A collection of links between elements of a unit. 

Dijk, J. V. 2006

A collection of objects connected to each other in some fashion. 

Watts, D. 2002

La società è lo spazio tra noi è il prossimo. Comprenderne i meccanismi significa sapersi muovere in questo spazio.

Pensare lo spazio equivale a fornire una mappa di esso. Mappare significa innanzitutto rendere visibile ciò che inizialmente non è, in altre parole saper disegnarne una mappa implica collocare punti fermi – che preferisco chiamare “etichette” – e linee di continuità nel vuoto per dare a quest’ultimo una forma propria.

È facilmente comprensibile quindi cogliere come, senza alcuna mappa, il nostro pianeta sarebbe differente da come noi lo conosciamo oggi. La rivoluzione copernicana, la scoperta delle Americhe e la mappatura della superficie di Marte, grazie ai robot-sonda che hanno progressivamente ampliato il nostro organo visivo, condividono la necessità di sapersi muovere e la particolare modalità con cui l’uomo vive, percepisce e fa esperienza del proprio stare al mondo.

complexity

Mappe, diagrammi, bussole

I greci conoscevano bene questa differenza e la chiamarono Cosmo che emerge dal Caos. Non è un caso che due tra i maggiori pensatori dello scorso secolo recuperino e attualizzino tale riflessione: Husserl (1931) distingue Lieb, il corpo che in quanto vivente è immerso nel mondo, da Corper, il corpo assoluto o esente da relazione. Heidegger (1950) nel definire etica ricorre all’epistemologia di ethos, come spazio abitato, giardino,radura, luogo intimo, come l’atteggiamento di stare al mondo dell’uomo, ovvero il luogo peculiarmente umano.

Più in generale in Occidente, la definizione di uno spazio ha da sempre implicato seppur in molteplici versioni: un framework, un quadro su cui dipingere, una superficie sulla quale incidere e un label, un segnaposto, un punto fermo che emerge dalla tabula rasa, che in quanto tale è sempre arbitrario – ritornerò su questo punto più avanti.

La sovrapposizione di questi due elementi rende lo spazio un luogo conoscibile e abitabile tanto quanto lo sfondo e la messa a fuoco di un particolare oggetto permette all’occhio di vedere.

La maggior parte dei problemi derivanti dalla trattazione dello spazio sta nella difficoltà di definire i punti fermi e lo sfondo entro cui muoversi poiché tale decisione implica in primis stabilire che cosa c’è e cosa non c’è.

Ontologia come topologia dell’esistente

Il geografo, così come l’urbanista, il mediologo e l’architetto, perfezionando in diverse discipline l’antico mestiere del tracciar mappe, hanno a che fare con l’ontologia più di quanto comunemente si ritenga poiché mappare non significa solamente descrivere un luogo ma chiarificarne natura e significato. Così come mappa delle stazioni della metropolitana senza darci un’esatta riproduzione spaziale della realtà ci permette di muoverci per la città seguendo percorsi e punti di riferimento.

L’eta contemporanea, che alcuni chiamano postmoderno, altri Information Society, età dell’informazione, e altri ancora Digital culture, cultura digitale, ha risolto la tradizione ontologica che domanda “Cos’è l’Essere?” in una topologia dell’esistente.

Che cosa c’è realmente? Cosa esiste? E dove esiste quel qualcosa che è?

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