La nuova concezione di legame

Il sociologo statunitense Mark Granovetter ha definito la forza di un legame come una combinazione di ammontare di tempo, intensità emotiva, intimità e scambio di servizi. Granovetter identificava questa definizione nel 1973, probabilmente non pienamente consapevole di come la tecnologia e l’uso che ne facciamo potesse cambiare o mutare questi legami.

La domanda che oggi ci possiamo porre è se con i numerosi mezzi e le numerose modalità che abbiamo per tenerci in contatto si possa ancora parlare di tempo trascorso insieme, di intimità e di scambio per definire l’intensità di un legame.

Il momento robotico

La sociologa Sherry Turkle, nel suo saggio «Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri» espone come il nostro approccio con la tecnologia e il digitale stia mutando la nostra concezione di legame e il nostro rapportarci con gli altri.
Nella prima parte del suo libro, si parla di come siamo arrivati e di come si stia evolvendo il così detto «Momento robotico», ossia la disponibilità emotiva e filosofica da parte degli essere umani di approcciarsi ai robot come fossero animali domestici o perfino confidenti, partner amorosi o sessuali. Il fatto che un robot sia in grado di rappresentare la comprensione e l’empatia è sufficiente per noi essere umani per provare affetto nei suoi confronti, per fidarci e per sentirci compresi e considerati.
Anche in questo caso, sono moltissimi i quesiti che sorgono spontanei ma una questione tra tutte viene posta in evidenza; come possa una macchina che non ha un vissuto comprendere appieno le dinamiche umane.

Nel suo film del 2013 Her, il regista Spike Jonze, immagina un futuro non troppo lontano in cui il protagonista, deluso e ferito dalla fine del suo matrimonio, instaura una relazione sentimentale con un sistema operativo in grado di rapportarsi come farebbe un essere umano.

Il sistema operativo al suo avvio decide addirittura un nome per se stesso, scegliendo tra i nomi esistenti quello di Samantha. Nella spiegazione del suo funzionamento, spiega come il suo DNA sia l’insieme dei DNA dei programmatori che l’hanno creata ma che, attraverso l’esperienza con l’utente, sia in grado di evolvere e apprendere. Per questa ragione sostiene che «il passato è solo una storia che raccontiamo a noi stessi» e come tale non è importante per sentirsi compresi.
«Mi intristisce molto sapere che tu non riesca a gestire emozioni reali», sarà la reazione della sua ex moglie nel momento in cui le comunica questa nuova relazione con un sistema operativo che lo porterà a riflettere sulla realtà di questo rapporto.

Il meccanismo di difesa

Stiamo lasciando che la tecnologia ci porti in questa direzione; quando i rapporti umani, insicuri, incontrollabili e impegnativi per natura ci deludono ci estraniamo da essi e da noi stessi e ci rifugiamo nei nostri dispostivi, capaci di rassicuraci e farci sentire al sicuro.
La fallibilità umana, vista da sempre come un pregio in grado di consolidare i rapporti, è diventata uno dei peggiori difetti da fronteggiare. La conoscenza personale, soprattutto in ambito relazionale, è basata soprattutto sul vissuto di ciascuno. Per questo i pareri, i consigli e le opinioni che diamo e riceviamo sono ovviamente limitate e influenzate dal nostro background, non sono dunque soluzioni infallibili o certezze indissolubili. Ma una macchina tecnologica, invece può essere programmata con tutto il sapere conosciuto e proporre in tal modo soluzioni efficaci ed efficienti. Viene in tal modo a mancare totalmente il riconoscimento dell’importanza dell’errore, tappa fondamentale nel percorso di crescita personale e relazionale. Commettere errori ci permette di evolvere e migliorare e soprattutto ci insegna a rimediare ai nostri sbagli, a riconoscerli, gestirli e superarli con tutte le emozioni negative che si possono verificare. Affidarsi a macchine infallibili significherebbe che le emozioni non sono più necessarie, che non è possibile prendere decisioni con il cuore o con “la pancia”.

Il capitalismo emozionale

Nel saggio «Cold Intimacies: The Making of Emotional Capitalism» la sociologa Eva Illouz analizza il rapporto tra economia, società ed emozioni. Nello specifico come gli effetti del progressivo affermarsi della cultura delle emozioni abbiano ridefinito le relazioni intime nell’ambiente lavorativo, familiare e amoroso. Per concentrarsi infine sul processo di trasformazione dell’identità personale all’interno di Internet.

Per approfondire maggiormente questo tema, Illouz ha identificato l’era in cui viviamo come un momento di «capitalismo emotivo». L’avvento di questo momento è stato determinato da una serie di fattori economici e socio- culturali; quali l’introduzione del sistema industriale e la presentazione delle teorie sulla psicanalisi di Freud esposte nel 1909 alla Clark University.  Gli avvenimenti citati hanno contribuito a rendere la sfera emotiva un ambito che necessita di essere amministrato e controllato. Stato, mondo accademico, mercato dei farmaci e cultura stessa hanno contribuito alla messa in atto di un sistema dominato dalla regolamentazione e dal profitto economico.
Le nostre competenze emotive, intese come nuove forme di competenze sociali, sono diventate un elemento essenziale in diversi ambiti e si sono legate al successo personale e professionale (il bisogno di autorealizzazione identificato da Maslow) ma soprattutto hanno permesso l’introduzione di nuove forme di classificazione sociale degli individui. Conseguentemente a ciò, il nostro stile emotivo è diventato un elemento fondamentale nella costruzione della nostra identità e incide su come ci integriamo nelle reti e su come manteniamo relazioni geograficamente e socialmente distanti.

La costruzione dell’identità online

Questa dicotomia tra Io e mondo esterno viene però a mancare nel momento in cui la costruzione della propria identità avviene in modo collettivo all’interno di una rete connessa, quale è internet. Soprattutto gli adolescenti degli ultimi decenni, costruiscono la propria identità attraverso un percorso collettivo, costruito insieme alla famiglia, agli amici e alla rete, dove ricercano l’approvazione delle loro emozioni.
Emozioni che credono e crediamo debbano essere filtrate e relegate in quel subconscio ben lontano dalla parte più razionale di noi stessi. Gli sms, le email e tutti i servizi di messaggistica disponibili permettono un tempo prolungato di elaborazione, ci è concesso di controllare le reazioni emotive e la nostra identità, decidendo quale lato di noi stessi mostrare all’altro.
L’assenza del corpo fisico aiuta questo processo, in quanto permette l’esclusione di tutta la comunicazione non verbale, spesso colei che tradisce le nostre reali emozioni. Questa assenza permette alle emozioni di evolversi ad un livello più sincero ma allo stesso tempo più costruito.
Anche nella presentazione di sé online, il ruolo del corpo gioca un ruolo fondamentale. La sua mancanza rende l’immagine  che scegliamo per rappresentare noi stessi, statica ed esposta al pubblico sguardo ed iper rappresentativa. Deve essere ciò per cui veniamo preferiti rispetto agli altri, per questo motivo molti si sentono indotti ad intraprendere importanti cambiamenti all’immagine che mostrano di sé online.

Internet però pone anche in evidenza un paradosso, se da un lato induce ad una riflessione approfondita su noi stessi per comunicare il meglio di noi, d’altro canto fa sì che la nostra immagine, la nostra identità, il nostro io siano una merce esposta al pubblico. È solo attraverso il linguaggio che ci auto presentiamo e che dobbiamo cercare di compiacere l’altro. Il lato linguistico, quindi, è ciò che ci pone in competizione e ci differenzia dalle altre persone e spesso è proprio nel tentativo di renderci unici e desiderabili che cadiamo nella standardizzazione di utilizzare sempre gli stessi aggettivi per descriverci.

Amore romantico e amore online

Questa modalità di utilizzo della tecnologia, dominata da un alto livello di razionalizzazione si ripercuote anche sui legami che intrecciamo online.
Se l’amore romantico era connesso all’attrazione sessuale, dominato dalla spontaneità e dalla sensazione di unicità della persona amata, gli scambi che avvengono online sono incorporei e la ricerca razionale prevale sulla tradizionale attrazione fisica. L’utilizzo della rete esige una razionalizzazione delle modalità di scelta del partner e incrementa la strumentalizzazione degli scambi sentimentali, trasmettendo non più l’idea di unicità ma di abbondanza e di intercambiabilità.
Inoltre, Internet stimola l’immaginazione attraverso immagini e testi selezionati e mostrati dall’interessato, escludendo totalmente le percezioni corporee e intuitive che entrano invece in gioco in un contatto vis a vis.
Mentre la fantasia romantica tradizionale era caratterizzata da un misto di realtà e immaginazione, internet separa la fantasia dall’incontro con l’altro, facendo accadere le due cose in momenti diversi. La conoscenza dell’altro viene frammentata in diversi momenti, questo perché la persona viene percepita prima come voce e solo successivamente come corpo dotato di movimento ed iniziativa.

L’ontologia delle emozioni

Nel testo sopracitato Eva Illouz si riferisce a questa razionalizzazione dei legami sentimentali come una «ontologia delle emozioni». Le emozioni possono essere decontestualizzate dal soggetto e possono essere chiarite e controllate. Tutte le ambiguità, i significati sfuggenti ed enigmatici vengono appiattiti attraverso un linguaggio puramente denotativo, nel quale non c’è spazio per tutti gli elementi involontari riconducibili all’irrazionalità.
Questa comunicazione ininterrotta, razionalizzata e atemporale ci fa crescere in una bolla in cui crediamo di avere sempre tutto sotto controllo e a nostra disposizione, dalle nostre emozioni al rapporto con gli altri. La nostra comunicazione confluisce in maniera crescente attraverso questi apparecchi tecnologici che fungono da mediatori. Siamo arrivati perfino a considerare le telefonate un mezzo troppo invasivo per comunicare con l’altro. Richiedono un “botta e risposta” continuo, non danno il tempo di processare le informazioni ed elaborarle. Sono la cosa più simile ad una conversazione faccia a faccia, senza il linguaggio non verbale.

La questione fondamentale da porsi è comprendere quale bisogno cerchiamo di soddisfare attraverso questo uso della tecnologia. La paura di essere sostituiti da macchine impeccabile fatte di microchip e metallo ci spinge ad essere come loro. Ma se nella vita offline la società ci sta imponendo di essere lavorativamente ed emotivamente perfetti, sfoghiamo nella vita virtuale la necessità di essere imperfetti, desiderosi di ascolto e attenzioni.
Il fatto che ci stiamo abituando a reprimere e controllare le nostre emozioni ci spinge però a cercare confidenti online, reali o virtuali, impersonali e imparziali, che non ci giudicano e non ci fanno mai sentire inadeguati. Il virtuale diventa il rifugio sicuro dove non ci verrà mai detto di no, qualsiasi sia il nostro bisogno, dall’attenzione, all’approvazione, all’ascolto.

Il problema della solitudine

Seguendo queste tendenze crediamo di avere il controllo su dove rivolgiamo la nostra attenzione, di essere sempre ascoltati e soprattutto che non dovremo mai più essere soli.
La solitudine è diventa il nostro peggior nemico, un fardello da evitare ad ogni costo, in quanto non riusciamo più a considerare i momenti di raccoglimento personale come un’opportunità di riflessione e crescita ma solamente come una condizione di isolamento negativo, che può essere risolto solamente attraverso la tecnologia. Quando siamo feriti da qualcuno, o più semplicemente non abbiamo nessuno che fisicamente possa essere accanto a noi, per non andare nel panico e sentirci irrequieti o ansiosi, andiamo automaticamente in cerca di un dispositivo.
La connessione sta modellando un nuovo modo di definire noi stessi, esprimibile come: “Condivido quindi sono” usiamo la tecnologia per definire chi siamo condividendo i nostri pensieri e le nostre sensazioni anche mentre le stiamo provando. Il problema fondamentale è che se non abbiamo una connessione non ci sentiamo completi e in questo modo finiamo isolati. Diventiamo soli nel momento in cui trascuriamo la capacità di esserlo e la capacità di essere separati e di raccoglierci.

Conclusioni

Quando abbiamo iniziato a sentirci sopraffatti dalle nostre vite e dai nostri impegni quotidiani, abbiamo deciso di cercare nella tecnologia un valido aiuto per organizzare e ottimizzare la gestione del nostro tempo. Ma la nostra migliore soluzione si è rivelata la principale causa della nostra mancanza di tempo, fisico e mentale, da dedicare alle relazioni reali. E nuovamente abbiamo cercato nella tecnologia una soluzione per gestire e ottimizzare le nostre relazioni, pensando di relegare le questioni meno importanti e finendo invece per affidarle le nostre emozioni più profonde. È indiscutibile che online troviamo e troveremo sempre ciò o chi di cui abbiamo bisogno ma allo stesso tempo anziché ottenere pace e tempo da dedicare agli incontri faccia a faccia meno frequenti ma più profondi, otteniamo legami sempre più deboli e più isolamento. Un isolamento improduttivo, caratterizzato da uno stato ansioso e da una sensazione di abbandono dato dalla volontà di mostrare sempre la nostra parte migliore e dalla sensazione di avere attorno a noi persone provvisorie ed effimere.
Finiamo in questo modo per non avere e non ricambiare mai la totale attenzione dell’altro, costantemente distratti dalla connessione continua e onnipresente.

Non si tratta di disintossicarci da una sostanza, non si tratta di una dipendenza, è entrata nelle nostre vite per rimanerci e migliorarcele, se le daremo la giusta possibilità. Quel che è certo è che se controllo e comodità rimarranno la priorità dell’avanzamento tecnologico non potremmo fare altro che andare incontro ad una società sempre più robotizzata e sempre meno umana.

Autrice

Mi chiamo Irene Pachera, ho 25 anni e dopo tre anni dalla Laurea Triennale in Progettazione e Gestione del Turismo culturale ho deciso di iscrivermi al corso magistrale di IUSVE in Web Marketing & Digital Communication per avere la possibilità di coniugare il turismo e la comunicazione.