Nell’ultimo periodo, l’avvento della tecnologia e dei social media ha fatto riflettere su svariati temi legati alla sfera antropologica e alla relazione che intercorre tra l’essere umano e i maggiori mezzi di comunicazione. Una delle tematiche più affrontate, che ha scaturito un grande interesse e creato maggiore dibattito è quella dell’identità, in particolare quella digitale, che ha da subito attirato l’attenzione dei maggiori sociologi e psicologi del XXI secolo particolarmente interessati all’ambito digitale ed antropologico.
Secondo l’enciclopedia Treccani, dagli anni Novanta in poi, con l’espressione identità digitale si intende “l’identità costruita da un utente presso comunità virtuali online, spesso di tipo ludico, focalizzata su una dimensione virtuale, contrapposta a quella reale […]”. Inoltre, sempre secondo Treccani, si sostiene anche che “Internet è stata celebrata come il luogo utopico di uno spazio sociale dove età, genere ed etnia risulterebbero infinitamente riscrivibili, consentendo al soggetto di sperimentare forme postmoderne di identità fluida e multipla”, aspetto che riprende il concetto del sociologo polacco Zygmunt Bauman come si vedrà in seguito. Questo avvento delle tecnologie emergenti e dei social media ha portato allo sviluppo del fenomeno associato allo sdoppiamento dell’identità dell’individuo, concetto che era già stato teorizzato in precedenza dal Premio Nobel Pirandello, uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana, agli inizi del Novecento. Nel suo romanzo “Uno, nessuno e centomila”, pubblicato nel 1926, l’autore aveva tentato di dimostrare quale fosse la vera realtà dei fatti, teorizzando che viviamo in una realtà soggettiva in cui ciascun individuo non può mai essere considerato uno, bensì centomila, in quanto molto spesso maschera la propria identità e modella e modera il proprio comportamento a seconda delle diverse circostanze in cui si trova come se indossasse ogni volta una maschera diversa. Sulla stessa linea di pensiero di Pirandello troviamo Erving Goffman, una delle figure più rilevanti della sociologia contemporanea, autore del libro “La vita quotidiana come rappresentazione” (1959). In questo elaborato esamina il tessuto delle relazioni sociali e in generale l’ambiente quotidiano in cui si muovono gli individui, sostenendo che la vita di tutti i giorni possa essere vista proprio come una rappresentazione teatrale in cui ogni persona interpreta una determinato personaggio su un palcoscenico. Ai giorni nostri, questa teoria può essere adattata ai media digitali del nostro secolo che ci danno la possibilità di creare un profilo personale sui vari social network in cui siamo liberi di scegliere chi essere, noi stessi o un’altra persona. Molte volte succede che alcuni utenti, come ad esempio i blogger, preferiscono di gran lunga utilizzare uno pseudonimo per sentirsi più liberi di esprimere le proprie idee, la propria personalità e in un certo senso anche proteggere la propria reputazione. La creazione di questi profili ci permette di controllare noi stessi, ovvero decidere cosa far percepire agli altri del nostro modo di essere, controllare altri utenti e vedere quello che condividono e, infine, creare una vasta rete di contatti e una comunità online in cui possiamo sentirci liberi di esporre la nostra vita e la nostra identità, che sia essa vera o fittizia.
Alla luce di quando è stato detto si può quindi dire che l’uomo sia caratterizzato principalmente da due tipi di identità, una individuale e una sociale. La prima tipologia di identità comprende un insieme di azioni, sentimenti e anche comportamenti che ogni individuo sente propri e che caratterizzano la sua personalità, mentre quella sociale si crea a seconda della stima e della reputazione che l’individuo acquisisce all’interno di una società. In altre parole corrisponde all’idea che le persone si sono fatte di lui. È necessario ricordare che nella società in cui viviamo ogni individuo è solito costruire la propria identità sociale in base al modo in cui vuole apparire e alle aspettative che gli altri nutrono su di lui.
Il concetto di identità si è inevitabilmente modificato ed evoluto con il passare del tempo e questo cambiamento può sicuramente essere associato a due fattori, ovvero la crescita dell’individuo e la trasformazione della società stessa che hanno portato alla nascita di quella che viene definita identità online o digitale. In merito al tema del cambiamento, il sociologo e filosofo polacco Z. Bauman ha tentato di dare una spiegazione di questo aspetto utilizzando la metafora della “modernità liquida”, ovvero una società caratterizzata dalla perdita delle certezze di quella definita “solida” per lasciare invece spazio a una vita che è sempre più mutevole e frenetica. Questo concetto ha portato allo sviluppo dell’idea di un’identità “usa e getta”, ovvero che viene costruita di volta in volta a seconda delle situazioni in cui si trovano gli individui, come succede nei social network.
L’identità digitale, di cui si è accennato in precedenza, trova la sua massima estremizzazione nella figura dei cosiddetti “nativi digitali”, espressione coniata dallo scrittore statunitense Mark Prensky nel suo articolo “Digital Natives, Digital Immigrants” del 2001, per indicare un gruppo di persone, per lo più adolescenti, che molto spesso basano la loro esistenza solo sulla vita online, dimenticando che cosa sia la privacy e l’importanza del mondo al di fuori dello schermo. Una delle conseguenze dirette associate a questo fenomeno è la creazione, da pate degli utenti, di queste false identità all’interno dei social network come Facebook, Instagram ecc. dietro alle quali a volte si nasconde molto di più di un semplice scherzo. Molto spesso i ragazzi, e non solo, utilizzano questi profili falsi per nascondere problemi più gravi come l’insicurezza, la timidezza e la poca stima di sé stessi che li portano ad avere paura della realtà dei fatti e di dire la verità e di conseguenza preferiscono nascondersi dietro ad una bugia.
Tuttavia, questa grande libertà concessa dal mondo online e la presenza incondizionata nei social network molto spesso possono essere considerate un’arma a doppio taglio perché possono portare ad una crisi di identità dell’individuo con conseguenze gravi quali, ad esempio, la totale perdita del senso di realtà. È anche vero però che questo aspetto della creazione di un’identità digitale non porta solo aspetti negativi, ma talvolta si possono identificare anche degli aspetti positivi. Come elementi a favore di questo concetto sono stati identificati, ad esempio, l’estensione della propria rete sociale e la libera espressione di sé stessi e del proprio modo di essere che rispondono rispettivamente al bisogno di appartenenza e a quello di autostima insiti nell’essere umano. Inoltre, Internet e i social network possono essere visti anche come dei veri e propri laboratori di identità perché danno la possibilità di costruire e sperimentare nuove e diverse identità e in questo modo permettono alle persone di estraniarsi da quella che è la routine di tutti i giorni.
In conclusione, in merito a tutte le considerazioni che sono state fatte in precedenza, è importante ricordare che in realtà il mondo virtuale ed il mondo reale nel quale vive un individuo devono essere considerati entrambi come parte di un’unica realtà personale, all’interno della quale non risulta sempre facile scindere le due componenti. Questi due mondi non devono mai essere visti come due cose separate, ma due parti di un’identità unica che ha tante diverse sfaccettature.
Weronika Kurek, studentessa di Web Marketing & Digital Communication, laureata in Mediazione linguistica e culturale.