Introduzione

Nel corso degli ultimi anni i social media hanno acquisito un ruolo sempre più fondamentale nella vita quotidiana delle persone, influenzando diversi ambiti: dall’economia all’istruzione e dalla sfera politica alla sfera sociale.
Uno dei settori che ha subito un maggior impatto, da parte di questa rivoluzione dei mezzi di comunicazione, è stato quello dell’informazione. Infatti, il passaggio dai mass media tradizionali ai media digitali, oltre ad aver cambiato i modelli comunicativi tradizionali, ha aperto le porte a nuove opportunità nel mondo della comunicazione; tuttavia ha introdotto nuovi rischi e nasconde alcune insidie, alcune delle quali tratteremo in questo articolo.

Questo elaborato non vuole trattare del ruolo generale dei social media e del loro impatto nella società odierna, ma vuole concentrarsi su un argomento ben specifico: il ruolo dei social media nella comunicazione del conflitto Russo-Ucraino. In particolare, l’obiettivo dell’analisi consiste nell’indagare la percezione degli italiani per quanto riguarda l’informazione e la disinformazione sui mezzi di comunicazione digitali.
L’articolo è suddiviso in tre parti: nel primo capitolo esamina alcuni cambiamenti già avvenuti, e altri che sono in corso di sviluppo come, per esempio, il passaggio da un modello comunicativo verticale (top-down) e unidirezionale (one to many), ad un modello orizzontale, quindi senza gerarchie e ruoli, e multidirezionale (many to many). Cerchiamo, inoltre, di dare un quadro teorico per contestualizzare il tema dell’informazione e della disinformazione sui social media. Questo capitolo vuole spiegare il perché questi strumenti hanno superato i media tradizionali a livello di audience, evidenziando tuttavia le insidie a cui si può andare incontro quando si utilizzano i social media come mezzo d’informazione. Infatti, tratteremo di fenomeni quali le fake news, le echo chambers, le filter bubbles, la polarizzazione delle opinioni e il framing.

Nella seconda parte andiamo a trattare nello specifico del ruolo dei social media nel conflitto tra Russia e Ucraina. Da quando questa guerra è cominciata le piattaforme di comunicazione online sono state impiegate in diversi modi e con diverse finalità. Dal punto di vista del fronte ucraino per esempio, i nuovi media vengono utilizzati per reclutare nuove persone alle armi, motivare la popolazione e trovare sostegno da parte della comunità internazionale.
Il Cremlino invece, si avvale della comunicazione digitale per fare propaganda e, come vedremo, ha addirittura vietato l’accesso ai suoi cittadini ad alcune piattaforme di social media. In questa sezione, si tratta appunto anche della censura messa in atto da parte del governo russo sui suoi cittadini, oppure anche delle limitazioni introdotte da parte delle piattaforme social verso la Russia.

Nel terzo capitolo ci siamo occupate di analizzare i dati provenienti dal questionario, realizzato appositamente per indagare e comprendere la percezione degli italiani per quanto riguarda l’informazione e la disinformazione sul conflitto Russo-Ucraino veicolato tramite mezzi di comunicazione online. Attraverso questa indagine, composta da un totale di sei domande per lo più di tipo quantitativo, e una piccola parte di tipo qualitativo (in cui veniva chiesto un commento personale), abbiamo raccolto 167 risposte, provenienti da persone di diverse fasce d’età.

Nell’ultima parte di questo elaborato portiamo una discussione in cui commentiamo i risultati emersi dal questionario, e cerchiamo di condividere una riflessione e una conclusione finale riassuntiva del tema in oggetto.

Quadro teorico:  informazione e disinformazione sui social media 

I social media

A cosa ci riferiamo quando parliamo di “social media”?
Quando si utilizza questa espressione si fa riferimento a quei mezzi di comunicazione che permettono agli utenti di creare e condividere contenuti, foto, video in maniera autonoma, attraverso piattaforme connesse ad Internet.
Una delle definizioni più famose, che cerca di spiegare questa particolare tipologia di media, spiega che sono “un gruppo di applicazioni internet-based che costituiscono i fondamenti ideologici e tecnologici del Web 2.0 e che consentono la creazione e lo scambio di user-generated content”.Questa spiegazione è stata proposta da Andreas Kaplan e Michael Haenlein all’interno dell’articolo “Users of the world, unite! The challenges and opportunities of social media“.

Ma in cosa differiscono i social media rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali?
La differenza principale è la modalità di comunicazione utilizzata, infatti con i mass media, cioè i mezzi di comunicazione di massa, i messaggi erano unilaterali di tipo “one to many”, dove il poter comunicare era un privilegio di poche persone (aziende) che parlavano a molti (alle masse). Questo metodo viene anche chiamato “top-down”, in quanto i messaggi arrivavano dall’alto e si muovevano verso il basso.

La caratteristica dei social media è la loro orizzontalità, infatti la creazione e diffusione dei contenuti non ha più le sembianze di un monologo, ma diventa sia un dialogo tra gli utenti che utilizzano queste piattaforme, sia uno scambio utente-azienda, in cui non si ha più un emittente e un ricevente fisso, ma i due ruoli si alternano in continuazione.
Nei social media il rapporto tra le persone che dialogano è di tipo orizzontale, e il messaggio è multidirezionale, di tipo “many to many”, queste caratteristiche significano che questo nuovo modello comunicativo cancella le diverse gerarchie presenti nei media tradizionali, e mette i soggetti tutti allo stesso livello.
Il modello del Web 2.0 ha permesso alle persone di passare dall’essere “consumer”, cioè individui che usufruiscono di beni e servizi in maniera passiva (tipologia di utenti rappresentativa del web 1.0), ad essere “producer”, coloro che superano questa caratteristica di passività, per arrivare ad occuparsi attivamente della produzione, o al miglioramento, dei beni o dei servizi.
Strumenti come i social media, hanno riscritto ancora una volta il ruolo del consumatore, rendendolo parte integrante dell’intero processo produttivo, tanto da essere definito come “prosumer”. Questo termine vuole essere l’unione delle due espressioni citate in precedenza, e vuole dare un nome agli utenti che, oltre a partecipare attivamente alla produzione, si occupano anche di recensire, far conoscere, o anche criticare, i vari prodotti o servizi provati attraverso internet, così da informare altri potenziali clienti.

Quindi l’avvento dei social media ha portato molti cambiamenti, che non toccano solo la sfera tecnologica, ma anche i modelli comunicativi, e di conseguenza anche le modalità di aggregazione sociale. 

Informazione sui social media

Ma perché i social media vengono utilizzati per informarsi?
Al giorno d’oggi uno degli strumenti più utilizzati come mezzo di informazione, soprattutto tra i giovani, sono i social media. Questi strumenti sono usati dal 67% della popolazione americana come strumento principale per informarsi, superando così l’uso dei mass media (come radio e televisione). 

Uno degli aspetti più caratteristici delle società odierne è la velocità, che si tratti della velocità di produzione di beni, o quella degli spostamenti, oppure la velocità nell’ambito delle relazioni sociali, questa caratteristica è presente in ogni settore.
Per questo motivo i social media sono così popolari: le notizie vengono diffuse con grande rapidità, sono in continuo aggiornamento e perciò sono uno strumento perfetto per restare costantemente aggiornati su quello che succede in ogni parte del mondo.
Il successo di questi mezzi di comunicazione si basa anche su fattori psicologici come la FOMO, cioè la “Fear Of Missing Out”, ovvero la paura di “perdersi qualcosa”, di non essere costantemente aggiornati, di restare fuori dall’onda della novità.

Per quanto l’avvento dei media sociali abbia condotto a cambiamenti soprattutto positivi, non sono da dimenticare le conseguenze negative.
La rapida ed immediata diffusione dell’informazione vale non solo per le informazioni valide, ma funziona anche per la propagazione di fake news che fanno cadere le persone nella trappola della disinformazione.
Sui social network circolano infatti una quantità molto elevata di notizie false, ovviamente non tutte intenzionali, ma alcuni articoli vengono appositamente costruiti con titoli inventati ad hoc per riuscire ad invogliare il lettore a cliccare e ad aprire il link (fenomeno del click baiting), generando così traffico sul sito e guadagnando in visibilità. 

Il vantaggio, e allo stesso tempo il problema, della Rete sta proprio nella sua caratteristica principale: la disintermediazione. Le informazioni vengono condivise in tempo reale, senza nessun filtro e possono essere distribuite da chiunque, infatti ogni utente di Internet può  potenzialmente essere un produttore di contenuti. La credibilità di un editore di contenuti online, non è data dalla sua competenza comprovata a scrivere, o dal suo percorso di studi, ma dalla sua visibilità, conquistata grazie a fattori come carisma, capacità di essere accattivante con i lettori e molto altro.
Questa libertà di parole genera un altissimo numero di contenuti presenti online, ed è a causa di questa enorme quantità di informazioni che è molto difficile controllare se ogni notizia presente in Rete è attendibile e proviene da una fonte credibile.
Questo controllo andrebbe fatto, in quanto, a differenza degli articoli tradizionali su giornali cartacei, le informazioni diffuse attraverso il Web e i social network non sono costrette a seguire la deontologia giornalistica e non sono neanche controllate da dei criteri di verifica delle fonti. 

Viviamo in un’epoca in cui l’oggettività dei fatti è diventata di secondaria importanza a fronte del loro impatto emozionale o della loro implicita aderenza alle nostre convinzioni. Quando le persone utilizzano la rete per informarsi è come se entrassero in una bolla di superficialità, dove niente deve essere messo in discussione. Questo perché è stato individuato un particolare meccanismo psicologico che si attiva e che è chiamato “de-individuazione”, il quale fa sentire le persone come in un mondo irreale, dove è possibile fare quello che si vuole senza dover subire delle conseguenze. E questo porta ad informarsi con moltissima leggerezza e anche a credere di avere un’opinione molto valida su un argomento di cui non si sa in realtà niente, semplicemente perchè sono stati letti degli articoli in merito sui social media. 

Charles Simic, poeta e accademico statunitense, in un suo articolo pubblicato nel 2012 definiva il nostro periodo storico come “l’Era dell’Ignoranza” (Age of Ignorance), cioè un’epoca  in cui siamo circondati dalla disinformazione veicolata tramite strumenti come la TV ed Internet. Però Simic approfondisce il discorso spiegando che non ritiene che siano i mezzi utilizzati per informarsi la causa di questo numero elevato di fake news, e che non sia neanche colpa delle persone comuni, ma anzi porta avanti un’importante critica, secondo cui l’unico che ci guadagna ad avere una popolazione poco o male informata è il sistema politico ed economico dei diversi stati.

Disinformazione cosa significa

Ma cosa sono esattamente le cosiddette “fake news”?
Le fake news sono tutte quelle notizie non vere, inventate totalmente o anche solo in parte, che cercano di ingannare i lettori, e che sono un grosso problema per le persone, ma anche per la società in generale. 

Il termine “informazione” ha un unico significato, invece la parola “disinformazione” può avere diverse forme e sfumature. Infatti in inglese, a seconda di alcuni fattori, vengono utilizzati due termini differenti: “misinformation” per indicare un’informazione sbagliata o ingannevole che è stata creata possibilmente anche per errore, invece “disinformation” è una notizia prodotta intenzionalmente per fuorviare o ingannare il lettore. 

Secondo l’Oxford Internet Institute (OII) il fenomeno delle bufale nei social media in tutto il mondo aumenta di anno in anno. Da un loro rapporto si evince che “Facebook” è, in circa 56 paesi, la piattaforma con la maggior quantità di fake news condivise.
L’Italia, a differenza di altri paesi, è ancora “indietro” nell’utilizzo delle fake news, infatti da noi ha scopi quasi prettamente politici, mentre non è utilizzato come punto a favore di brand, aziende e altri tipi di organizzazioni. Il confronto fa capire quanto l’Italia sia ad uno dei primi stadi di questo fenomeno, sia a livello di scopi che a livello di strumenti utilizzati, e che ovviamente sta cercando di ampliarsi per raggiungere i livelli di altri paesi.

Tutti questi sistemi di disinformazione non scompariranno in futuro, anzi diventeranno sempre più numerosi ed efficaci, quindi bisogna fare dei passi avanti nella loro analisi e capire come fare per contrastare la diffusione sempre più ampia delle fake news. 

Disinformazione e democrazia

Come detto in precedenza, la disinformazione è un pericolo non solo per il singolo individuo, ma per l’intera collettività, infatti essa è in grado di manipolare i meccanismi informativi, di incidere negativamente sulla democrazia di un paese, influenzando addirittura i processi elettorali. 

Ha trattato del rapporto tra disinformazione e democrazia l’evento I confini del diritto e la disinformazione online” svolto all’inizio di Maggio 2022 a Roma su iniziativa di @LawLab e School of Law, in collaborazione con la Fondazione Italia Digitale.”
L’evento nasce a seguito di un report condotto dai ricercatori senior e junior di @LawLab a partire da settembre 2021, che si occupa di proporre un confronto tra il metodo americano e quello dell’Unione europea nel trattare il fenomeno della disinformazione online e delle fake news.
A questo evento hanno presenziato molte figure appartenenti ad ambiti diversi, facendo degli interventi sull’argomento e spiegando il loro punto di vista. Per esempio Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Government, ha voluto sottolineare quanto la disinformazione influisca nella democrazia di uno stato, in quanto altera la verità e anche i diversi modi per arrivare a questa verità. 

Francesco Giorgino, direttore del Master in Comunicazione e Marketing Politico ed Istituzionale della Luiss, ha parlato di cosa secondo lui bisogna fare per combattere le fake news e la disinformazione in Rete. Ha ricordato che ovviamente è necessaria una regolamentazione maggiore in termine di verifica delle fonti e di fact-checking, ma secondo lui è molto importante il  “programma di socializzazione degli utenti”. Questo programma vuole insegnare a navigare sul web con meno superficialità, quindi cercare di promuovere una maggior consapevolezza e un utilizzo delle informazioni più intelligente e critico. Quindi per Francesco Giorgino il punto centrale deve essere l’educazione digitale degli individui, partendo sin dalla tenera età.

Un altro importante intervento è stato tenuto da Francesco Nicodemo, autore del libro “Disinformatia” dedicato alle fake news, che ha voluto virare il suo discorso verso esempi pratici. Infatti, ha trattato di alcuni eventi internazionali in cui il tema della disinformazione è centrale, e cioè la Brexit e la vittoria di Trump del 2016. Questi sono due esempi in cui è stato costruito un insieme di fake news così convincenti da riuscire a condizionare il risultato del voto. Nicodemo spiega come, per risolvere il problema della disinformazione, bisogna mettere in atto dei processi per riuscire a ridurre quella disuguaglianza, in ambito comunicativo, presente tra le élite e l’opinione pubblica.  

La diffusione delle fake news

Ma quanto sono frequenti veramente le fake news?
Secondo il Censis in Italia è stato registrato un aumento nell’utilizzo dei social media come strumento per reperire notizie nel corso dell’emergenza sanitaria. Infatti circa il 29,8% della popolazione totale ha cercato informazioni sulla pandemia attraverso Instagram, Facebook e Twitter.
Le persone avevano sia l’urgenza di comprendere cosa stesse succedendo in quel periodo così irreale che stavano vivendo, sia sentivano il bisogno di essere sempre aggiornati, ma non avendo identificato una fonte autorevole da seguire, c’è stato un aumento di fake news e di teorie cospiratorie.

Secondo un report del 2021 del Reuters Institute for the Study of Journalism presso l’università di Oxford, chiamato “Digital news report 2021” e che prende in analisi circa 46 Paesi, la credibilità delle notizie lette sui social resta elevata e Facebook è stato riconosciuto come principale social media produttore di fake news.

Un dato veramente interessante è stato evidenziato da una ricerca della Fondazione Mondo Digitale, in cui il 98% degli intervistati afferma di sapere che cosa sono le fake news e addirittura il 63% sostiene di essere in grado di distinguerle dalle notizie vere. 

Ma allora perchè, se una percentuale così elevata crede di non cadere nella disinformazione, questo fenomeno è ancora così diffuso?
La risposta è semplice: le persone si credono più brave di quello che sono, infatti hanno un’eccessiva fiducia nelle proprie capacità, ma in realtà non tutti riescono effettivamente a riconoscere le informazioni vere e quelle false che girano sui social. 

Non solo fake news: filter bubbles e  echo chambers 

Per avere una visione più ampia su come funziona l’informazione online, bisogna avere la consapevolezza dell’esistenza di altri fenomeni riguardanti la (dis)informazione digitale, come per esempio: cosa sono le echo chambers, come funziona il meccanismo del framing, cosa si intende per polarizzazione delle opinioni e molti altri argomenti che andremo qui di seguito a trattare. 

Il Web è contraddistinto da una chiusura, o clusterizzazione, che porta a riconoscersi in comunità, le cosiddette echo chamber, in cui ci si ritrova con i propri simili e si rafforzano i propri punti di vista, rifiutando le informazioni che invece vanno contro alla nostra opinione.
Sono i social media che creano questo meccanismo, infatti sono progettati da algoritmi che creano una filter bubble, cioè una specie di bolla che fa in modo che gli utenti incontrino solo le notizie coerenti con quello con cui abbiamo interagito in precedenza e con quello condiviso da persone appartenenti alla nostra cerchia. 

Ovviamente i social media sono stati pensati con questo algoritmo sempre più affinato, per rendere più interessante l’esperienza dell’utente, ma come conseguenza ha portato all’esclusione di una parte importante di informazioni, che funziona come una specie di “censura”.
Ed è a causa della filter bubble che sono nate le camere dell’eco, chiamate così appunto perchè ci imbattiamo soltanto in notizie che sono coerenti con  le nostre opinioni.
Ma la presenza di queste echo chambers non è data solo dalla filter bubble, ma è una conseguenza della crisi di credibilità dei media tradizionali che ha portato a cercare le risposte su altri media, come i social, con i loro news feeds, ricchi di no notizie, selezionate ad hoc per l’utente, in linea con le convinzioni di questo. 

Un effetto generato dalle echo chambers è la polarizzazione delle ideologie, cioè le persone ormai tendono a dividersi su ogni questione, che sia politica, sociale, economica, in due schieramenti, occupando posizione opposte ed estreme, così eliminando i pensieri centrali, che sono quelli più moderati.
L’ambito che è più colpito da questo fenomeno è quello della politica, basta infatti osservare il dibattito tra complottisti e coloro che al contrario sostengono la scienza. Quando si tratta di questo argomento le posizioni sono due, appunto citate in precedenza, e le persone si suddividono solamente in questi due gruppi.
Quando si cerca di introdurre una spiegazione scientifica all’interno di echo chambers formate da complottisti, e cioè si cerca di fare del debunking (sfatare qualche credenza), si ottiene l’effetto opposto a quello desiderato, infatti non solo il discorso non verrà ascoltato veramente, ma inoltre peggiorerà la radicalizzazione del pensiero. 

Un altro meccanismo mentale è quello del framing, che è il processo che porta gli individui a interpretare i problemi, le notizie e le informazioni in modo diverso a seconda di come viene presentata loro la spiegazione. Per questo viene definito effetto framing, perché la reazione può variare a seconda del “frame” o dell’inquadratura che viene data al contenuto.

Nessuno di noi riesce ad evitare tutti questi processi descritti in precedenza, infatti ne siamo stati tutti vittime almeno una volta nella vita, e nonostante prendiamo consapevolezza di questi fenomeni, comunque non riusciamo a “scappare” ad essi.
Questo accade non a causa della stupidità della persona, ma deriva da una serie di meccanismi, come per esempio la tendenza degli individui a condividere le notizie diffuse dai propri contatti, e che nella maggior parte dei casi appartengono alla stessa echo chamber della persona. Questa fiducia per chi condivide lo stesso sistema di valori porta alla diffusione e al rinforzo della disinformazione, e alla sfiducia delle altre fonti che invece sono esterne al nostro “gruppo” di pensiero.

Uno dei primi studiosi di questi fenomeni è stato il sociologo e semiologo Mauro Wolf, infatti nel suo testo “Teorie delle comunicazioni di massa” afferma che «i componenti dell’audience tendono a esporsi all’informazione congeniale alle loro attitudini e a evitare i messaggi che sono invece difformi» e anche che «le campagne di persuasione sono ricevute soprattutto da individui che sono già d’accordo con le opinioni presentate o che comunque sono già sensibilizzati».

Il dovere delle piattaforme 

Questa guerra contro la disinformazione deve essere portata avanti dai Governi, dai vari organi e istituzioni che si occupano di digitale e ovviamente dalle piattaforme digitali su cui circolano principalmente queste notizie false.
Riuscire a combattere questo fenomeno è molto complicato, anche per le piattaforme, in quanto il caos informativo presente in rete è talmente ampio che rende difficile anche ai più esperti capire da chi deriva una notizia e quindi verificare la sua credibilità.

Google, Facebook, Twitter stanno lavorando per creare dei metodi per limitare questa condivisione di fake news e per promuovere l’emergere delle notizie vere e attendibili, infatti per esempio Google e Twitter si basano su un approccio che utilizza degli algoritmi, Facebook invece integra questo meccanismo informatico aggiungendo anche il feedback dei propri utenti sulle varie notizie. 

Qualche anno fa Google creò una coalizione con aziende appartenenti a vari settori, come il New York Times, il Washington Post, Facebook, Twitter e la CNN, che aveva come scopo quello di bloccare questo fenomeno della disinformazione. Volevano riuscire in questa impresa offrendo agli utenti degli strumenti di verifica efficaci per comprendere se un’informazione fosse vera o se fosse una fake news. 

Google nel 2018, quando nell’edizione americana/inglese di questa piattaforma (e in altri servizi di Google) venne introdotta una specie di etichetta che serviva a distinguere le notizie di cui era stata comprovata la veridicità, infatti veniva indicata la dicitura “fact check” (il fact checking consiste in azioni aventi lo scopo di verificare l’autenticità di informazioni e l’obiettivo di evitare disinformazioni). Google inoltre condivise con i suoi utenti una lista con i link a siti che si occupavano, in tempi molto brevi, di verificare le notizie che venivano pubblicate in rete, così anche da rendere autonomo il fact checking da parte degli utenti.

Un approccio incentrato sull’uso degli algoritmi non è ritenuto dagli studiosi del settore come un sistema efficace, in quanto gli algoritmi potrebbero essere poco accurati o inefficaci e condannare anche la circolazione di qualsiasi tipo di informazione. Infatti, questa limitazione potrebbe essere usata dai complottisti come metodo per confermare la loro tesi, e cioè che qualcuno cerca di censurarli.

Filippo Menczer, studioso dei metodi che combattono la diffusione delle fake news, mette a disposizione nel sito del suo progetto Truthy una serie di strumenti come per esempio quello per verificare se un certo account Twitter è più probabile che sia un BOT o un essere umano.
L’attenzione verso il fenomeno della disinformazione e delle fake news, non deve interessare solo gli individui, anzi coloro che maggiormente possono fare qualcosa per risolvere il problema, sono le aziende proprietarie delle varie piattaforme di social networking, le quali dovrebbero collaborare con i vari Stati e le loro legislazioni, per contrastare la diffusione di questo problema. 

 

Il ruolo dei social media nel conflitto Russia – Ucraina

I social media come mezzo di informazione nella guerra 

I social media, le nuove forme di relazioni, sono diventati per noi lo spazio principale per lo scambio di informazioni, opinioni, per stabilire relazioni, ma anche per lavorare e imparare. Tramite le piattaforme digitali, le informazioni vengono create e diffuse da chiunque, si trasformano le relazioni private e pubbliche, fino a condizionare in modo dominante fenomeni sociali e politici.
Contemporaneamente, questi strumenti hanno manifestato la loro forza nel trasmettere informazioni e notizie di interesse generale, e nel raccontare con straordinaria velocità fatti di rilevanza pubblica.
Negli anni sono stati numerosi gli eventi mondiali, in cui i social media hanno avuto un ruolo considerevolmente importante, e che hanno rappresentato in prima persona il flusso informativo che trattava di questi accadimenti.

Il 24 febbraio 2022, i social media sono diventati un mezzo sia di comunicazione e informazione, che di propaganda politica nel conflitto tra Russia e Ucraina. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha sconvolto il mondo. Ha, giustamente, monopolizzato i titoli dei giornali, della stampa e sulle piattaforme digitali si trattava solo di questo argomento: questa si può definire la prima guerra documentata in modo massivo da strumenti come i social media.
Il conflitto Russo-Ucraino è il primo ad essere testimoniato, oltre che dai media tradizionali, anche dai social media, i quali hanno una comunicazione orizzontale e multidirezionale, dove i Governi e gli enti dialogano con la popolazione e simultaneamente i cittadini dialogano con essi.
Il continuo flusso di informazioni condiviso in tempo reale, i social media si sono trasformati in un elemento fondamentale della nostra società e un mezzo di informazione sull’attualità internazionale. Grazie alla moltitudine di piattaforme social presenti, ognuno di noi ha l’opportunità di rimanere costantemente aggiornato in tempo reale sulle novità e sugli andamenti del conflitto attraverso contenuti di ogni tipo, come articoli, post, video, live streaming, tweet e messaggi condivisi da soldati, civili, giornalisti ed istituzioni governative. Tutto questo ci consente di monitorare la situazione sul campo ed eventuali sviluppi politici.

Un’altra opportunità fondamentale, e molto importante, permessa dalle piattaforme social, è quella di permettere di venire a conoscenza, e di conseguenza essere attivi, delle campagne umanitarie e di sensibilizzazione che si impegnano ad offrire aiuto ai rifugiati della guerra, o anche di sostenere campagne di crowdfunding con lo scopo di supportare associazioni ed enti locali.

Media mainstream e nuovi media

Il flusso informativo, che tratta del conflitto tra Mosca e Kiev, non viene plasmato più come in passato esclusivamente tramite i media tradizionali (come la televisione, i quotidiani o la radio). Non esistono più solamente le immagini scattate dai fotoreporter o i video degli inviati delle testate giornalistiche nei luoghi dove si svolge la guerra; ma al giorno d’oggi, ogni persona che si trova dentro al conflitto può documentare l’orrore di questo fenomeno semplicemente attraverso il suo smartphone per poi condividerlo con il resto del mondo tramite internet.
Infatti, i cittadini ucraini utilizzano piattaforme quali Twitter, Instagram, TikTok e Telegram per raccontare la loro storia, ed esperienza, in prima persona della guerra.
Le testimonianze che provengono direttamente dal lato ucraino, spesso sono differenti, rispetto alla propaganda del Cremlino, e che invece rappresentano la realtà.
Succede, in vari episodi, che i civili condividano le notizie ancora prima che i media arrivino direttamente sul posto, così da fornire i fatti ancora di più in tempo reale.
Questa caratteristica porta ad un bivio: da un lato la comprensione della guerra, e di cosa stia accadendo, viene agevolato dai social media; dall’altro lato essendo un mezzo in mano a chiunque può essere oggetto di propaganda e manipolazione, ma anche di disinformazione non intenzionale.
Infatti, le informazioni, sia vere che false, vengono propagate tramite le piattaforme digitali, molto più velocemente e gli eventi vengono ripresi in tempo reale.

La prima guerra su TikTok

Non è la prima volta che una piattaforma social gioca un ruolo importante nella narrazione di un conflitto — le Primavere arabe del 2011 non sarebbero state la stessa cosa senza Twitter e Facebook, e la riconquista talebana dell’Afghanistan l’anno scorso creò seri problemi di moderazione dei contenuti alle aziende tech.
La guerra in Ucraina rappresenta il momento in cui TikTok diventa, per la prima volta, un social media di primo piano nel poter formare il discorso pubblico e l’opinione.

Nel discorso del 24 febbraio Volodymyr Zelensky fa appello ai tikTokers per aiutarlo, insieme a scienziati, dottori, blogger e comici, a porre fine alla guerra.
Sono stati in molti ad ascoltarlo tra cui, ad esempio, Alina Volik una travel blogger,  la quale ha iniziato a pubblicare i video della sua vita durante l’invasione. Anche molti influencer russi utilizzano l’applicazione per condividere la condizione in cui vivono.
Ciò ha generato un flusso di contenuti condivisi e divenuti virali, molti dei quali anche non verificati. È un caos in cui tutto appare decontestualizzato e in cui è difficile distinguere tra finzione e realtà.
Tuttavia, questo è il modo in cui è strutturato TikTok: un flusso infinito di brevi video, accattivanti ma non particolarmente curati, in cui non appaiono solo contenuti dei profili che si è deciso di seguire, ma tutto ciò che l’algoritmo della piattaforma individua come interessanti per l’utente.

Cosa ha comportato ciò?
La rapidità dei contenuti, il ruolo del remix audio (opportunità di combinare suoni e immagini che non hanno un senso tra di loro) e il sistema in cui l’algoritmo propone un video dopo l’altro, sono tutti mezzi impeccabili per la circolazione di informazioni diffuse come vere, ma difficilmente provabili.
Dallo scoppio della guerra, l’attenzione della maggior parte delle persone è focalizzata sull’Ucraina, fino ad arrivare al punto che l’algoritmo sta finendo per riproporre agli utenti video pubblicati mesi fa o che ritraggono altre guerre, per soddisfare gli interessi di contenuti degli utenti.

Tuttavia, TikTok è anche altro.
Un esempio lampante di cosa può portare la comunicazione di foto e video attraverso questo social network, è la storia di una ragazza ucraina.
Valerish ha 20 anni e fa la fotografa, da quando è iniziata la guerra, si è dedicata alla realizzazione, e alla condivisione, sul suo account TikTok, e Instagram, di video che sono diventati virali.
La giovane nei suoi video fa vedere come si svolge una sua giornata tipo, e  mostra anche ciò che sta accadendo nel suo Paese, utilizzando un linguaggio molto ironico, ovviamente tranne quando parla dei civili caduti in guerra. Questo suo modo di raccontarsi ha iniziato ad attirare l’attenzione delle persone, le quali guardano, commentano e condividono i suoi contenuti, e Valerish capii che, attraverso questi suoi canali, poteva aiutare il suo Paese. Infatti la giovane ucraina ha trovato il modo, attraverso il suo successo in rete, di dare visibilità all’associazione “Palyanytsia”, la quale si occupa di portare e consegnare cibo, vestiti, acqua e medicinale ai civili rimasti a vivere in Ucraina. 

Twitter in guerra

Twitter è un servizio di microblogging, il quale consente di comunicare attraverso brevi messaggi, foto e video. Una caratteristica, importante, di questo social network è la presenza degli hashtag, ovvero “etichette” distinte dal simbolo cancelletto (#) che gli utenti inseriscono nei loro tweet per interagire con altri utenti quando stanno discutendo di un determinato argomento. Spesso vengono utilizzati per dibattere di grandi eventi, fatti di cronaca o comunque dei temi che hanno rapito l’interesse delle persone. Aprendo il social Twitter, noto per il suo carattere di spessore politico, si può sia osservare ciò che sta accadendo nel conflitto tra Mosca e Kiev, sia discutere con tutti gli altri utenti che usano lo stesso hashtag di tendenza: #guerra, #nowar, #Ucraina, #Russia, #StopRussia.
Si tratta della piattaforma utilizzata costantemente dal leader ucraino Zelensky, il quale condivide in continuazione gli avvenimenti con lo scopo di comunicare con la popolazione, con l’intenzione finale di animare la resistenza e chiamare nuove persone alle armi.
Questa piattaforma è servita anche per chiedere un aiuto diretto, ad enti, aziende, istituzioni e governi a livello internazionale. L’esempio più lampante è sicuramente quello che vede l’intervento di Elon Musk, il quale ha contribuito ad aiutare l’Ucraina garantendo la connessione Internet nel territorio ucraino grazie alla copertura dei satelliti Starlink.

Twitter è il social  più influente in guerra: una quantità infinita di cittadini russi ha deciso di opporsi e dire di no alla guerra; il Cremlino di conseguenza ha bloccato l’accesso dei suoi cittadini alla piattaforma. Infatti su Twitter giungono video e immagini dell’attacco russo; questo per la Russia risulta una difficoltà, perché ciò che non viene trasmesso dalle TV di Stato russe, viene rivelato su Twitter.

Come ha reagito Twitter? 

Quando un governo blocca o anche limita l’accesso ai servizi online nel suo stato, minando la libertà d’espressione delle persone e la possibilità di accedere liberamente all’informazione, ma allo stesso tempo continua a usare i servizi online per le proprie comunicazioni, si crea un grave squilibrio informativo.” 

Queste sono state le spiegazioni da parte di Twitter per introdurre le misure che andranno a limitare l’influenza della propaganda russa sull’Ucraina sul suo social network. Ciò prevede che non saranno più “raccomandati” agli utenti di Twitter gli account ufficiali russi. Twitter, come Instagram e Facebook, aveva già allontanato i media filogovernativi russi, Russia Today e Sputnik, ritenendoli fabbriche di “fake news“.
Inoltre, Twitter ha bloccato un centinaio di account, in quanto pubblicavano contenuti che sostenevano la Russia e Putin, e di conseguenza la guerra, utilizzando l’hashtag #IStandWithPutin. 

Il ruolo di Telegram nella guerra

Nei social media si può notare come influencer, personaggi famosi ma anche comuni, associazioni no profit si siano avviati in campagne umanitarie e di sensibilizzazione per aiutare i profughi ucraini.
In tale contesto, la piattaforma che si distingue maggiormente dalle altre è Telegram, diffusa applicazione messaggistica che dall’inizio della guerra viene impiegata dal governo ucraino per la comunicazione di bollettini di guerra, allarmi delle bombe e varie informazioni sui feriti e i dispersi.
Volodymyr Zelensky utilizza Telegram per aggiornare i followers del suo canale. I post che pubblica sono spesso scritti in inglese, così da essere compresi anche da un pubblico internazionale. In questi aggiornamenti pubblicati dal Presidente ucraino, vengono riportati video, foto che lo ritraggono personalmente o anche fotoreportage, aggiornamenti sulle riunioni con i leader di Stato, e post per smentire le fake news che vengono condivise su di lui o sul conflitto in generale. 

Un rischio di Telegram è il non poter sapere chi è il proprietario di un determinato canale, e questo porta a non poter verificare le informazioni che circolano e quindi, alla diffusione di notizie false.
Gli esperti di disinformazione ucraini cercano di avvisare le persone che alcuni canali potrebbero avere dei collegamenti con i servizi di sicurezza russi, i quali utilizzano questo strumento di comunicazione per far girare informazioni a proprio favore.
A spiegare che questo social media ha come caratteristica l’impossibilità di risalire a chi c’è dietro un determinato canale, è lo stesso fondatore: Pavel Durov, il quale già a Febbraio stava ragionando sul fatto di limitare Telegram in Ucraina e Russia, perché appunto stava diventando una fonte più di disinformazione, che d’informazione, e perché non voleva che questa piattaforma fosse utilizzata per aggravare il conflitto Russo-Ucraino o per incitare all’odio. 

Come detto in precedenza, i media russi hanno deciso di censurare alcuni social media (come Facebook, Twitter, Instagram), ma uno dei pochi canali che è ancora in grado di trasmettere è Telegram.
Questo social media non è utilizzato solo dal popolo e dalle istituzioni ucraine, ma prende piede anche la strategia della disinformazione russa, che cerca di far accrescere il suo bacino di utenti che supportano la guerra e che si schierano dalla parte di Putin.
Telegram è lo strumento che permette la via di fuga dal paese.
Infatti, sono presenti alcune chat che cercano di informare i cittadini ucraini sulle modalità possibili per scappare dalla guerra. Questi canali, che hanno lo scopo di aiutare i rifugiati, sono stati adoperati sia da istituzioni importanti come la Commissione Europea, ma anche da individui comuni come Sergii Klimakov, che è un ex ciclista della nazionale ucraina, che fa avanti e indietro con l’Italia per andare a prendere i profughi  in Ucraina. 

Il ruolo dei meme

Si tratta del primo conflitto in cui i meme stanno ricoprendo un ruolo importante sia nella comunicazione che nella propaganda.
Treccani definisce i meme digitali come “contenuti virali in grado di monopolizzare l’attenzione degli utenti sul web”.
Basta semplicemente aprire Instagram o Twitter per essere sommersi da post riguardanti meme sulla guerra. 

Il 24 Febbraio il profilo ufficiale di Twitter dell’Ucraina pubblica il primo di una lunga serie di meme ironici, i quali saranno poi usati in molte occasioni dal governo di Kiev, che raffigura Adolf Hitler chinato in avanti che accarezza sul viso un sorridente Vladimir Putin (come vediamo nell’immagine riportata sotto) e la didascalia inserita recita: «Questo non è un meme, ma la nostra e la vostra realtà in questo momento».

meme-hitler-putin

 

L’immagine, ovviamente, è diventata subito virale, tanto da ricevere 8 milioni di like, 433 mila retweet e 29 mila commenti, e se nei commenti c’erano molte persone che mostravano il loro supporto e vicinanza alla popolazione ucraina, non sono mancati quelli che hanno criticato l’utilizzo di questo mezzo di comunicazione, i meme, in un momento storico così drammatico e delicato.
Ma nella società odierna anche questi sono strumenti per combattere la guerra, infatti il loro obiettivo è sensibilizzare più persone possibili su ciò che sta accadendo in Ucraina, ma anche ispirare, provocare e soprattutto educare, in quanto un tema così importante deve essere ben chiaro e conosciuto a tutti.

I meme, quindi, hanno raggiunto una nuova popolarità durante il conflitto, diventando uno dei mezzi di comunicazione più efficaci per divulgare un messaggio e coinvolgere la popolazione.

Zelensky e la sua comunicazione attraverso i social media

Molto interessante risulta la strategia di comunicazione adottata dal Presidente ucraino Zelensky per rimanere in contatto con il suo popolo.  Simbolico è stato il suo video del 25 febbraio dove ripete la frase “We are still here” per screditare i media russi che lo davano in fuga. Zelensky rivolge la sua comunicazione a tutti i cittadini ucraini e al resto del mondo, ai quali vuole trasmettere un sentimento di speranza e di orgoglio.

Tre sono gli elementi che costituiscono l’efficacia del suo stile comunicazione:

  1. Veridicità del messaggio comunicativo: frequentemente vengono mostrate delle prove, come il giorno, l’ora e il luogo della comunicazione, per poter così verificare che il contenuto di cui gli utenti stanno fruendo non si tratti di una fake news.
  2. Connessione con l’audience: il Presidente utilizza un linguaggio emozionale per coinvolgere i suoi cittadini e la comunità internazionale attraverso appelli che invitano ad azioni concrete per aiutare la popolazione ucraina .
  3. Immediatezza: i nuovi media consentono di comunicare in modo istantaneo, in real-time, permettendogli di costruire messaggi caratterizzati da un tono di voce urgente nel chiedere aiuto per la sua popolazione.

Zelensky utilizza parole che si concentrano sul senso di solidarietà, così da potersi guadagnare il sostegno, e la compassione, di una vasta popolazione internazionale. La sua visibilità è aumentata in modo smisurato grazie alle condivisioni sui social, tanto da trasformare milioni di utenti iscritti alle piattaforme digitali, in sostenitori dell’Ucraina.
Il Presidente ucraino è capace di utilizzare al meglio le dinamiche di engagement sui social media, questo si può notare dal suo profilo Twitter utilizzato come mezzo per informare gli ucraini, e il resto della popolazione internazionale, sui colloqui con altri gli altri leader, sui negoziati, sull’invasione russa, a volte utilizzando anche delle sfumature di humor.
Ulteriormente, Zelensky, ha come scopo nella sua comunicazione di avvicinarsi e immedesimarsi con i cittadini e i militari, e lo fa attraverso il suo aspetto, come per esempio la scelta del vestiario. Il Presidente ucraino, infatti, si mostra nei social e nei video quotidiani, con una t-shirt verde, la quale è diventata una delle immagini simbolo del patriottismo verso il suo popolo. 

La censura e la disinformazione della Russia

I cittadini russi, fin dall’inizio della guerra, hanno fatto fatica a reperire le informazioni riguardanti il conflitto, ma informarsi è diventato ancora più complicato con la censura messa in atto dal governo russo.
Oltre ad essere stati bloccati alcune piattaforme social, anche alcuni giornali sono stati chiusi e altri servizi, che si occupano di comunicazione, sono stati costretti ad autocensurarsi se volevano continuare a restare aperti.
La censura non si occupa di bloccare solo le fonti d’informazione russe, ma sono oggetto di limitazione anche delle testate internazionali, infatti molti siti giornalistici stranieri risultano chiusi se si prova ad accedere dalla Russia.

La disinformazione è da sempre un “cavallo di battaglia” del Cremlino, infatti spesso vengono distorti gli avvenimenti; il messaggio che viene diffuso principalmente rappresenta gli ucraini come se si stessero recando del male da soli.
In questo conflitto tra informazione e disinformazione, la Russia utilizza il vecchio metodo di maskirovka, letteralmente “camuffamento”, “occultamento”, termine usato per descrivere la dottrina militare della Russia e dell’Unione Sovietica di sorprendere attraverso l’inganno, nel quale il camuffamento gioca un ruolo significativo. In altre parole, consiste nell’inganno militare russo, nella censura, nella diffusione di informazioni false, e nella presentazione di realtà alternative, le quali giocano a proprio favore.
Nelle prime settimane del mese di Aprile, per esempio, nei vari canali televisivi non si è più parlato di morti dell’esercito russo, e la parola “guerra” non è mai stata pronunciata.
Quello che viene diffuso dalla TV russa è che i soldati del proprio esercito sono dei “difensori” vittoriosi, e gli ucraini, invece, sono rappresentati come dei “nazisti” assassini, inoltre, i media non si fermano a screditare solamente i loro rivali, ma si scagliano anche contro i paesi internazionali, sostenendo che il sostegno economico e militare dell’Occidente a favore dell’Ucraina è ipocrita e inutile.
Mosca, ha preso l’iniziativa di oscurare sia Facebook che Instagram, accusandoli di istigazione alla violenza contro la Russia. Questa decisione ha portato ad una grande perdita economica, e di audience, per il gruppo di Zuckerberg.
Successivamente è stato bloccato anche l’accesso a Twitter, così da tagliare fuori del tutto il popolo russo dalle comunicazioni con il mondo.

La chiusura delle varie piattaforme ha portato il panico e la disperazione generale per molti utenti, i quali si sono trasferiti su altre piattaforme o utilizzano servizi VPN per conservare i contatti con il pubblico internazionale.

I social media si schierano

Per impedire la divulgazione di notizie false, e per dimostrare il proprio appoggio verso la popolazione ucraina, le aziende a capo delle più famose piattaforme social, hanno preso la decisione di sospendere o contenere le comunicazioni con la Russia.
Ogni canale ha deciso quali limitazioni adottare, come per esempio:

  • Meta, ha limitato l’accesso dei media statali russi e si impegna a bloccare tutti quegli account che divulgano informazioni non verificate;
  • YouTube, ha bloccato la possibilità di pubblicare annunci ai media russi;
  • TikTok, ha interrotto la possibilità di pubblicare video in diretta dalla Russia;
  • Google ha sospeso Google Ads in territorio russo;
  • Snapchat, ha interrotto la pubblicità di aziende russe e ha rafforzato i controlli sulla disinformazione.

 

Questionario per gli italiani sul conflitto russo – ucraino e risultati a confronto

Metodologia

La metodologia utilizzata è stata una ricerca di tipo primario attraverso questionario somministrato online, poiché l’intento è stato quello di ottenere delle informazioni più specifiche oltre sia il senso comune e le generalità dei casi a cui gli studi sui meccanismi informativi dei social media si sono applicati. Sebbene specifica, la nostra ricerca rimane esplorativa poiché non ha come obiettivo primario la risoluzione di un problema tramite l’output di dati ottenuti, ma una migliore comprensione dei comportamenti informativi degli italiani riguardo il conflitto Russo-Ucraino. 

Abbiamo raccolto attraverso il questionario “Social Media in Guerra” le risposte di 167 intervistati, appartenenti a diverse fasce di età: 18 – 20 anni (5,4%), 21 – 29 anni (64,7%), 30 – 39 anni (10,2 %), 40 – 49 anni (4,2%), 50 – 59 anni (6,6%) e over 60 anni (9%).

Rispondenti divisi per fasce di età

Risultati

Dove ti informi principalmente sul conflitto Russo-Ucraino?

Uno degli obiettivi principali del questionario, consiste nell’indagare quali sono le principali fonti di informazione utilizzate dagli Italiani per informarsi sul conflitto Russo-Ucraino. Dalle risposte emerge che i social network rappresentano lo strumento di informazione privilegiata dagli intervistati (65,3%), tallonata dai programmi televisivi (57,5%): questo dato dimostra come la televisione abbia ancora un ruolo importante nella dieta mediatica degli Italiani, ma che non occupa ormai più come un tempo il primo posto nella classifica. Seguono poi altre fonti come la ricerca libera sul web (33,5%), il passaparola (14,4%), i podcast (12,6%) e la radio (12%). E solo il 10,8% degli intervistati sostiene di utilizzare i quotidiani. Una piccola percentuale (1,2%) dichiara infine di non informarsi affatto sul conflitto Russo-Ucraino. 

Ma quali sono le piattaforme online utilizzate principalmente per informarsi sul conflitto tra Mosca e Kiev?
Le tre piattaforme più votate sono
Instagram (64,1%), Facebook (28,7%) e Twitter (15,6%). In questo specifico caso Twitter, la piattaforma tradizionalmente più conosciuta per il new sharing, perde il primato, infatti ad occupare i primi due posti troviamo Facebook e Instagram, quest’ultimo “vince” con un grande distacco. 

I Social Network più utilizzati

 

Abbiamo voluto approfondire nello specifico quali fossero i mezzi di informazione più utilizzati dagli intervistati sulla base della fascia di età di appartenenza, per comprendere se ci fossero differenze più o meno significative sull’utilizzo dei media a seconda delle diverse generazioni presenti. Uno dei limiti in questo senso, è stato il dislivello del numero di rispondenti per ogni fascia di età: infatti abbiamo ottenuto molte più risposte dalla fascia di età 21-29 anni rispetto a tutte le altre. Abbiamo quindi deciso di raggruppare tutti gli intervistati in due gruppi: uno formato dalle fasce 18-20 anni, 21-29 anni e 30-39 anni, per cercare di comprendere le persone appartenenti alle due generazioni più giovani (Gen Z e Millennials), e l’altro composto dalle fasce 40-49 anni, 50-59 anni e over 60, in modo da considerare gli appartenenti alle due generazioni più mature (Generazione X e Baby Boomers). Va precisato che il primo gruppo comprende 134 rispondenti, mentre il secondo solamente 33, e sottolineiamo questo aspetto in quanto è molto importante tenerlo in considerazione durante la lettura e l’interpretazione dei dati.
Andiamo quindi ad osservare nello specifico come i due diversi gruppi si informano sul conflitto russo-ucraino.

Per quanto riguarda la Gen Z e i Millennials, la maggioranza (76,12%) predilige i social network come fonte primaria per informarsi sul conflitto in corso. Si tratta, infatti, di due generazioni che sono figlie della rivoluzione digitale (i cosiddetti “nativi digitali”), composte appunto da individui iperconnessi e digital savvies.
Nel grafico sottostante possiamo osservare com’è ripartito l’utilizzo degli altri mezzi di informazione, non solo social media, ma anche mass media, tra gli appartenenti di queste due generazioni. 

Media utilizzati da Gen Z and Millennials

 

Diversi sono invece i risultati riguardanti la Generazione X e quella dei Baby Boomers. Possiamo osservare come la maggior parte del campione intervistato, utilizza la televisione come mezzo di informazione principale(75,76%). Un aspetto interessante è l’utilizzo da parte di questi individui di fonti online, diverse dai social network, come per esempio la ricerca libera sul web e la consultazione di siti internet specialistici, che infatti occupa il secondo posto, a livello di utilizzo, con una percentuale pari al 39,39%. 

Media utilizzati da Generazione X e Baby Boomers

 

Quale tra le seguenti affermazioni si avvicina di più alle tue abitudini informative?
Indagando invece le abitudini informative degli intervistati, riferendoci in particolare alle tipologie di contenuti maggiormente fruite e alle varie attività svolte per aggiornarsi su cosa stia succedendo in territorio di guerra, emerge che solo una piccola percentuale di rispondenti (pari al 10,8%) assume un ruolo attivo nel dibattito pubblico sul conflitto russo-ucraino (“Discuto con gli altri utenti e chiedo informazioni”). La maggior parte dei rispondenti, invece, adotta un atteggiamento passivo, caratterizzato dalla semplice fruizione di contenuti come per esempio: video, foto, stories, articoli e reportage.

Abitudini informative

 

Quanto condividi le seguenti affermazioni?
Arriviamo quindi al cuore della nostra indagine, in cui ci siamo chieste quali fossero le opinioni e le percezioni degli Italiani circa l’informazione sul conflitto Russo-Ucraino veicolato attraverso i social media. La domanda è stata posta a tutti gli intervistati, ma i dati che riporteremo di seguito riguardano solamente le persone che nel questionario hanno dichiarato di utilizzare i social network tra le fonti di informazione principali, in quanto ci sembrava più coerente analizzare un campione che partecipa attivamente all’utilizzo di questi strumenti.
Ai partecipanti è stato chiesto di indicare quanto condividessero determinate affermazioni sul ruolo dei social media come fonte informativa del conflitto tra Russia e Ucraina, e le opzioni possibili tra cui scegliere erano 5, le quali si possono leggere nell’asse delle ascisse del grafico sotto riportato.
Dalle risposte emerge nel complesso una visione più positiva rispetto al ruolo dei social network, ma non nettamente superiore al punto di vista più critico e negativo. Per esempio, secondo il 31,48% i social network mostrano la realtà della guerra, contro il 20,37 % che invece non si trova d’accordo con questa affermazione. 

I Social Network mostrano la realtà della guerra: sei d’accordo o in disaccordo?

 

Similmente, il 33,33% degli intervistati considera i social network come un mezzo per bypassare la propaganda, e invece, il 24,07% dichiara il contrario.

I Social Network consentono di bypassare la propaganda: sei d’accordo o in disaccordo?

Tuttavia, la maggior parte delle persone assume un atteggiamento neutro (“Né d’accordo né in disaccordo”) quando viene chiesto di dare un parere sul ruolo dei social media. Alcuni commenti lasciati dagli intervistati ci aiutano a capire perché non sono state dichiarate delle posizioni precise, ma è stata scelta la posizione neutrale. Ad esempio, un commento recita “Tutto si basa sull’uso che ognuno di noi fa dei social, in base a chi segui può essere fatta informazione o disinformazione”. Emerge quindi l’opinione secondo cui ogni individuo ha un certa responsabilità in rete, responsabilità che si declina in diversi aspetti come l’utilizzo di determinate piattaforme social o la selezione di profili più o meno autorevoli da seguire (affidabilità della fonte). Un altro commento afferma che “Il problema non sono i social network ma l’uso che se ne fa”, indirizzando ancora una volta la responsabilità al singolo individuo, piuttosto che allo strumento in sè.

Discussione e conclusioni

La nostra ricerca è nata dall’intento di approfondire, e comprendere meglio, i comportamenti degli italiani nel modo di informarsi e di reperire le informazioni, confermando o smentendo il pensiero comune, indagando sui meccanismi che metto in atto l’utente nel momento di informarsi e sulla percezione che ha rispetto all’informazione che riesce a reperire su ciò che sta accadendo nel mondo in quello stesso momento: il conflitto Russo-Ucraino.
Abbiamo già affermato all’inizio di questo nostro articolo come i social media, possedendo le caratteristiche di accessibilità, velocità, diffusione e personalizzazione dei contenuti a disposizione di tutti, abbiano radicalmente cambiato la vita di chiunque e di come in particolare il loro maggiore impatto con la rivoluzione dei mezzi di comunicazione si sia verificato nell’ambito dell’informazione. La disinformazione e le fake news sono figlie di questo mutamento paradigmatico a livello comunicativo che ha portato una comunicazione dall’essere verticale e unidirezionale a diventare orizzontale e multidirezionale, quindi soggetta a fenomeni di distorsione e modifica.  In questo senso, nel primo capitolo abbiamo quindi introdotto il tema dell’informazione e della disinformazione sui social media con l’intenzione poi di verificare attraverso il questionario, il fatto secondo il quale i social media hanno superato, come mezzi informativi, i media tradizionali a livello di audience.
E questo è effettivamente in linea con i dati delle risposte che abbiamo raccolto  dal questionario dal nostro campione in generale, il quale afferma di informarsi maggiormente sui social network, confermando in questo modo sia la percezione che abbiamo nel senso comune, sia quanto testimonia tutta la letteratura che si è espressa su questo tema. Snocciolando ulteriormente il dato tra i due gruppi generazionali in cui abbiamo ritenuto utile suddividere il campione come variabili di profilazione, si nota però che il media tradizionale della TV sia il mezzo informativo ancora privilegiato per la Generazione X e per i Baby Boomer quasi come a riconoscerne una maggiore autorevolezza in un momento in cui si ha quasi una sorta di “fobia informativa” generata dalla necessità di reperire informazioni sempre più dettagliate su una tematica che i TG amplificano con titoli allarmisti. La generazione dei nativi digitali, invece, si informa sui social e lo fa maggiormente su piattaforme come Instagram, Facebook, Twitter  attraverso la fruizione di storie, video, reels e contenuti in generale che portino quel valore del “dietro le quinte” veicolato dal medium. A differenza di quanto ipotizzato inizialmente TikTok e Telegram sono presi in considerazione da una minoranza del nostro campione come mezzo per recuperare notizie sul conflitto, anche se probabilmente potrebbe essere rilevato su altri campioni di ricerca.
Abbiamo poi cercato di rilevare se, negli utenti da noi interrogati che fanno uso dei social media come mezzo informativo, fossero presenti alla coscienza eventuali fenomeni di echo chambers, filter bubble, polarizzazione delle opinioni e framing nei mezzi e fonti informativi che sono soliti utilizzare, deducendole dalle risposte fornite alle nostre domande. Dalle risposte ottenute vediamo già come sulla questione relativa al fatto che i social mostrino una  realtà o una finzione e possano essere considerate o meno come un modo per bypassare la propaganda,  si sia verificata una polarizzazione di opinioni. Questo è quello che accade online, da quando la guerra tra Russia e Ucraina è cominciata le piattaforme di comunicazione online sono state fruite in diverse modalità e con diversi  fini a seconda del fronte e dalla prospettiva che si assumeva ma sempre con una comunicazione integrata in tutti gli aspetti del conflitto: il fronte ucraino motiva la popolazione per un sostegno da parte della comunità internazionale, Il Cremlino per propaganda. Questo, si riflette su un dato da noi raccolto nel questionario, che vede la maggior parte delle persone rivolte alla tendenza di esprimere di assumere un atteggiamento neutro quando viene richiesto di dare un giudizio sul ruolo e sul grado di informatività dei social media.  Questa indecisione sulla realtà di ciò che viene comunicato come news dai social da una parte e lo scetticismo dall’altra, sembrano confermare l’idea che sia rilasciata al singolo la capacità di distinguere il vero dal falso, di riconoscere una notizia verificata nella fonte da una fake news non verificata, rimettendo tutto all’uso che ognuno fa dei social e in base alle persone che si sceglie di seguire nel tempo. Questo ultimo fattore però, come detto nella parte teorica introduttiva di questo articolo,  può portare al fenomeno delle echo chambers e al rischio di sviluppare una sola storia, cioè un unico punto di vista da cui si elabora la percezione su un fatto, un processo che è pericoloso come il giudicare realtà diverse con lo stesso paio di occhiali: chi ha ragione? chi è il buono e chi il cattivo?
Abbiamo approfondito questo argomento, cercando di capire meglio qual è l’uso dei social media in questo contesto con lo scopo di informarsi e cioè qual è il grado di attivazione del nostro campione quando si trova a doversi informare sul conflitto, quando vengono espresse le abitudini informative. Esse mettono in evidenza  come pochi si ritengano essere attivi nel grande caos del dibattito che si scatena online, in una situazione di emergenza quasi a lasciarsi travolgere dal flusso informativo che ha lo scopo di avere informazioni sempre più profonde e percettibilmente veritiere ma rimanendo però tristemente legati a quelle fonti che istintivamente si valutano affidabili, ma che in parte risultano essere schiave di quel sensazionalismo che già Karl Popper attribuiva all’informazione veicolata dalla TV, che definiva “cattiva maestra”.
I limiti di questa nostra piccola ricerca possono essere l’aver ottenuto un campione di risposte non omogeneo per la variabile età; un altro limite giudicato a posteriori è la scelta di domande formulate in modo che lasciavano spazio a interpretazioni diverse.

Bibliografia e Sitografia

Autrici

 

Ciao! Sì, la ragazza in foto sono proprio io. Mi presento, sono Francesca Disarò, laureata in Comunicazione e Media contemporanei per le industrie creative a Parma. In questo momento sto frequentando il primo anno del corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication allo IUSVE di Mestre.

 

Ciao a tutti! Io sono Irene Forzutti, ho 22 anni e sono laureata in Scienze e Tecnologie della Comunicazione all’università degli studi di Ferrara. Attualmente come il resto delle mie compagne, sto frequentando il primo anno del corso di Laurea Magistrale in Web marketing & Digital Communication allo IUSVE di Mestre.

 

Ciao mi chiamo Teresa Nalon, sono laureata in Relazioni Pubbliche @UniUd. Attualmente frequento il primo anno del corso di Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication allo IUSVE di Mestre.

Hello! sono Valeria Boscolo Nale e sono una neurolinguista laureata a Padova e Groningen, in Olanda.      Ora frequento il primo anno di Web Marketing & Digital Communication allo IUSVE di Mestre.