Nell’articolo precedente abbiamo incontrato Latour, Law e ai loro studi su Actor-Network, in questo approfondiremo l’argomento l’argomento a partire dalle riflessioni dello stesso Latour in On recalling ANT (1999).
Sommario
ANT
Actor-Network Theory (ANT) è utile nel proporre un interessante punto di partenza per analizzare i problemi relativi alle teorie della rete in diversi modi.
Definizione
Per chi è familiare con la tradizione continentale, Latour e i principi della ANT – come è stato fatto notare da Castells – rappresentano una storta di reincarnazione contemporanea delle questioni già affrontate dal filosofo francese Gabriel Tarde (1843-1904) che si occupò di studi sull’innovazione e la diffusione di idee.
Secondo Latour, il metodo sviluppato da ANT non è l’ennesimo tentativo di descrivere le cose nel mondo ma una diversa forma del pensare, un modalità di analisi e di giudizio che non coglie gli enti in quanto oggetti-chiusi, auto-limitati e determinati ma è capace di rivelarne e mapparne l’invisibile attributo, quello cioè di esistere in quanto assemblaggi temporalmente e spazialmente durevoli, in quanto limiti, bordi e confini di una materia che di per sé è liquida e multiforme.
Un passo dopo Heidegger che trasforma gli oggetti in cose, ANT muove da una questione di fatti ad una di interesse. Gli enti diventano frecce, direzioni, possibilità di condizione e le azioni, una volta pensate in relazione al proprio agente-attore, diventano radicalmente distribuite nella rete.
Elementi chiave
Come è già stato notato, i due elementi chiave promossi da questa teoria sono chiamati: relational materiality e performativity (Law, J. 1999).
Il primo dei tuoi termini prende dal campo semiotica l’idea che gli enti siano il prodotto di relazioni e connessioni e applica questo principio pressoché ad ogni cosa, non semplicemente a entità linguistiche, con l’obiettivo di ignorare i dualismi tipici del pensiero essenzialistico: uomo vs donna, piccolo vs grande e anche umano vs non umano. L’idea è quella che entrambi, uomo e non umano, siano capaci di agire e quindi possano essere la causa di azioni e performance, non necessariamente simili.
Il secondo dei due principi è performativity. Dal punto di vista della semiotica, le entità acquistano la propria forma non da una particolare essenze/idea ma come il risultato delle relazioni in cui queste sono spazialmente immerse.
Il nodo è il prodotto performato in, da e attraverso le relazioni che compongono la rete. L’idea di performativity giunge a ANT dagli studi e metodi della etnologia.
Nei termini di Latour, cose, artefatti ed entità sono quindi la performance di un numero di actants – ogni cosa, umana o materiale che si aggrega per un determinato periodo di tempo al fine di realizzare quella specifica entità individuale.
Principali ostali e difficoltà
Le difficoltà incontrate nel tentare di rigorizzare e formalizzare tale complesso pensiero sono da tempo note e ampiamente riconosciute e dibattute. Ne è un esempio il breve scritto di Latour, On recalling ANT.
Il testo si apre con la constatazione che i quattro principi chiave dell’argomento rappresentano anche le sue quattro maggiori difficoltà: Network, Actor, Theory e Hyphen.
Network
Del primo – network – Latour lamenta l’uso incondizionato o meglio, il cattivo uso del termini network. Grazie a Internet e altre tecnologie del quotidiano attuale, tutti sono convinti di saper definire il concetto di rete.
Al contrario, tale termine – il filosofo francese scrive – soffre due usi opposti e contraddittori, da un lato indica una serie di trasformazioni, traduzioni, traslazioni che non vengono colte dalle tradizionali teorie sociali (come è nell’uso fattone da Deleuze, in Rhizoma), dall’altro e più conosciuto, un trasporto privo di deformazione e movimento, una relazione istantanea e immediata, la possibilità di accedere a qualsiasi informazione da ogni luogo in cui ci si trovi.
Actor
Il secondo tra essi – Actor – coincide con il tradizionale problema dell’agente, o attore, un po’ come chiedersi: chi fa cosa?
ANT è stata a più volte criticata per il proprio carattere manageriale, ingegneristico, demiurgico che la porta a dissolvere l’essenza umana dentro una rete sociale di forze dove morale, psicologia e altre saperi umanistici sono assenti. Ma l’idea che fa da sfondo all’apparente contraddittorio Actor-Network non è quella di riproporre l’antica frattura dualistica ente / struttura.
Latour propone – nel tentativo di chiarire la nature dell’attore – di abbandonare i termini Actor e Network per sostituirli con framing e summing up (di cui una possibile traduzione in lingua Italiana è “incorniciare” e “riassumere”) concentrando l’attenzione sul movimento del reale materiale.
Scrive infatti l’autore:
ANT potrebbe aver colpito uno tra i molti fenomeni dell’ordine sociale: è probabile il sociale possegga la bizzarra proprietà di non esser fatto né di enti né di strutture, ma meglio esser un entità circolante (circulating entity)
Latour, B. 1999
Theory
La terza difficoltà elencata è theory. Come è già stato fatto notare i diversi studi e autori che hanno collaborato alla creazione di ANT non sono mai giunti alla maturità necessaria a celebrare la nascita di una nuova disciplina né al rigore utile a fondare una vera e propria teoria.
ANT è in realtà un metodo grezzo per imparare qualcosa dagli attori senza però caricarli aprioristicamente di un certo spessore ontologico; questo metodo ci informa che è possibile cioè osservare un attore all’interno e in relazione con il proprio sistema senza dare per scontata alcune definizione di esso che ne evidenzi e sottolinei il ruolo attivo, la presenza e la proprietà di costruire tale sistema-mondo.
ANT è totalmente indifferenti alle world-building capacities dell’attore.
Da questo punto di vista tale metodo non è che semplicemente uno tra i tanti movimenti anti-essenzialisti che sembrano caratterizzare gli ultimi anni dello scorso secolo.
Hyphen
L’ultima difficoltà presa in esame da Latour è Hyphen, o “trattino” indicando con questo il trattino che congiunge e diversifica attore e rete.
Tale Hyphen metaforicamente è ciò che distingue questo metodo da altre indagini sociali che trattano differentemente differenti argomenti. ANT al contrario si propone di studiare allo stesso tempo e con la stessa modalità tutti i possibili argomenti: natura, psicologia, politica, teologia, studio delle reti informatiche, cibernetica, …
ANT non è una teoria del sociale più di quanto non sia una teoria del soggetto, o una teoria su Dio, o una teoria della natura. E’ una teoria dello spazio o dei fluidi circolanti in una situazione non moderna. Che tipo di connessione può venir stabilita tra questi termini, diversa dalla sistemica soluzione modernista?
[…] Se ANT può esser riconosciuta per qualcosa, è di aver sviluppato una scienza di studi in cui la questione della ‘costruzione sociale’ e del dibattito ‘realista/relativista sono interamente evitati.
Latour, B. 1999
Una vignetta comica, Latour e Sloterdijk dialogano.
Conseguenze
E’ tempo ora di trarre dal testo di Latour almeno tre importanti conseguenze:
- ANT non si propone di costruire un modello organicistico di società, un ‘Grande Animale’ che dia il senso alle interazioni locali. E nemmeno di designare un anonimo campo di forze. Al contrario ANT è interessata a qualcosa di interamente diverso che è la somma, summing up, di interazioni che avvengono attraverso vari tipi di strumenti, iscrizioni, forme e formule, entro un locus molto localizzato, pratico e ordinato;
- Slegare ontologicamente, dal tradizionale soggetto umano che è sempre pensato come fulcro dell’azione, il ruolo di unico agente del sistema non significa far di umano e non-umano la medesima cosa. Il paradigma “Actantiality” non indica ciò che l’attore fa ma né la somma delle propria azioni individuali ma ciò che porta l’actant a realizzare le proprie azioni, ciò che concede all’attore l’accesso alla propria soggettività, che è sempre intimità intenzionalità. In altre parole, non c’è nulla di particolarmente locale né di specialmente umano, l’actant da luogo ad uno scontro locale inter-oggettivo (interobjectivity);
- Riconoscere la complessità dello spazio sociale non significa abbandonare ogni rigore per disordine e continui movimenti frattali. Nei termini di Latour:
La topologia dello spazio sociale, John Law ha ragione, è veramente bizzarra, ma non penso sia per questo a frattali. Ogni luogo può esser visto come un articolare per poi sommare. ‘Actor’ non è qui per giocare il ruolo dell’agente e ‘network’ per giocare quello della società.
Actor e Network – se ancora vogliamo usare questi termini – designano due facce dello stesso fenomeno, come onde e particelle, la lenta realizzazione che il sociale è un certo tipo di circolazione che può muoversi all’infinito senza mai incontrare né il micro livello – non c’è mai un’interazione che non sia articolata – né il macro livello – ci sono solo somme locali che producono o totalità locali o totali località.
Ontological Politics
Ma dal momento che tra i pensatori e i teorici che hanno collaborato a creare ciò che a distanza di qualche decennio è chiamato ANT ci sono diversità e discordanze, non esiste ad oggi in realtà alcune fissa teoria né principio e per questo, ANT dovrebbe perdere la T – come ha efficacemente ironizzato Latour.
O forse ANT dovrebbe al contrario cambiare anagramma e venir chiamato Actant-Rhizome Ontology come scrisse qualche tempo fa Mike Lynch. ANT è un nome-specchio, un ombrello, un salvagente che indica una piattaforma di relazioni e collaborazioni tra professori, ricercatori, studiosi e addetti ai lavori di alcune tra le maggiori università del pianeta. Proprio per questo in se stessa non si occupa di nulla dando ciononostante luogo a interessanti esperimenti interdisciplinari che riguardano i più diversi temi.
Per esempio A. Mol (2010) usa liberamente i principi di ANT come la basi per esplorare quelle da lei definite come Ontological Politics utilizzando come esempio la “performance” (e diffusione) dell’anemia.
Mol sostiene che un artefatto come l’anemia non è semplicemente risolvibile in qualcosa che è possibile analizzare da diversi e multipli punti di vista (prospettivismo) e nemmeno può essere visto come la chiave di differenti costruzioni della realtà (costruttivismo).
Al contrario, suggerisce che tale artefatto si trovi essenzialmente in differenti e multiple realtà – l’attualità nasconde molteplici modi dell’essere – molteplici ontologie:
a reality that is done and enacted rather than observed. Rather than being seen by a diversity of watching eyes while itself remaining untouched in the centre, reality is manipulated by means of various tools in the course of a diversity of practices. There are different version of the object, versions that the tools help to enact. They are different yet related objects. They are multiple forms of reality. Itself.
Mol, A. 1999
Sebbene la filosofia abbia sempre considerato la realtà almeno parzialmente mutevole (ad eccezione forse di una certa lettura di Parmenide e in Italia, in tempi più recenti, del pensiero di Emanuele Severino), secondo Mol il pensiero occidentale ha presupposto che almeno i blocchi costituenti della realtà, i suoi minimi divisori fossero permanenti. In ANT, la dimensione ontologica della realtà è multipla, collocata storicamente, culturalmente e materialmente.
Realtà multipla?
Annamarie Mol oppone il modello politico così come ricostruito da ANT a quello sviluppato dalle indagini prospettivista e costruttivista. Mentre nei secondi due la realtà è semplicemente pensata plurale, il termine Ontological Politics è l’idea che la realtà politica nella quale viviamo sia in sé stessa multipla.
Il prospettivismo è il primo a rompere con la visione monopolistica della verità ma non moltiplica la realtà che rimane unica ma il numero di punti di vista e gli interessi in gioco. Anche il costruttivismo si limitare a proporre narrazioni alternative della realtà suggerendo che questa avrebbe potuto essere diversamente.
ANT al contrario pensa l’essere politico come multiplo in quanto la realtà è sempre data, done, o attivata, enacted, e non osservata. Chiaro è l’eco della tradizione fenomenologica europea. Mol, ancora una volta, scrive:
La realtà (dell’oggetto, aggiunta mia) è manipolata dai significati dei vari strumenti nel corso della diversità di pratiche […]. Ma come parte di queste differenti attività, l’oggetto in questione varia da un stato all’altro. […] Invece di attributi e proprietà, questi (tali momenti) sono differenti versioni di un oggetto, versioni che lo strumento aiuta a attivare. Sono differenti e ciò nonostante connessi oggetti. Sono multiple forme di realtà. Per se stesse.
ANT condivide con la fenomenologia, la semiotica e gran parte del pensiero postmoderno l’idea che esistano differenti versioni, attività e realtà coesistenti in un singolo presente. L’obiettivo è quindi quello di sviluppare nuovi strumenti di analisi per mappare la molteplicità del reale e tentare una catalogazione ontologica a partire dalla domanda: quale il luogo in cui l’oggetto è interpretato? Quali versioni dell’oggetto corrispondono ai luoghi nella rete sociale?
Mol sottolinea più volte che la conoscenza del luogo in cui determinate idee politiche nascono e dal quale vengono interpretate è di fondamentale importanza nell’articolazione della teoria politica. Il punto è che molte delle condizioni di possibilità o diagnosi del presentarsi di un’idea non sono il prodotto di scelte e decisioni ma appartengono alla struttura della rete sociale. La questione diventa capire come questa è strutturata e in quali luoghi intervenire per una nuova e diversa interpretazione:
That there is not last resort but instead there are ‘options’ everywhere. So that at any given site, they always end up seeming elsewhere.
Teoria politica = T. della rete = T. ontologica
Come per ANT e per l’interpretazione datane da Mol, la mia idea è che si possano sfruttare i principi sovra esposti per discutere di filosofia e ontologia (o performance) della rete. Sembra infatti che “performance” e “ontologia” siano diventati due termini interscambiabili per riferirsi a multiple versioni o multiple ontologie della realtà.
Da questa prospettiva infatti è chiaro come potere e governance possano venir visualizzati come l’ordine imposto nel abilitare/disabilitare, o evidenziare/occultare certe ontologie piuttosto che altre nella rete sociale.
Potrebbe venir detto che i meccanismi di governance in gioco nella vita quotidiana siano in sé multipli livelli di performance. Le reti di governance non consistono che in altro che in attori che tentano di valutare, apprezzare e con ciò dominare una certa forma di potere, ovvero promuovere una certa configurazione ontologica dell’esistente.
La formazione di meccanismi di potere è in realtà il risultato di un complessa rete di relazioni e connessioni tra i membri della rete coinvolti che attivandosi in ordine di raggiungere il proprio interesse individuale in realtà danno vita ad una risultante di negoziazioni e compromessi.