La blockchain nella governance è il futuro o un’utopia?

 

Marshall McLuhan, uno dei più grandi studiosi di media, disse : “la politica è risolvere i problemi di oggi, con i mezzi di ieri”.  Considerando la sfiducia diffusa nelle istituzioni moderne, in questo articolo si punta a capire se si possano risolvere i problemi di oggi, con nuovi mezzi.

In particolare, valutando la tecnologia blockchain per una democrazia distribuita, come soluzione alla sfiducia nelle istituzioni.

Nella sua versione migliore, la tecnologia blockchain permetterebbe una distribuzione dell’informazione tra tutti i nodi della rete, dando vita a un sistema distribuito, basato su controllo, verifica e dimostrazione come prove assolute di trasparenza.

Da qui, esistono le basi per ipotizzare una “cripto-secessione“, che supera il bisogno dei governi grazie alla blockchain e in una visione ancora più anarchica anche delle nazioni.

 

 

CONTESTO STORICO

La generazione dei millennial è nata affacciandosi a un panorama molto diverso da quello delle due generazioni precedenti.

Quindi, non è un caso se la tecnologia di cui si parlerà si è diffusa nell’anno più buio del nuovo millennio, il 2008.

I baby boomers, nativi degli anni 50-60, avevano conosciuto un’epoca di estrema prosperità, accompagnata da un sentimento di cieca fiducia.  Gli anni del boom economico e del consumismo sfrenato però, non durarono molto. Già gli anni 70’ portarono a un periodo di crisi  e nemmeno la conseguente ripresa assicurò il ritorno allo stesso clima di benessere. La crescita economica infatti, non sarebbe mai più somigliata a quella precedente, era l’inizio di una lunga recessione.

Alla fine del secolo scorso, il capitalismo ha vacillato più volte, ma nella sua incredibile forza ricostruttrice ha sempre saputo ritrovare nuovi spazi e mercati.

Negli anni 90’ infatti,  cominciavano a diffondersi i primi personal computer. La rete era agli inizi di quella che sarebbe stata la più grande migrazione nella storia umana: quella negli spazi digitali. La conseguente bolla delle dot-com mise nuovamente in ginocchio l’economia americana che presto si portò dietro quella globale, ma il vero collasso si toccò nel 2008, con il crollo del sistema immobiliare e poi quello finanziario a “domino”. I debiti pubblici crescevano, l’insicurezza verso il futuro e la sfiducia nel sistema finanziario e governativo si diffondevano, tutto comunicava la fine del progresso lineare e inarrestabile.

Questo clima, ha plasmato lo spirito mio e dei giovani di oggi.

Secondo quanto riportato dal Gastil Democracy Index, dal 2008 al 2016 la percezione di democrazia in America é calata vertiginosamente. Un sentimento senz’altro diffuso a livello globale, infatti,  un’analisi dell’ISTAT del 2013, riporta un drammatico grado di fiducia e partecipazione alla cosa pubblica dei ragazzi dai 14 ai 25. Solo 2 su 10 ritengono credibili i partiti politici.

La cosiddetta rivoluzione tecnologica ha impattato enormemente la società.

Per la prima volta é stata data una voce alle masse, offrendo, possibilità di riscatto e di partecipazione consapevole e attiva. Le nuove generazioni native digitali, per natura sono più portate a una comunicazione orizzontale e maggiore apertura verso le minoranze.

Nonostante la promessa di democrazia, il web si é per molti lati rivelato solo l’ennesimo campo di battaglia per forze monopolistiche, vedendo affermarsi multinazionali e colossi digitali al di fuori della consapevolezza dei più.

Un report dell’ESPAS, risalente al 2015, ha previsto come sempre più difficile elaborare contratti collettivi e far coincidere interessi comuni per mezzo di strutture tradizionali come i partiti politici o i sindacati. Ha preannunciato una tendenza a contestare l’ordine costituito sempre più forte, così come pressioni per una maggiore rendicontabilità e trasparenza nei vari livelli di governance.

Una possibile soluzione che possa restituire potere alle persone sono le piattaforme cooperative, controllate dalla popolazione stessa e autonome dalla sorveglianza da parte dello stato, in un’ottica post capitalista.

Ed è qui, che si arriva alla tecnologia blockchain per una democrazia distribuita, come uno strumento per ripristinare fiducia e la partecipazione.

 

 

 

LA BLOCKCHAIN

 

La tecnologia Blockchain è un’architettura di registro distribuito, ovvero un sistema che si basa su dei registri che contengono dati e sono distribuiti a tutti i nodi indiscriminatamente.

Diventa virale quando, alla fine del 2008 Satoshi Nakamoto introduce il sistema di moneta elettronica, i noti Bitcoin, nella mailing list di appassionati di crittografia.

In realtà, l’idea già esiste dal 1991, quando Haber e Scott introducono una soluzione per marcare temporalmente i documenti digitali.

Ma come funziona esattamente?

Il sistema raccoglie i dati, una volta che un registro è pieno, la transazione è validata con un’impronta digitale detta “hash”, che sigilla il blocco.

Gli hash non comunicano nulla sull’oggetto se non un’identificazione unidirezionale.  Si passa quindi da porre l’attenzione dai nodi a trasferire il focus sulle transazioni. Questo meccanismo è detto “prova di esistenza” o “tokenization”, nella lingua blockchain, è la base di tutto e può applicarsi  a qualunque tipo di dato, oggetto, processo.

Questa tecnologia al momento ha preso piede soprattutto nei settori della finanza, con le criptovalute, e dell’arte che è molto connessa a questo mondo, con la criptoarte.

La finanza decentralizzata (DeFi) permette a due persone di negoziare direttamente tra loro senza la necessità di una terza parte fidata.

Tradizionalmente, i database sono creati, gestiti e controllati da un’organizzazione centrale.

Questo dunque rende molto più vulnerabile il sistema, che se colpito da hacker, o da chi volesse manipolare i dati, sarebbe integralmente compromesso.

Blockchain

 

Se, al contrario, i  database fossero pubblici, chiunque potrebbe archiviare una copia e verificarne l’integrità confrontandolo con le altre. Questo è proprio ciò che rende la blockchain così democratica, l’informazione viene trasmessa nella rete e accettata dai partecipanti,  assicurando trasparenza. E’ possibile dunque risalire a chi ha introdotto una certa informazione e se sia cambiata o meno nel tempo per verificarne la bontà.

Le transazioni non convalidate vengono semplicemente cancellate dal sistema ma, se il blocco è stato validato, ci sono poche possibilità di modificarlo. Il sistema è quasi infallibile: può cedere solo nel caso in cui la maggioranza, almeno il 51% dei partecipanti, decida di collaborare a un’azione di frode.

Il monitoraggio degli hash però, richiede dei partecipanti che fungano da “guardiani” e un modo per ricompensare il loro sforzo. Senza la giusta motivazione, non si può assicurare la manutenzione del sistema.

Da qui, nascono i così detti “protocolli di consenso”, regole che determinano chi possa essere a validare.

Sono stati creati diversi protocolli per creare consenso tra gli stakeholder. Essi si differenziano per vari aspetti, come tipo e quantità di risorse richieste, anche se al momento non ne esiste uno perfetto. I più noti sono:

  • Protocollo Proof of Stake: qui il validatore delle transazioni viene scelto per ricchezza o un altro criterio.
    Ne è un esempio il caso della criptovaluta Bitcoin, in cui i partecipanti con risorse più elevate sono già privilegiati.  C’è un generatore di numeri che seleziona un Nextcoin ogni 60 secondi con un numero di serie e il proprietario della moneta selezionata ha il diritto di effettuare la verifica; il partecipante poi riceve una piccola ricompensa. Se il computer è offline, un nuovo verificatore viene selezionato dalla rete e la persona selezionata originariamente non viene retribuita. Questo spinge coloro che possiedono più Nextcoins a non spegnere mai i loro computer poiché la probabilità di essere selezionati per la verifica e di compensazione è maggiore, producendo un reddito più alto e un circolo vizioso.
  • Protocollo Proof of Work: questo algoritmo risolve calcoli molto complessi.
    Il successo del minatore dipende dunque dalle risorse del computer e anche da fortuna. Questo protocollo richiede così tanta potenza di calcolo che un dispositivo convenzionale non è in grado di fornire. Solo minatori che utilizzano dispositivi costosi e specializzati chiamati “mining rig” possono partecipare. Ciò significa che la partecipazione alla governance su una blockchain Proof-of-Work è un affare “pay-to-play”. A complicare le cose è il fatto che molti minatori di Bitcoin operano come parte di “pool minerari“, attraverso i quali combinano le proprie risorse di calcolo per condividere i profitti del mining.
  • Protocollo Proof of Capacity: un algoritmo che consente ai dispositivi di mining nella rete di utilizzare lo spazio disponibile sul disco rigido per decidere i diritti di mining. Maggiore è la disponibilità di spazio sul disco, maggiori sono le possibilità che un nodo ottenga i diritti di mining, dunque la problematica è la stessa di PoW.
  • Protocollo Proof of Elapsed time: basato su estrazioni casuali, dove ogni nodo ha la stessa possibilità di ottenere i diritti di mining. In questo caso è in dubbio la trasparenza di chi dovrebbe creare l’algoritmo.

 

 

GOVERNANCE E BLOCKCHAIN

 

Il concetto di memoria collettiva è qualcosa che si rifà a comportamenti ancestrali nell’uomo.

Si è visto che l’idea di blockchain esisteva già da prima del 2008, ma la realtà è che riprende dei modelli esistenti dall’antichità.

Sull’isola di Yap in Micronesia, ad esempio, le proprietà e i valori delle monete erano conservate solo nella memoria locale delle persone. La blockchain, quindi potrebbe vedersi come un’evoluzione di questo sistema.

John Commons (1924) in “Fondamenti legali del capitalismo”, sostiene che alla base dello sviluppo del capitale ci siano le idee di contratto e proprietà, di conseguenza, il nostro intero sistema economico è basato sulla verifica di registri. Tuttavia, questa efficienza è ottenuta al prezzo di un potere centralizzato, capace di manipolare ed estorcere l’informazione per secondi fini.

L’utopia dell’anarchico si rifà all’idea di una società in cui gli individui siano completamente liberi di scegliere e di associarsi. L’anarchismo nel corso della storia è stato respinto da coloro che invece credono che spetti allo stato detenere l’ultima parola. Potremmo pensare al modello Wikipedia come esempio di società decentralizzata e anarchica in cui la comunità si autoregolamenta anche nelle votazioni. All’opposto, potremmo invece vedere una società come quella di Fb come iper chiusa e regolamentata.

La maggior parte degli sforzi di ricerca sulla democrazia digitale si sono concentrate su petizioni, votazioni e progettazione di piattaforme di collaborazione online per il processo decisionale collettivo.

Esistono diverse piattaforme online per coinvolgere cittadini come We Collect, piattaforma svizzera indipendente e senza scopo di lucro che modera il networking dei cittadini e raccoglie firme per iniziative e referendum, che però non è progettata per feedback e interazioni in tempo reale.

La piattaforma software Smart Agora invece, spinge i cittadini a rispondere alle domande sul proprio telefono in base a ciò a cui assistono nello spazio urbano in quel momento. I punti di interesse possono essere promossi da politici che seguono una certa campagna, oppure essere basati su modelli incentivanti, con premiazioni in forma di criptovaluta. Per esempio, si possono consegnare dei gettoni per l’acquisto di biglietti per i trasporti pubblici.

Alcuni vedono per il futuro  una “cripto-secessione”, con l’uscita dall’adesione alle strutture istituzionali a favore del sistema blockchain.

Immaginando di poterlo applicare alla governance, si potrebbe pensare di ricreare una sorta di “antica Agorà di Atene digitale”, un’arena del discorso pubblico o una Polis dove i cittadini deliberano attivamente su diverse questioni. La tecnologia Blockchain potrebbe permettere di giungere a un consenso senza il ruolo di un’autorità come intermediario, in quanto il registro pubblico verrebbe conservato da tutti e aggiornato mediante assenso collettivo.

In un articolo pubblicato da Hardwick et al. (2018), gli autori propongono un potenziale nuovo protocollo di voto elettronico, che utilizza la blockchain come file/urne trasparenti. Il sistema consente all’elettore di modificare o aggiornare il proprio voto entro un certo periodo.

Nel 2018 in Virginia dell’Ovest, fu implementato il primo sistema di voto blockchain nella storia americana per via mobile e disponibile a un gruppo selezionato di elettori.

Horizon State è una delle società pioniere nell’uso della tecnologia Blockchain come mezzo per conservare i registri delle votazioni.

L’applicazione di questa tecnologia potrebbe risolvere problemi comuni sollevati nelle prassi elettorali di molti paesi, come l’ipotesi di operazioni di hackeraggio che possono influenzare i sistemi di voto online, cosa che difficilmente avverrebbe con la blockchain.

Come sostiene Noizat (2015): “i sistemi di voto elettronico esistenti, soffrono tutti di un grave difetto di progettazione: sono proprietari. Esiste un unico fornitore che controlla la base di codice, il database e gli output del sistema e fornisce gli strumenti di monitoraggio allo stesso tempo”, il che mette in crisi l’idea stessa di democrazia.

Per citare solo alcuni casi, nel 2000 in Florida, i voti furono ricontati e lo stesso avvenne nel 2016 in altri stati. Se alle recenti elezioni americane che hanno visto Trump e Biden sfidarsi fosse esistito un sistema più trasparente, forse il leader repubblicano avrebbe avuto meno argomentazioni sulla non validità del voto.

Il caso “Hard Fork” che coinvolse la criptovaluta Ethereum nel 2016, tuttavia, dimostrò che la blockchain può essere modificata. L’operazione è stata messa in atto dagli stessi fondatori, al fine di recuperare 60 milioni di dollari sottratti da hacker. L’azione controversa, dimostra che la censura centrale non è impensabile dunque. Ne deriva che la tecnologia blockchain non elimina completamente i rischi associati al voto, ma piuttosto riorganizza il panorama del rischio.

Tornando al tema della votazione online, bisogna considerare che le persone dipendono ancora da un sistema esterno che legittima la libertà di voto. Se l’intero sistema dovesse essere completamente controllato dagli elettori, anche il database delle credenziali degli elettori dovrebbe essere gestito su una blockchain.

Infine, tornando ai protocolli di consenso, nel caso del POS, la maggior parte dei partecipanti dovrebbero essere online. Tuttavia, la maggioranza degli elettori potrebbe sabotare il sistema andando offline. Anche la questione della ricompensa va pensata, in un sistema di voto nel quale ogni partecipante ha un solo voto e quindi nessuno ha un incentivo ad utilizzare le risorse per la verifica.

 

 

DEMOCRACY EARTH

 

L’idea di blockchain applicata alla politica sta prendendo sempre più piede e ne è un esempio la piattaforma “post-state” Democracy Earth.

Essa è stata co-fondata nel 2013 a Palo Alto, California, da Pia Mancini, attivista e politica per la democrazia open source sudamericana, che studia come implementare la tecnologia Blockchain per una democrazia distribuita.

L’idea nasce dal voler modificare il concetto di governance, convinti che con l’affermarsi di piattaforme peer to peer e open source, l’intermediazione politica non sia più necessaria. Il software si può applicare a diverse questioni, come il voto ma anche l’identità, in quanto è possibile registrare il momento della nascita di una persona nella catena invece che per conto dello stato, come è avvenuto con la figlia di Pia Mancini.

Santi Siri, il CEO di Democracy Earth, afferma che l’obiettivo della piattaforma è di formalizzare le persone su blockchain, accoppiando a ogni uomo un nodo. Anche lui racconta di come sua figlia sia stata “tokenizzata” alla nascita, vedendole affidato un hash che prova l’evento e la sua identità.

La rilevanza di ogni nodo o persona, è calcolata da un algoritmo in base alla popolarità, come i più noti social networks.

Le difficoltà sono due: provare che non sia una macchina ma un uomo a processare la propria identità e non permettere identità multiple. La validità dell’identità viene anche riconosciuta dagli altri nodi e dalla loro autorità. Partendo da quest’idea di identità il sistema può permettere di votare idee e iniziative che vengono pubblicate sulla piattaforma.

La visione di Democracy Earth non è solo quella di permettere votazioni sicure e più democratiche, ma anche l’utopia di attribuire a ogni nodo, ogni persona, un’identità digitale, che vada al di là delle appartenenze nazionali, puntando a una democrazia globale libera dai governi.

 

 

 

CONCLUSIONI

 

La blockchain ribalta dei concetti semplici come quello della privacy, il modo di sentirsi più sicuri non è più nascondersi, ma rendere tutto pubblico.

E’ stata considerata come nuova forma di governance distribuita tuttavia, anche se spinge a moltissime ipotesi su scenari futuri, restano alcuni dubbi.

L’intrinseca necessità di convalidazione, come quanto esposto in precedenza.

In secondo luogo, se guardiamo questa tecnologia con occhi più critici, la blockchain potrebbe apparire quasi come una “dittatura cronologica”, capace di amministrare dati, ‘identità, beni e servizi, stabilendo un nuovo regime di controllo. Questa visione si rifà all’idea distopica di Internet come sistema di sorveglianza invece che forma di democrazia. Ribaltando l’idea di blockchain sviluppata fino ad ora infatti, la si potrebbe considerare una nuova forma di “sovranità dell’era post-digitale”, andando contro alla promessa di web libero originaria.

Alcuni attivisti per la sostenibilità, hanno anche sollevato preoccupazioni rispetto a bisogni eccessivi di energia elettrica, richiesti per esempio dall’attività di mining nel protocollo PoW. Secondo uno studio (de Vries, 2018) l’energia totale annua consumata dal mining di Bitcoin è approssimativamente equivalente a quello speso annualmente dall’intera popolazione dell’Irlanda.

Cercando di comprendere meglio alcune problematiche, lo studioso di blockchain Marco Crotta, divulgatore a eventi come TED,  si è gentilmente prestato per rispondere ad alcuni punti. In particolare, rispetto alla questione della validazione. Egli sostiene che le blockchain “vere” siano quelle pubbliche, open, permissionless in cui chiunque può candidarsi ad essere miner. Chi lo fa lavora per la rete e per se stesso ed è la competizione tra miner e la verifica autonoma ed indipendente di ogni nodo che fa si che questo processo si mantenga pulito. Infine, aggiunge qualcosa che ha cambiato il mio modo di vedere questa tecnologia: “vanno eliminate del tutto parole e concetti come “fiducia, garanzia, certificazione” e vanno sostituite con “controllo, verifica, dimostrazione“”.

Nonostante questi validi spunti, resta il dubbio della corruttibilità del sistema e della formazione di nodi più potenti. Come riporta Miconi citando Wu: “ogni grande svolta tecnologica nella storia vede due fasi: una di decentralizzazione e promessa di cambiamento e un ritorno al mercato chiuso”.

Resta l’idea che le interazioni degli Stati con i cittadini debbano essere oggetto di una riforma radicale, che coinvolga: definizione più chiara delle priorità, trasparenza, sistemi di comunicazione più limpidi e sistemi di governance più moderni, con un maggiore allineamento tra le istituzioni. E’ improbabile che lo Stato sarà completamente sostituito, almeno nel breve periodo. Tuttavia, l’affacciarsi di alternative come la blockchain potrebbe essere fattore motivante a un cambiamento.

Sentiremo parlare sempre più di blockchain in svariati settori.

Tuttavia, anche se la tecnologia Blockchain per una democrazia distribuita fosse solo un’utopia, la direzione intrapresa è interessante, vedendo un ritorno di attenzione per il pubblico e un bisogno di cambiamento.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

 

 

Mi presento, sono Beatrice Perrone, originaria di Torino ma vivo a Verona dove studio Marketing e Comunicazione

alla IUSVE. Un percorso di tre anni in Psicologia mi ha portata a incontrare il mondo della comunicazione, un settore sterminato e sempre stimolante.

Mi appassiona analizzare i fenomeni e stravolgere i modi in cui percepiamo la realtà.