.fitzcarraldo.it/ricerca/pdf/museorete_lineeguida_ricerca.pdf 

Finestre sull’arte, Schmidt: “agli Uffizi tanti giovani grazie a Chiara Ferragni. La vera ripartenza sarà nel 2022” (2021) LINK: https://www.finestresullarte.info/musei/schmidt-uffizi-tanti-giovani-grazie-a-chiara-ferragni-ripartenza-nel-2022?

Finestre sull’Arte, Il Covid cambierà profondamente le mostre. Come? Le previsioni dei grandi organizzatori (2020) LINK: https://www.finestresullarte.info/focus/il-covid-cambiera-le-mostre-previsioni-skira-electa-24-ore

KOI Strategie digitali: LINK: https://www.koistrategiedigitali.it/blog/

KOI Strategie digitali, “Musei e social media: cresce la presenza digitale anche in Italia” (2020) LINK: https://www.koistrategiedigitali.it/musei-e-social-media-cresce-la-presenza-digitale-anche-in-italia/

Art Backers agency, “Influencer marketing per l’arte” (2020) LINK: https://www.artbackers.agency/magazine/influencer-marketing-per-larte/

Mashable Italia, “Intervista a Roberto Celestri” (2022) LINK: https://it.mashable.com/7228/intervista-art-influencer-roberto-celestri

Memo grandi magazzini culturali,  “Leonardo è (anche) un like su Facebook” (2019) LINK: https://grandimagazziniculturali.it/2019/07/musei-e-social-media/

Art Tribute, “Musei, didattica e pandemia. Il Museo del Novecento di Milano” (2021) LINK: https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/didattica/2021/04/museo-novecento-milano-pandemia/

MIC Direzione generale musei, “ArT you ready?”. La nuova campagna del MiBACT passa per Instagram (2020) LINK: http://musei.beniculturali.it/notizie/notifiche/art-you-ready-la-nuova-campagna-del-mibact-passa-per-instagram

https://www.uffizi.it/gli-uffizi

Finestre sull’arte, “Nuovi modi per comunicare i musei: eccone alcuni che si stanno distinguendo nella seconda ondata” (2020) LINK: https://www.finestresullarte.info/focus/nuovi-modi-per-comunicare-i-musei-seconda-ondata-covid

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“Sai quanti musei, monumenti e siti archeologici statali ci sono in Italia? Oltre 500. Qui li trovi tutti.” LINK: http://musei.beniculturali.it/musei

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Forbes, “Japanese Digital Art Collective TeamLab Imagines A World Without Any Boundaries” LINK: https://www.forbes.com/sites/yjeanmundelsalle/2018/08/13/japanese-digital-art-collective-teamlab-imagines-a-world-without-any-boundaries/?sh=7dfbad54afaa

Chi siamo

Sono Alessandra Schio, ho 25 anni. Mi sono laureata in Graphic Design presso l’Accademia Belle Arti Santagiulia di Brescia, ora studio Web Marketing and Digital Communication all’università Iusve di Verona. Appassionata da sempre al mondo dell’arte, della cultura e della comunicazione, ora mi sono avvicinata al mondo del marketing e del digital.

 

 

Sono Michela Consolini, ho 23 anni e mi sono laureata in Scienze e Tecniche della Comunicazione grafica e multimediale a Verona. Attualmente studio Web Marketing and Digital Communication. Mi piace tutto ciò che è arte, comunicazione e cultura in generale.

 

 

 

Elisa Bonomi, nata nel 1997 a Genova. Diplomata al liceo scientifico delle scienze applicate Lavinia Mondin di Verona e laureata presso lo IUSVE in Scienze e Tecniche della Comunicazione grafica e multimediale. Attualmente frequento il corso magistrale di Web Marketing and Digital Communication presso lo IUSVE.

 

 

 

Sono Valentina Lotito, ho 22 anni e sono laureata in Scienze della Comunicazione. Appassionata al mondo digitale, sono ora studentessa magistrale IUSVE del corso di laurea di Web Marketing and Digital Communication.

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