É sempre più evidente come con l’avanzare dei social network, la tecnologia pervada ogni aspetto della vita degli individui, limitandone però anche l’intimità e trasformando le esistenze. Sono sorte di conseguenza nuove forme di socialità, strettamente legate allo strumento che le determina, a causa dell’uso prolungato che gli utenti ne fanno. Il dubbio sorge quindi spontaneo: in che modo, se viviamo esclusivamente in rapporto con gli altri, ci troviamo sempre più soli con noi stessi? E perchè l’uomo continua sempre più a sperimentare uno stato di chiusura ed isolamento? Al fine di approfondire tale concetto e cercare di comprendere la situazione odierna degli individui, è necessario partire dall’aspetto più elementare e vicino a se stessi che si conosca, la formazione della propria identità e i suoi sviluppi in relazione alla vita online.
Sommario
Cos’è l’identità?
Il processo di costruzione dell’identità è strettamente legato alla definizione del sè, del proprio vissuto ed andando a condizionare le scelte degli individui non può fare a meno di rapportarsi con la dimensione più sociale, ovvero il rapporto con l’altro da sè, nella misura in cui la vita è regolata da relazioni con il mondo esterno. Quando infatti gli individui entrano in contatto con altri, comunicano, si relazionano, manifestano la propria identità e ricevono dalle identità altrui preziosi scambi di vita che si possono trasformare in arricchimento del proprio mondo e vissuto. Al fine dunque di comprendere la formazione dell’identità del singolo bisogna basarsi sulle modalità di interazione non solo con gli altri, ma con gli altri nel mondo odierno, ovvero quello digitale nel quale si è totalmente immersi come membri della società (Bonazzi, 2014).
L’identità in rete
La creazione dell’identità virtuale è un processo ciclico e ripetitivo che avviene secondo processi soggettivi ed ambientali, nello stesso modo in cui avviene la formazione dell’identità individuale. Nel 2014 gli autori Nagy e Koles hanno definito un modello concettuale riguardante l’identità virtuale, secondo cui l’identità online è formata da tre livelli: individuale, micro e macro. Nel livello individuale l’individuo si relaziona attraverso degli avatar, che rappresentano il mezzo per comunicare con gli altri, come una proiezione di sè nel mondo virtuale. In questo modo lo spazio individuale è ugualmente stabilito, così come i confini con gli altri individui. Nel secondo livello, quello micro, incidono diversi fattori, come la narrazione di sè, l’intimità, la cultura e la community. Tutti questi legano l’individuo all’ambiente digitale e attraverso di essi, infatti, vengono rappresentati, in un certo modo, i diversi significati che si attribuiscono ai suoi ruoli e alle sue relazioni. Nel terzo livello si passa all’appartenenza e all’identificazione dell’individuo ad un gruppo vero e proprio. Sentirsi parte di un gruppo all’interno del mondo digitale, infatti è il primo passo per considerarsi membro a tutti gli effetti di una comunità online. Nel macro-livello influiscono comunque le componenti narrative attraverso cui l’individuo si rappresenta e si percepisce come unità. Successivamente è in grado di comprendere come le relazioni possano avere un carattere emozionale anche sul web e quindi stabilirne una può risultare vantaggioso, perchè sostituita ad una reale che non è più soddisfacente come si vorrebbe. Il reale dunque non verrebbe rimpiazzato, ma integrato da una conoscenza digitale, al pari di quella quotidiana faccia a faccia. Per quanto riguarda invece le community ed il ruolo ricoperto all’interno di esse, queste si distinguono in due tipologie: la prima fa riferimento al mondo del gioco e del divertimento, dove la comunità svolge la funzione di setting di fantasia; la seconda mira ad instaurare rapporti reali, tra artefatti digitali e relazioni sociali. Concludendo dunque il mondo online è in grado di sviluppare una propria cultura materiale, attraverso la quale le persone si impadroniscono degli oggetti virtuali sia per il loro valore simbolico, sia per la loro funzionalità.
Creazione di diversi ruoli e personalità online
Parlare di identità in rete significa quindi comprendere uno spazio in cui ci si può sì conoscere e riconoscere, ma soprattutto si può creare quella che è una nuova identità, una nuova personalità, perchè al singolo è concesso creare più vite, nomi, maschere con cui presentarsi agli altri. Come affermava Oscar Wilde “L’uomo è poco se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità”, la maschera può essere utilizzata non come si pensa per coprire se stessi, ma per rivelare quello che si è realmente. Diventa quindi uno strumento di liberazione, per andare contro a quelle imposizioni che impediscono di essere se stessi e di svelare quello che si è senza timori. L’individuo può dunque creare rappresentazioni surreali, può usarle come strumento di evasione dalla condizione di dover mantenere un sè autentico, attua quindi una sorta di mimetizzazione che gli consente di rifugiarsi in un luogo in cui riversare le proprie considerazioni più sincere senza timore di giudizio.
La visione può essere quindi dicotomica: soffrire per ricercare un io che sia coerente con l’immagine che gli altri hanno di noi, e lottare quotidianamente perchè sia autentica, o vederla come la promozione di un io che percepisce ciò come un gioco, grazie alle differenti possibilità di interpretazione da parte degli altri. Ed essendo che noi diventiamo ciò che la società esige da noi, questo è l’unico modo di esaurire la personalità: all’apparenza si manifesta la propria rappresentazione sociale autentica, mentre dietro le quinte esiste il vero io. L’individuo può quindi essere ogni volta una persona diversa e questo è lecito nella libertà dei new media, anche se così facendo, però, non ha più una guida per il suo cammino identitario, perchè ormai non si domanda più se i suoi comportamenti siano autentici. Non c’è più un percorso di autoanalisi in cui si mette in chiaro chi si è davvero. Sorge spontaneo però domandarsi, sono davvero reali tutte queste infinite possibilità di espressione del sè? Attraverso il virtuale si attua quella che è un autopromozione del sè, una sorta di personal branding, che si sviluppa attraverso dinamiche comunicative ed identitarie per arrivare ad un rapporto di condivisione con gli altri utenti.
Se invece si legge l’autopromozione come una sorta di pericolo, anzichè come opportunità, Lovink dimostra come la spettacolarizzazione di se stessi vada contrastata quando è al limite in quanto può diventare un’ossessione, vissuta come un obbligo di condivisione in ogni istante. L’autore individua infatti tre possibilità per alleggerire questo peso di promozione del sè: la prima è quella di ammettere la realtà dei fatti e non trovare nulla di sbagliato nel voler smettere di essere onnipresente in rete o di prendersi un pausa dal virtuale; la seconda trova fondamento nell’idea di consumatore tipica del marketing atto a soddisfare ogni bisogno delle persone, ma facendo leva sulle necessità interiori e sugli impulsi di accumulo; la terza è quella di recuperare un anonimato sano, per diventare qualcun altro pur rimanendo se stessi. Da un altro punto di vista questo si analizza come una questione strettamente legata al narcisismo, ovvero questa continua espressione della propria opinione in ogni contesto, della condivisione di ogni singolo momento privato, porta ad un’estensione del proprio io. A tal proposito però i rischi legati all’esposizione del sè stanno aumentando nei social network, dove si crea un’immagine di sè oggettivata al fine di soddisfare lo sguardo e il desiderio altrui. Di conseguenza si va a generare il continuo bisogno di approvazione e di feedback che, se percepito come vitale, tende a causare costanti verifiche dell’apprezzamento che sfociano in conseguenze destabilizzanti per gli individui e soprattutto per gli adolescenti, fase in cui la loro identità è ancora in corso di formazione, diventando quindi più vulnerabili e fragili a determinati attacchi.
Always on
Questo stato perenne di connessione e accesso alla rete definito da Turkle “always on” genera però negli individui anche una continua sensazione di angoscia. Questo si manifesta sia con una sensazione di eccitazione, inizialmente, quando si invia ad esempio un messaggio o una mail e successivamente attraverso una sensazione d’ansia per l’attesa di un nuovo stimolo. Secondo l’autrice questo stato non è dovuto alla condizione tecnologica dei medium, ma alla connettività in sè che ci porta ad avere interesse per qualsiasi stimolo, indipendentemente dai contenuti in arrivo. Il singolo individuo così non fa altro che attendere risposte ed inviarle, in un tempo che è però distorto perchè gli consente di riflettere sul messaggio da dare e quindi controlla le sue emozioni, lasciando un enorme dubbio su quale sia la sua reale identità, non essendo espressa in maniera trasparente. Siamo quindi più soggiogati dai mezzi stessi che non dalle persone con le quali entriamo in contatto. Le persone infatti sono insieme solo all’apparenza, perchè in verità si ritrovano sole, convinte di avere delle relazioni, ma stordite da quest’ansia di condivisione e onnipresenza.
Solitudine ai tempi dei social network
La reazione di altre persone, di fatto, colma il bisogno di attenzione e soprattutto di accondiscendenza, di conferma, che si genera nel momento in cui ci si vuole esporre per il semplice fatto di piacere, far parlare di sé e risultare interessanti per gli altri. Controllando sistematicamente le loro abitudini e stili di vita si ha sempre la possibilità di essere aggiornati su tutto ciò che ci circonda ed è proprio in questo momento che la tecnologia si propone come architetto della nostra intimità. Sherry Turkle spiega come grazie alle tecnologie si ha oggi la possibilità di non sentirsi mai soli, di avere la sensazione di essere sempre ascoltati, per il semplice fatto di connettersi ovunque e di rivolgere l’attenzione su ciò che si vuole.
Questo però non si dimostra veritiero quando ci si va a confrontare con la solitudine, in prima persona. Sembra sempre tutto facile quando, ad esempio, per delle sciocchezze, come gli attimi di attesa al semaforo o alla cassa al supermercato ci si può immergere nel proprio mondo online e sembrare occupati, impegnati. Ma serve davvero tutto ciò? Si vuole far sapere che si è sempre impegnati, come se il suono di una notifica addirittura ci disturbasse, quando in verità è una gratificazione che mostra a chi ci sta vicino la fortuna e la molteplicità di persone che ci contattano proprio perchè interessate a noi. Abbiamo infatti creato una comunicazione che ha diminuito il tempo necessario alla riflessione. Avere più tempo a disposizione per pensare significa spegnere i nostri dispositivi, ma questo non è fattibile perchè forniscono ciò che Turkle definisce “GPS sociale e psicologico per i sé allacciati”. Ecco che la connessione online sostituisce quella fisica e risulta più importante. Le persone ormai utilizzano ogni istante del loro tempo libero per chattare, consultare siti, social, ma il più delle volte lo fanno senza un senso e questo perché hanno paura di mostrarsi soli agli occhi di chi li circonda. Ed è proprio quando ci troviamo online che i nostri sè ci possono apparire migliori perchè in grado di moltiplicarsi, ragion per cui si tende a non perdere l’occasione di apparire su un palcoscenico virtuale sempre più grande, quello che Bauman definisce “il sostituto povero della celebrità’”. Secondo il sociologo infatti oggi tutto ciò è percepito come un successo, nel momento in cui più persone possibili vedono i nostri contenuti, mentre quando non si è online significa essere esclusi, abbandonati, ritrovarsi in una posizione dove nessuno ha bisogno di noi, in poche parole, un incubo. Se finora quindi è stato affrontato come ognuno di noi sia portatore di più immagini di se stesso, questo si accentua nel momento in cui l’individuo ha piena libertà di espressione nelle reti digitali.
Come riporta Sherry Turkle l’identità in rete è molteplice e fluida perchè internet dà la possibilità agli utenti di esprimere qualsiasi loro peculiarità. Si prova quindi una sensazione impagabile di libertà, di impadronirsi di un mondo pacifico e senza barriere. Turkle afferma inoltre che la tecnologia e i social non funzionano per conoscerci tra noi, per arrivare a capirci l’un l’altro e si domanda anche se tutta questa comunicazione da persone interconnesse possa portare a trascurare la conversazione e dunque a causare guai nella capacità di autoriflessione. Con questo si vogliono evidenziare i paradossi degli ambienti virtuali di prima generazione che Sherry Turkle affermava già più di un decennio fa. Siamo nell’era della comunicazione e si parla di solitudine? Abbiamo a disposizione strumenti per comunicare e stiamo rischiando addirittura di rimanere più soli? Turkle sostiene che: “Essere soli è percepito come un problema che va risolto e la connessione ne rappresenta più un sintomo che una cura. Esprime, ma non risolve, un problema di fondo”. Non lo risolverà mai il problema finchè ognuno non avrà il coraggio di rapportarsi con la solitudine che, non è affatto una cosa negativa, ma è la realtà e aiuta a vedere le cose realmente importanti della vita. Il rischio infatti è quello che l’online sostituisca totalmente l’offline, come se la realtà cedesse il posto alla virtualità.
Questa la tesi portata da Turkle nel volume “Insieme ma soli” (2012) dove sottolinea come ci aspettiamo di più dalla tecnologia e meno gli uni dagli altri. Oppressi dinanzi a ciò, si tende a pensare che le relazioni online siano vere e sempre disponibili, per poi in realtà fare esperienza che queste sono il più delle volte labili, insoddisfacenti e deludenti perchè non rispecchiano ciò che si sperava o desiderava. Emerge quindi la contraddizione tra le innumerevoli possibilità offerte dal web e i rischi legati alle sensazioni di infelicità e stress a causa della dipendenza da questi nuovi mezzi di comunicazione. La tecnologia, come dice Turkle, stiamo lasciando che ci porti dove non vogliamo andare. Una sorta di circolo vizioso dove tutto deve essere mostrato per fare invidia a chi ci soffre e costruisce su questo la propria felicità, rendendo gli individui passivi non solo online, ma anche nella quotidianità, andando a creare solitudine nella vita offline.
Ciò nonostante decisamente diversa è invece la posizione di Colombo, che non condivide la teoria pessimistica di Turkle e crede che le relazioni online mantengano la loro autenticità senza intaccare quella delle relazioni interpersonali. Il desiderio di comunicare la propria opinione online non è infatti così diverso da quello di socializzare nel mondo esterno e dal volere comunicare ed intrecciare rapporti. Il singolo vivrebbe quindi in un contesto semantico sì più complesso, ma allo stesso tempo più aperto al confronto in una realtà che gli consente di accrescere le potenzialità esistenziali e comunicative. I legami che si instaurano infatti non sono solo legami deboli, come definiti da Granovetter, in quanto si possono creare dei legami forti che sanciscono l’appartenenza a comunità di cui gli individui si sentono parte integrante e attiva, data da relazioni gratificanti. In questo modo si aumenta il proprio capitale sociale e si continua quel processo di presentazione del sè attraverso la creazione e condivisione di contenuti e il riconoscimento degli altri utenti.
Per concludere è necessario affermare che la solitudine non è nata con i social media e non scomparirà con essi, è però evidente come la rete ne restituisca l’incertezza del mondo odierno in maniera amplificata. Non sono quindi i social la causa della solitudine, perchè semplicemente questi sono uno strumento per renderla visibile e manifestarla, laddove era già insita. Come afferma Turkle, la gente è sola e la rete è seducente, ma se siamo costantemente onlife non si riuscirà mai a percepire che la solitudine porta con sè dei reali vantaggi.
Bibliografia e sitografia
Bauman Z., Consumo, dunque sono, Laterza, Bari 2010
Bauman Z., Danni collaterali, Laterza, Bari 2013
Bonazzi M., La digitalizzazione della vita quotidiana, Franco Angeli, 2014
Mazzucchelli C., La solitudine del social networker, Delos Digital, 2014
Miconi A., Teorie e pratiche del web, Il Mulino, 2018
Peter N., Koles B., The digital transformation of human identity: Towards a conceptual model of virtual identity in virtual worlds, The International Journal of Research into New Media Technologies, 2014
Turkle S., Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, 2012
Autrice
Sono Laura Lovisetto, ho 23 anni, sono laureata in Comunicazione e ora studio Web Marketing & Digital Communication presso lo Iusve. Da diversi anni sono interessata a questa realtà e al mondo dell’advertising online, perchè sono fermamente convinta che i contenuti digitali possano dare un valore aggiunto alla quotidianità e alla vita delle persone.
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